Don Bosco e la gioventù! È un binomio i cui termini si richiamano a vicenda con simpatia, un ponte che collega due realtà, congiunge due mondi; è l'asse portante di una intera vita.
Non so esattamente perché, ma le statue dei santi mi soddisfano raramente. E non è per foga iconosclasta, peraltro risibile oggi, ma perché esse, troppo di frequente, non paiono dire un gran che. Un Don Bosco plasmato solo, ad esempio, fa scuotere la testa, sembra un controsenso. Si avverte subito lo stridore con la vita sua, popolata di gioventù e impastata di giovinezza. Che simpatia spontanea suscita invece il Don Bosco attorniato da ragazzi! Parla già moltissimo della sua esistenza, anzi dice il più.
1. La missione di Don Bosco verso i giovani
Don Bosco e la gioventù! È un binomio i cui termini si richiamano a vicenda con simpatia, un ponte che collega due realtà, congiunge due mondi; è l'asse portante di una intera vita. Don Bosco non può essere pensato senza gioventù, estraniato dal suo impegno educativo. Esiste un legame vitale che lo unisce ai giovani: l'appassionata missione verso di loro. «Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo - confidava ai suoi ragazzi -, per voi sono disposto anche a dare la vita»; e ripeteva: «Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani».
Opzione fondamentale della sua vita è educare la gioventù. Con l'intera esistenza coincide la sua missione educativa, dal sogno dei nove anni sino alla vecchiaia. Inequivocabile ne è il mandato: «Ecco il tuo campo...»: gli viene detto nel primo sogno rivelatore davanti a una schiera di ragazzi.
E sacerdote novello, mantenendo fede nel tempo, ne rinnova il proposito: «La mia delizia è fare il catechismo ai fanciulli, trattenermi con loro, parlare con loro».
Così, richiesto di un impegno pastorale dalla marchesa Barolo, non esita a ribattere con sicurezza: «La mia vita è consacrata al bene della gioventù. Non posso allontanarmi dalla via che la Divina Provvidenza mi ha tracciato».
Persino sul letto di morte i giovani sono l'oggetto della sua sollecitudine: «Di' ai giovani che li attendo tutti in paradiso... Vi raccomando la cura dei giovanetti poveri e abbandonati, che furono sempre la porzione più cara al mio cuore in terra, e che per i meriti di nostro Signore Gesù Cristo spero saranno la mia corona e il mio gaudio in cielo». Una radicata persuasione domina la vita di Don Bosco: essere strumento nelle mani del Signore per compiere una missione che gli è del tutto singolare, la salvezza della gioventù.
La predilezione sua per i giovani risalta così come uno speciale dono di Dio che lo impegna in totale dedizione a guadagnare il loro cuore per il Signore. A questo unico scopo si vota la sua instancabile operosità. Per i giovani poveri, abbandonati, pericolanti egli impegna tutte le sue energie, svolge per loro un'impressionante attività, inventa le inziative più coraggiose, prodiga ciò che di meglio possiede in cuore e nella mente. Soprattutto rilancia, in stile rivestito a nuovo, l'Oratorio, emblema delle sue iniziative, e mette in atto per i giovani un progetto di educazione integrale, il suo metodo pedagogico.
Don Bosco non sottovaluta per nulla la valenza sociale e culturale della sua azione e della sua opera; anzi, capisce tutto ciò con lucidità e lo persegue con tenacia, provocando l'attenzione dei suoi contemporanei.
Anche in seguito suscita l'interesse, peraltro compiaciuto, di studiosi anche estranei all'ambiente ecclesiale. Asserisce G. Lombardo-Radice (1938): Don Bosco seppe creare un imponente movimento di educazione attorno all'idea dell'educazione preventiva e della scuola-famiglia. E Umberto Eco, semiologo nostro contemporaneo, non esita a definire Don Bosco geniale riformatore che inventa un modo nuovo di stare insieme, l'oratorio. Tale «rivoluzione - scrive (1984) - è una macchina perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, dal teatro alla stampa, è gestito in proprio... un progetto che investe tutta la società italiana dell'èra industriale».
