del 15 maggio 2017
Il concetto di tenerezza si esprime in ebraico con il termine rahamin che significa “seno materno”. Tenerezza, quindi, è l’atteggiamento della madre verso il frutto della propria carne...
«Abbiamo fame di tenerezza, / in un mondo dove tutto abbonda / siamo poveri di questo sentimento / che è come una carezza…».
Bastano pochi versi per ricordarci due verità: la forza dell’amore e la consapevolezza del vuoto. “Abbiamo fame”, dice Alda Merini, fame di amore, una fame di qualcosa che ci accompagna sin dalla nascita. Fame di carezze. E le carezze non sono un di più: un neonato toccato solo per essere pulito e nutrito e rimesso poi subito nel suo lettino, muore. Troppi genitori non sanno che abbracciare e baciare i propri figli è un atto di tenerezza, un gesto vitale!
Il concetto di tenerezza si esprime in ebraico con il termine rahamin che significa “seno materno”. Tenerezza, quindi, è l’atteggiamento della madre verso il frutto della propria carne: non un amore ideale e platonico, ma viscerale e fisico. Il dizionario della lingua italiana definisce la tenerezza come la qualità di ciò che è tenero, morbido. Essere tenero significa essere non duro, cedevole al tatto, che si commuove facilmente, affettuoso, amorosamente carezzevole.
Possiamo essere teneri e affettuosi con il nostro cane, con il gatto, con un neonato, ma si fa sempre più fatica ad esserlo con un adulto, anzi, è difficile che gli uomini mostrino questa tenerezza. La gentilezza d’animo, la tenerezza, l’affetto sono visti, in effetti, come segni di debolezza o disperazione, eppure, queste, sono manifestazioni di forza e coraggio. Essere teneri significa aprirsi ed interessarsi all’altro, un modo di relazionarsi con l’esterno facendo cadere le proprie difese. La tenerezza è il viaggio del cuore nel mondo dell’altro, è volersi bene, è accoglienza, cura, intimità, solidarietà.
Pur nelle nostre imperfezioni e limiti dovremmo sforzarci ad essere affettuosi non solo a parole ma anche, e soprattutto, con sguardi, atteggiamenti e gesti. Una vera e propria terapia per il nostro cuore che ci fa star bene, ci tira su di morale, ci fa sentire accolti e amati, perché «per il nostro cuore / abbiamo bisogno di questi piccoli gesti / che ci fanno stare bene».
La tenerezza è, pertanto, un cammino, non un episodio o un gesto sporadico, e ha bisogno di un esercizio costante in cui si metta da parte l’egoismo e si “impari” ad essere umili. La cifra dell’essere teneri si rintraccia perfettamente in un passo de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, dove il monaco russo Starets Zosima descrive la «forza dell’umile amore» che è l’umiltà di accettare sé e i propri limiti facendosi teneri con se stessi; l’umiltà di accettare gli altri per quello che sono, con bontà di cuore e generosità, facendosi teneri verso di loro. «“Bisogna ricorrere alla forza o all’umile amore?” Decidi sempre per l’umile amore. Se deciderai per quello una volta per tutte, potrai conquistare il mondo intero».
Domenico Cassese
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