La Gioia della Fede

Cosa sarà questa voce? Fede? Vocina che si fa largo tra il vociare o le urla di chi ha dimenticato, misconosciuto o anche rifiutato il rapporto che Dio ha voluto costruire con noi? Mettiamoci anche noi in silenziosa ricerca della voce di Dio. Forse ne abbiamo bisogno anche noi per vivere la fede con gioia.

La Gioia della Fede

 

 

          Benedetto XVI ha scritto il titolo del suo libro proprio così, con le maiuscole della Gi e della Effe, perché è da una Fede matura, documentata, vitale cioè «maiuscola» che sgorga una gioia «maiuscola», piena, appagante, visibile, contagiosa, condivisa. C’è una relazione stretta tra questi aspetti della fede perché credere è trovare un senso alla vita.

 

          Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), pur con un linguaggio un po’ più formale, da grande documento ufficiale, dice la stessa cosa, al n. 26, presentandoci così anche uno splendido schema di questa, prima della trattazione: «Quando professiamo la nostra fede, cominciamo dicendo: “Io credo”, oppure: “Noi crediamo”. Perciò, prima di esporre la Fede della Chiesa, così come è confessata nel Credo, celebrata nella Liturgia, vissuta nella pratica dei comandamenti e nella preghiera, ci domandiamo che cosa significa “credere”. La Fede è la risposta dell’uomo a Dio che gli si rivela e gli si dona, apportando nello stesso tempo una luce sovrabbondante all’uomo in cerca del senso ultimo della vita. Prendiamo anzitutto in considerazione questa ricerca dell’uomo (capitolo primo), poi la rivelazione divina attraverso la quale Dio si manifesta all’uomo (capitolo secondo), infine la risposta della Fede (capitolo terzo)». Anche in questo e nei prossimi articoli cercheremo di chiederci cosa voglia dire credere, tuffati ormai nel terzo millennio. Rispetto alla bella definizione di Fede riportata, il CCC pochi numeri dopo (29), con realismo e con una sintesi stringata ma efficacissima, richiamando la Gaudium et Spes, 19,1 prende atto che «questo intimo e vitale legame con Dio può essere dimenticato, misconosciuto e perfino esplicitamente rifiutato dall’uomo».

          Sono passati cinquant’anni dal Concilio Vaticano II di cui la Gaudium et Spes, sul rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo, è uno dei documenti più illuminati e profetici del Concilio, e ci accorgiamo con amarezza che non è cambiato quasi nulla, anzi il discorso sulla Fede diventa molto più complesso. Oggi, per intanto, sono sempre di più le persone che hanno dimenticato le loro radici cristiane e non si preoccupano, ovviamente, di tramandarle alle generazioni future. Una sola domanda: quanti bimbi/ragazzi nati – e credo di non esagerare – negli ultimi 10 anche 15 anni sanno a memoria le preghiere del mattino? E per contro sanno che la festa dell’inizio di novembre è Halloween. E la Solennità di Tutti i Santi? Ma cos’è? Si dirà: Ma queste cose chi dovrebbe insegnarle? E oggi? Dove troviamo l’intimità in questo settore? Il più delle volte la relazione con Dio è vissuta con gesti di una tradizione fredda e sganciata dalla vita o come patina esteriore che, di nuovo, non tocca la vita... dove Dio non ha casa. Su questo crinale si può anche collocare la sempre più diffusa insignificanza della lettura cristiana della realtà sociale e civile.

Alcuni esempi.

          La vita politica è interpretata come potere personale o al massimo del gruppo di cittadini che rappresenta in corporazioni rigide e impenetrabili. La vera politica deve interessarsi sempre, o non è politica, della “polis” e cioè del bene comune. In questa prospettiva le esigenze della mia piccola “domus” possono passare tranquillamente in secondo piano. Gesù aveva detto che chi vuole essere grande si mettesse a servire.

          Prendiamo anche i valori «non negoziabili »: la difesa della vita, la persona, il diritto a una scuola libera e la famiglia: altroché non negoziabili, in molti paesi li stravolgono e vengono chiamati diritti civili! E lo sarebbero l’aborto e l’eutanasia? Una famiglia non basata sul rapporto, fin dalla creazione, sull’uomo e la donna? La fecondazione quale che sia?