Non per nulla Don Bosco è universalmente riconosciuto, ed emerge indiscutibilmente come un educatore, un originale artefice di opere giovanili, il creatore di un nuovo stile di educazione. Egli è l'amico dei giovani, padre e maestro della gioventù, o, per usare le parole del Papa, l'esemplare di un amore preferenziale per i giovani, il segno di un amore più alto e il maestro di un'efficace e geniale prassi pedagogica.
2. Il sistema preventivo, frutto di una prassi educativa matura
Una pagina delle Memorie biografiche (vol. XVIII, p. 126) soddisfa la nostra sana curiosità circa il metodo di Don Bosco.
Il Superiore del seminario di Montpellier aveva, come del resto noi, un gran desiderio di interrogare Don Bosco sul metodo da lui usato per portare le anime a Dio. Gli aveva già domandato come facesse con sì scarso numero di collaboratori a educare tanti giovani, e Don Bosco gli aveva risposto che tutto il segreto stava nell'infondere loro il santo timor di Dio. Ma di questa risposta il superiore non era pago. «Il santo timor di Dio - osservava in una lettera - è soltanto il principio della sapienza; io invece vorrei sapere quale sia il metodo per guidare le anime alla somma sapienza, che è l'amor di Dio». Quando gli si lesse la lettera, Don Bosco esclamò: «Il mio metodo si vuole che io esponga. Mah!... Non lo so neppure io. Sono sempre andato avanti come il Signore m'ispirava e le circostanze esigevano».
Forse senza avvedersene compiutamente, Don Bosco esprimeva così alla buona uno dei criteri di base del suo metodo. Da vero educatore, immerso nella concretezza della prassi e nei suoi pericoli, avverte l'esigenza di non irrigidirsi in un sistema educativo che rischi la stereotipia: perciò intende avvalersi sempre di libertà di movimento nell'arte di educare. Ma d'altro canto, come uomo d'azione, sa bene che si avanza con difficoltà se non c'è chiarezza d'intenti. «Un metodo veramente Don Bosco fa suo - commenta il biografo - il così detto metodo preventivo, traendone gli elementi dalla tradizione umana e cristiana e dallo studio sull'animo dei giovani». Per la sua azione Don Bosco si rifà dunque a un criterio ispiratore di sintesi: andare avanti come il Signore ispirava e le circostanze esigevano, espressione questa non di due sollecitudini diverse, ma sintesi di un'unica disponibilità di cuore e di spirito, l'attenzione premurosa all'incontro tra Dio e l'uomo, tra il Signore che ispira e le esigenze dei giovani.
Don Bosco non conosce, contro le apparenze, il pressappoco o l'incirca educativo, bensì, mantenendosi aperto ai segni dei tempi, cammina secondo un progetto operativo intenzionale, che dà unità alle sue iniziative e agli interventi educativi.
Ne è prova il trattatello sul sistema preventivo, quelle scarne paginette scritte dallo stesso Don Bosco nella primavera del 1877, perlopiù come semplice appendice a un discorso di inaugurazione del patronato di San Pietro a Nizza. Nell'introduzione si legge una curiosa dichiarazione di propositi: «Più volte - scrive Don Bosco - fui chiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri intorno al cosiddetto sistema preventivo, che si suole usare nelle nostre case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e presentemente ne do qui un cenno, che spero sia come l'indice di quanto ho in animo di pubblicare in una operetta appositamente preparata».
Don Bosco si propone di scrivere una operetta, che purtroppo non sarà mai realizzata; e tuttavia la provvisorietà di questo indice e anche l'imprevista stesura di tale appendice, non consentono di ipotizzare una improvvisazione dell'operoso educatore. La lucidità d'impostazione e la proprietà del linguaggio del suo trattatello suppongono esperienze e idee maturate a lungo e descritte lì con spontanea naturalezza come patrimonio condiviso d'intenti e di metodo. D'altra parte la stesura, situata nel tempo (1877), e cioè verso la piena maturità della prassi educativa di Don Bosco, è senza dubbio il frutto manifesto della sua ricca esperienza di educatore.
