Libri e letture

1% Ispirazione, 99% Disperazione. Intervista ad Alessandro D'Avenia

Vedo un aspetto della realtà, un volto, un fatto, che improvvisamente aprono uno squarcio sulla superficie delle cose e voglio guardarci dentro come uno che si cala nelle profondità marine perché intravede qualcosa di interessante.


 

 

 

del 18 novembre 2013

 

Iniziamo subito con il chiederle: lei é professore, e sappiamo che ama molto il suo lavoro. Vuole dirci perché?

 

Perché è l’unica cosa che so fare: raccontare ad altri ciò che amo. E amo stare con persone ancora piene di progetti, vita, sogni. Spendere la vita per questo fa della mia vita qualcosa di sensato e entusiasmante.

 

 

Quanto questo lavoro, che é anche passione, ha contribuito al D´Avenia scrittore? Per esempio ha tratto spunto dai suoi studenti per i personaggi?

 

Scrivere e insegnare sono due facce della stessa medaglia. Nella scrittura ascolti i personaggi. A scuola ascolti persone. E in entrambi i casi sei chiamati a portarli a compimento.

 

 

Qual è in classe la priorità del professor D’Avenia, cosa desidera che rimanga nel cuore degli alunni?

 

Che la cultura serve a interrogare la vita non a controllarla.

 

 

 

E come scrittore in quello dei suoi lettori?

 

Farli sentire a casa, senza adularli. Far scoprire loro che anche a casa ci sono cose che credevamo di non avere, nel bene e nel male. Uso le parole di una lettera di Tolstoj che faccio mie: “Lo scopo dell’arte non è quello di risolvere i problemi, ma di costringere la gente ad amare la vita. Se mi dicessero che posso scrivere un libro in cui mi sarà dato di dimostrare per vero il mio punto di vista su tutti i problemi sociali, non perderei un’ora per un’opera del genere. Ma se mi dicessero che quello che scrivo sarà letto tra vent’anni da quelli che ora sono bambini, e che essi rideranno, piangeranno e s’innamoreranno della vita sulle mie pagine, allora dedicherei a quest’opera tutte le mie forze”.

 

 

Ha qualche suggerimento per avvicinare i ragazzi alla lettura?

 

Si fa tutto quando sono bambini. Se i genitori leggono loro le favole ad alta voce. Se li fanno sognare su altre storie quando sono un po’ più grandi. Allora il seme è gettato. E anche se ci sarà quel periodo tipico di abbandono dei libri poi torneranno alla loro felicità di un tempo. Per i ragazzi più grandi l’unico modo è testimoniare la bellezza dei libri letti. Come dice Pennac leggere, come amare e sognare, non conosce l’imperativo.

 

 

Quali sono i suoi libri preferiti, quelli che hanno contribuito a formarla come scrittore?

 

Domanda impossibile. Ma ne scelgo tre. Odissea. Le Confessioni. Delitto e castigo.

 

 

L´impressione é che lei viva in equilibrio perenne tra il professore e lo scrittore cercando peró di vivere pienamente entrambi. Che ruolo riveste per lei la scrittura?

 

La scrittura è ciò che mi rende esploratore dell’esistenza. Una specie di palombaro che si inabissa nel mare dell’essere e prova a trovare qualche tesoro.

 

 

Parlando di Bianca come il latte Rossa oome il sangue, perché ha scelto un tema così difficile?

 

Perché vita e morte sono gli unici temi che non mi annoiano. Ti costringono a esplorare zone della tua casa come la cantina e la soffitta…

 

 

C’è molto di lei nel personaggio di Leo, oppure si identifica di più col professore?

 

C’è un po’ dello scrittore in ogni personaggio. In Leo c’è molto di me: caos, passione per la vita, fragilità.

 

 

Il lettore potendo scegliere tra film e libro sceglie quasi sempre il libro. Da scrittore come ha vissuto la realizzazione cinematografica del suo libro?

 

Come una sfida creativa. Non mi tiro mai indietro. É stata un’avventura entusiasmante e frustrante allo stesso tempo. Frustrante perché il cinema è essenziale rispetto alla letteratura e bisognava tagliare tagliare tagliare… Entusiasmante perché quello che era un canto a solo è diventata una polifonia di voci: attori, sceneggiatori, regista…

 

 

Personalmente trovo “Cose che nessuno sa” piú maturo e completo rispetto al precedente. É una mia impressione o é d´accordo sulla crescita della sua scrittura?

 

Sono due libri semplicemente diversi. La grazia di Bianca sta nel dissimulare la profondità nella apparente superficialità del protagonista. Non è un caso che io abbia scelto la prima persona per narrarlo. In Cose ho scelto la terza persona. È un approccio totalmente diverso alle domande che hanno generato il secondo libro. Non vi è però dubbio che ogni libro è un passo in avanti nella propria maturazione umana e interiore, non fosse altro perché la vita pone nuove domande e nuove sfide e ogni libro scritto è portatore di una maturazione.

 

 

Non ha avuto paura all’inizio del suo percorso? Che il libro non piacesse, che non fosse all’altezza delle aspettative?

 

 Non me ne preoccupavo. Per me era già un sogno che il libro fosse pubblicato, anche se lo avessero letto soltanto i miei familiari. La paura l’ho avuta più con il secondo. Lì le aspettative erano altissime e ho dovuto lottare contro un’ansia che uccide la creatività: il consenso. L’unico consenso da cercare è quello della verità di ciò che racconti. Il resto se viene è un di più. Ed è andata bene.

 

 

Come supera il cosiddetto “blocco dello scrittore”? Da dove trae l’ispirazione?

 

1% ispirazione. 99% disperazione. Vedo un aspetto della realtà, un volto, un fatto, che improvvisamente aprono uno squarcio sulla superficie delle cose e voglio guardarci dentro come uno che si cala nelle profondità marine perché intravede qualcosa di interessante. I blocchi dello scrittore sono benedizioni: è il motivo per cui stai scrivendo quel libro, la paura di porre le tue domande fino in fondo. Quando arriva mi dico: ecco ci siamo. A noi due!

 

 

Perché sono sempre le figure femminili nei suoi romanzi a dover affrontare percorsi difficili, duri, dover affrontare malattie e sconfitte?

 

Perché mi affascina la forza della donna. La sua capacità di generare la vita la rende capace di portarne tutto il peso.

 

 

Come vive ogni volta “l’inizio” e la “fine di un libro che scrive?

 

L’inizio e la fine sono altrettanto esaltanti. L’inizio per la domanda che poni alla tua storia. La fine perché la storia è la risposta. Il problema è il deserto da attraversare in mezzo…

 

 

Che consigli si sente di dare a un esordiente?

 

Professionalità. Scrivere un romanzo dall’inizio alla fine. Consultare un editor e farsi dare qualche consiglio (non gli amici). Consultare un agente e vedere se vuole scommettere su quella storia per proporla ad una casa editrice.

 

 

Ci può dire un dettaglio del suo prossimo progetto?

 

La domanda che sta alla base del prossimo romanzo è: come si fa a morire sorridendo a chi ti sta per uccidere?

 

 

Fabio Pinna

http://www.leggereacolori.com

 

 

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