          E ancora l’economia. Questo mondo oggi ci preoccupa così tanto che non è più bastata la lingua del sommo poeta Dante Alighieri: ci hanno propinato incomprensibili parole inglesi come spread o spending review. Anche la traduzione in lingua italiana di spread (differenziale tra i rendimenti... ecc.), sembra arrivare dalle nuvole... Il Papa, parlando nel gennaio scorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha fatto capire molto bene a tutti cosa voglia dire spread: «Se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari, dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze fra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri». Anche nella nostra Italia. Basta chiederlo alle Associazioni che, durante le recenti feste natalizie, hanno visto arrivare a far festa, almeno la notte di Natale o quella di Capodanno, molti più nostri connazionali: uomini separati soli, famiglie che non arrivano con le spese essenziali al trenta del mese, giovani e adulti senza lavoro, anziani abbandonati dai familiari che non possono portarli-parcheggiarli nelle Case di Riposo perché costano troppo. Invece dell’economia solidale, trionfa quella in cui il motore di tutto è il denaro e il guadagno che genera una ricchezza infinita creata con speculazioni senza scrupoli per lo più da gruppi finanziari invisibili ma efficientissimi. Si capisce allora che in queste stanze dei bottoni Dio non ha nulla da dire, lui che, con Cristo, ha proclamato solennemente: «Beati i poveri». Perché i superricchi di oggi non sentono queste parole come una scudisciata sulla schiena o una coltellata tra le costole?

          Infine il rapporto uomo-Dio viene esplicitamente rifiutato. Inquieta sempre di più l’odio in diverse parti del mondo, verso i cristiani che vengono uccisi. Sono i nuovi martiri.

          C’è un altro fenomeno che lascia interdetti: lo sbattezzo, atto formale con cui una persona rifiuta la fede generalmente ricevuta con il Battesimo poco dopo la nascita. Concretamente si esige che il proprio nome sia cancellato dai registri parrocchiali per dimostrare pubblicamente che non si ha più nulla a che fare con Dio uscito definitivamente dalla vita. Al di là dei cammini personali di chi «esplicitamente rifiuta la fede», una causa, non meno importante, è anche un po’ collegabile ai credenti e alle Chiese che vivono la propria fede con delle contro-testimonianze evidenti. «Quelli vanno tutte le domeniche a Messa, ma sono peggio degli altri!» È un giudizio trito e ritrito che senz’altro nasconde una qualche verità. Ancora qualche breve spunto. Troppe volte il benessere sostituisce Dio o il rapporto vissuto con lui è privato, quasi un optional. Il non credere poi è vissuto come libertà rispetto a ciò che ci costringevano a fare i nostri vecchi. A volte si mettono sul peso della bilancia tutte le manifestazioni religiose cristiane e non cristiane e si pensa che una valga l’altra. Siamo in pieno relativismo. Complesso poi il rapporto tra Fede e sacramenti, specie con quelli dell’iniziazione cristiana: Battesimo, Cresima ed Eucaristia. Sempre più la gente vuole per i propri figli questi sacramenti, ma non ha Fede perché, dopo averli ricevuti, non vivono nessuna forma di vita cristiana né personale né comunitaria... «Io credo ma non vado in Chiesa». Frase molto usata, forse persino abusata, ma che ci interpella.

          C’è infine il dolore, il tema del dolore inquadrato lucidamente e drammaticamente dalla celebre riflessione di Primo Levi: «Devo dire che l’esperienza di Auschwitz (diventato simbolo, icona, immagine di ogni dolore), è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo». Altri interrogativi su questo tema vengono espresse benissimo da Roberto Vecchioni nella sua canzone Ma che razza di Dio c’è nel cielo? Ecco alcune espressioni: «L’infinito silenzio sopra un campo di battaglia quando il vento ha la pietà di accarezzare; / l’inspiegabile curva della moto di un figlio che a vent’anni te lo devi scordare... / Sentire d’essere noi le sole stelle sbagliate in questa immensa perfezione serale; / e non capirci più niente nel viavai di messia discesi in terra per semplificare. Ma che razza di Dio c’è nel cielo? Ma che razza di guitto mascherato da Signore sta giocando col nostro dolore? / Ma che razza di Dio c’è nel cielo?» Bellissimo il passaggio finale anche musicale: la voce di Vecchioni e il pianoforte concludono con stupore che nel cuore c’è un altro Dio… «Ma chi è l’altro Dio che ho nel cuore? / Ma che razza d’altro Dio c’è nel mio cuore, / che lo sento quando viene, / che lo aspetto non so come che non mi lascia mai, / non mi perde mai e non lo perdo mai».

          Cosa sarà questa voce? Fede? Desiderio profondo ma ancora incapace di manifestarsi? Seme che sboccia o illusione? Vocina che si fa largo tra il vociare o le urla di chi ha dimenticato, misconosciuto o anche rifiutato il rapporto che Dio ha voluto costruire con noi? O forse è troppo flebile per chi vive una vita assordata dal caos del nostro tempo coi suoi rumori? Mettiamoci anche noi in silenziosa ricerca della voce di Dio. Forse ne abbiamo bisogno anche noi per vivere la fede con gioia.

 

 

Don Giorgio Chatrian

 

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