3. Il sistema preventivo è «insieme pedagogia, pastorale, spiritualità»
Il metodo di Don Bosco si presenta come una proposta unitaria: come è stato da lui vissuto, esso appare costantemente come una ricca sintesi di contenuti e di metodi; di processi di promozione umana e insieme di annuncio evangelico e di approfondimento della vita cristiana; nelle sue mete, nei suoi contenuti, nei suoi momenti di attuazione concreta esso richiama contemporaneamente le tre parole con le quali Don Bosco lo definiva: ragione, religione, amorevolezza. Esso è nel contempo uno stile di presenza e azione educativa tra i giovani.
Con ragione l'assemblea mondiale dei salesiani (CG 21) afferma che il sistema preventivo «è insieme pedagogia, pastorale, spiritualità, che associa in un'unica esperienza dinamica educatori e destinatari, contenuti e metodi, con atteggiamenti e comportamenti nettamente caratterizzati» (96).
A tali espressioni fa eco il Rettor Maggiore della Congregazione salesiana: «Questo sistema ci riporta direttamente al cuore oratoriano di Don Bosco, alla sua maniera tipica di concepire l'evangelizzazione come salvezza totale... Troviamo in esso il contributo originale di sapienza apportato da Don Bosco alla Chiesa e al mondo, il suo ripensamento del Vangelo in chiave di carità educativa, la sintesi che traduce la sua esperienza di educatore e la sua spiritualità» (CG 21, 569-570).
In tale convergere di istanze educative in un progetto organico emerge con forza un'evidenza oggi scontata, eppure non così ieri: al centro dell'attenzione educativa stanno i giovani, con tutto ciò che può significare simile asserzione; con gli educatori sono protagonisti della loro crescita. L'organicità del sistema fa perno attorno alla persona, a una persona che vive con gli altri. Il metodo trova la sua unità orbitando intorno alla comunità giovanile, epicentro del suo progetto educativo, cuore della sua azione. È una comunità che crea ambiente, il quale è sì costituito da un confluire di giovani con spazi e cose a disposizione, ma è soprattutto un tessuto di rapporti interpersonali riconosciuti, accolti, valorizzati, un luogo di incontro e di convergenza di energie a servizio della gioventù.
L'ambiente non è pensato qui come un assemblaggio di iniziative o un accumulo di attività, ma come un laboratorio di proposte, un centro di idee e di iniziative che si orientano verso una stessa finalità e convergono in un progetto educativo. La comunità giovanile allora non diviene punto di coagulo degli interessi più disparati o luogo di effimera fruizione di iniziative Al contrario, essa è aggregazione di persone che intendono compiere un comune cammino di crescita umana e cristiana.
Del resto la politica di Don Bosco è evidente. Lo dichiara egli stesso: «Lo scopo a cui miriamo torna ben viso a tutti gli uomini, non esclusi quei medesimi che in fatto di religione non la sentono come noi... La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata o pericolante, per sottrarla all'ozio, al mal fare, al disonore e forse anche alla prigione, ecco a che mira la nostra opera... Tiriamo avanti domandando solo che ci lascino fare del bene alla povera gioventù e salvare le anime... Se si vuole, questa è la nostra politica» (MB XVI, 290).
Tale attenzione all'educazione della gioventù, l'appassionata sollecitudine alla crescita della vita giovanile in tutte le sue espressioni, il procedere facendo confluire ogni cosa attorno alla persona, sono indicazioni importanti del metodo di Don Bosco.
Anzi, in realtà il sistema preventivo può essere considerato «la sintesi di quanto Don Bosco ha voluto essere» (CG 21, 80). La storia personale è la rivelazione più completa del suo modo di educare. Non si tratta infatti di capire primariamente un insieme di idee o di principi, ma di accostare un'esperienza vitale, di penetrare una vocazione educativa.
Il sistema preventivo peraltro non è nuovo in quanto sistema, né come sistema generale di idee e principi educativi e neppure come sistema di orientamenti e di prassi. Inconfondibile è lo stile di Don Bosco, uno stile peculiare in cui l'insieme è rivissuto e attuato. È lo stile del grande educatore che, ispirandosi a criteri educativi comuni e diffusi, sa creare ciò che è esclusivamente suo. Il sistema preventivo è infatti la persona stessa di Don Bosco, il suo stile è l'educatore.
In effetti la sua esperienza costituisce globalmente uno stile con un'ispirazione unitaria, precisi obiettivi, contenuti chiave, con esigenze permanenti e una forma che organizza tutto in un insieme armonico. Per cui davvero nel suo essere sistema, la pedagogia di Don Bosco è anzitutto vita vissuta, passione educativa, trasparenza personale. Alla sorgente vivace e limpida della sua esperienza acquista rilievo e significato ogni esposizione organica della sua visione pedagogica.
4. La scelta di intervento di Don Bosco è la via educativa
Il riferimento d'obbligo è dunque - come codifica la Regola di vita dei Salesiani - «la tipica esperienza pastorale» di Don Bosco (C. 40), «un'esperienza spirituale ed educativa» (C. 20).
L'esperienza di Don Bosco si inquadra in primo luogo in una cornice ben precisa: l'educazione.
Alla persistente domanda di rigenerazione sociale, alla richiesta continua nella storia di edificare l'uomo nella sua dignità, nella sua maestà (Carlo Bo), Don Bosco risponde con un impegno di vita, educare la gioventù. «Forse - afferma il Papa nella Juvenum Patris - mai come oggi il mondo ha bisogno di individui, di famiglie e di comunità che facciano dell'educazione la propria ragion d'essere e ad essa si dedichino come a finalità prioritaria alla quale donano senza riserve le loro energie... Essere educatore oggi comporta una vera e propria scelta di vita» (JP 17).
Don Bosco ha optato con determinazione per tale scelta di campo.
Le tentazioni del momento storico avrebbero potuto condurlo su strade ben diverse, peraltro legittime su piano formale. Ma la sua risposta, ispirata dall'alto, si colloca in modo originale tra l'impegno che gravita strettamente attorno al catechistico, considerando il resto come semplici tecniche d'aggancio più o meno esplicito, e quanto propende per il politico come partecipazione diretta alla trasformazione della società.
Don Bosco intraprende invece la via educativa, e ne intuisce tutta la portata sociale e il peso culturale. Egli comprende che l'operare per «l'uomo spiritualmente maturo, cioè l'uomo pienamente educato, l'uomo capace di educare se stesso» (JP 1) è una meritevole azione sociale che ha dignità pubblica, e costituisce un compito di promozione culturale di fondamentale e primaria importanza. «Che l'uomo diventi sempre più uomo, che possa essere di più..., che sappia sempre più pienamente essere uomo» (JP 1) è il coraggioso impegno culturale e sociale di Don Bosco; allora (e forse anche oggi nella realtà dei fatti) per nulla scontato, o perlomeno faticosamente percepito.
In secondo luogo l'esperienza di Don Bosco si pone all'interno della dinamica istituzionale.
Ne è il paradigma conosciuto l'Oratorio, che le Costituzioni salesiane definiscono come «casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria» (C. 40). Don Bosco dà un tocco di originalità a quest'istituzione educativa allora già esistente, tanto da diventare modello di ogni sua casa e oggi criterio di discernimento e di rinnovamento di ogni attività e opera.
Per lui l'oratorio è in missione aperta sul continente giovanile. Egli sceglie di rivolgersi ai giovani «che non avevano parrocchia o non sapevano a quale parrocchia appartenessero», si sente missionario dei giovani pur facendo riferimento a una piattaforma di lancio, l'ambiente oratoriano. Diviene indispensabile perciò una casa che accoglie con senso missionario, che si fa punto d'incontro. Più oltre, in un centro per la gioventù non può mancare il cortile. Tale struttura dice espressione giovanile nei suoi più diversi aspetti: «Il cortile attira più della chiesa», diceva Don Bosco e offre libertà di espressione. «Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi nell'educazione» (SP, c. II. par. 3).
Per essere piena però l'espressione giovanile ha bisogno di venire lievitata dall'Evangelo. Parrocchia che evangelizza è il segno del fermento evangelico, della proposta di vita cristiana, di spiritualità. «Ti voglio mostrare un cammino per essere felice»: proponeva sempre Don Bosco; e indicava l'amicizia con Gesù. Ma il suo modello oratoria- no non si conclude ancora qui: esso è scuola che avvia alla vita, ossia si colloca nel territorio, assumendone le richieste culturali e divenendo propositivo nell'ambiente. È così luogo di confronto e di proposta, di formazione e di impegno promozionale.
Il lavoro e lo studio non sono marginali nella proposta di Don Bosco, anzi sono visti come la concreta attuazione della propria vocazione e doveroso contributo al vivere sociale. Don Bosco è talmente sollecito nei problemi del lavoro che sigla il primo contratto a difesa dei propri ragazzi e istituisce la scuola d'arti e mestieri per prepararli professionalmente e civilmente. Tale è la ricchezza e peculiarità dell'istituzione Oratorio di Don Bosco.
Infine, l'esperienza di Don Bosco vive della realtà ecclesiale: la sua è un'esperienza pastorale e spirituale.
Don Bosco si sente prete sempre e dovunque. Al ministro Ricasoli dichiara con semplicità e schiettezza: «Eccellenza! Sappia che Don Bosco è prete all'altare, prete in confessionale, prete in mezzo ai suoi giovani, e come è prete in Torino, così è prete a Firenze, prete nella casa del povero, prete nel palazzo del Re e dei Ministri» (MB VIII, 534).
Unica è l'ispirazione riconoscibile di tutta la sua azione: l'amore redentore che coinvolge gli stessi giovani. La straordinaria sua esperienza di paternità si manifesta quale espressione viva e affascinante della paternità di Dio, che è amore infinitamente paziente e misericordioso, che vuole tutti salvi.
Don Bosco opera da vero pastore tra i suoi giovani. La sua operosità instancabile riceve ispirazione e forza alla luce della figura di Cristo il buon Pastore: come lui conosce le sue pecorelle, le chiama per nome, si fa ascoltare da esse, le raccoglie e le conduce ai buoni pascoli, cerca le pericolanti e le difende, dà la sua vita per loro.
L'amore operoso di Dio che salva è la mistica di Don Bosco. Egli la esprime nel motto assai noto: «Dammi le anime, e tienti pure il resto». Peraltro Don Bosco stesso confessa: «Quando mi sono dato a questa parte del sacro ministero, intesi di consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi degni abitanti del cielo. Dio mi aiuti a continuare fino all'ultimo respiro di mia vita» (MO 62). Il suo anelito è guadagnare anime a Dio.
Nella concreta e quotidiana azione educativa e pastorale Don Bosco compie una peculiare esperienza di vita nello Spirito. Con ragione, riferendosi all'esperienza spirituale di Don Bosco, si parla di santità educativa (E. Viganò), di santità apostolica (A. Ballestrero), di carità educativa (C.M. Martini), di spiritualità apostolica (Giovanni Paolo II). Don Bosco cioè rivela una singolare testimonianza di esistenza nello Spirito e di agire apostolico: è costituito particolare segno della potenza salvatrice di Dio «che previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l'accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita» (C. 20).
L'azione apostolica non è condotta avanti come semplice attività, ma quale singolare e originale iniziativa de- lo Spirito in lui.
Don Bosco, insomma, non solo si occupa e si preoccupa dei giovani e spende la sua vita per loro; soprattutto, occupandosi dei giovani e vivendo da infaticabile apostolo tra loro, ha percorso un cammino di santificazione, e lo Spirito del Signore l'ha cresciuto santo, e grande apostolo santo.
Così egli diviene segno di tale novità dello Spirito, «profeticamente un nuovo modello di santità» (P. Chenu), «l'iniziatore - come scrive il Papa - di una vera scuola di nuova e attraente spiritualità apostolica» (JP 5).
Giovanni Battista Bosco
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