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Sulle tracce di d. Bosco... L'impegno dei giovani Liberiani nell'assistenza ai m...

Leggendo questo articolo non possono che tornare in mente i tempi di don Bosco, il quale si trovò ad affrontare la terribile epidemia di colera che colpì la popolazione di Torino nel 1854...


Sulle tracce di d. Bosco... L'impegno dei giovani Liberiani nell'assistenza ai malati di ebola

 

Con l’epidemia di ebola ancora in corso, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità prevede migliaia di nuovi casi nelle prossime settimane, in Liberia i giovani, cristiani e musulmani, appartenenti al gruppo “Dominic Savio and Don Bosco” continuano a impegnarsi incondizionatamente per tutelare la popolazione locale, incoraggiati anche dai vari casi di guarigione dal virus. “I miei amici e familiari sono stati molto preoccupati per me, in questa situazione. Mi hanno consigliato in tutti i modi di tornare in Nigeria, ma mi sono detto: questa è una situazione che richiede il contributo e l’aiuto di tutti, non importa se sia poco, e poiché Dio mi ha dato vita e buona salute, le sto usando per il bene di altre persone”, afferma Josephat, l’ideatore e guida del gruppo, come ricorda l’Ans (Agenzia info salesiana). Il contesto sociale in cui i giovani operano è sempre molto difficoltoso: c’è ancora molta gente che non crede che esista un’epidemia di ebola, ma accusa il Governo e il ministero della Salute di voler rubare i soldi e preoccuparsi solo di salvaguardare gli animali selvatici, scimmie e pipistrelli, i principali portatori del virus. D’altra parte, il governo ha iniziato a prendere seri provvedimenti solo dopo che un funzionario governativo, Patrick Sawyer, è morto per l’ebola in Nigeria.

 

In tempi recenti ci sono state buone notizie: è stato confermato che circa 34 persone sono guarite dall’ebola. Dalla testimonianza di molti di loro, il fattore più importante che ha facilitato la guarigione è stata una corretta alimentazione, assieme alle cure adeguate da parte dei lavoratori sanitari. “Questo ha motivato il nostro gruppo a estendere la nostra missione direttamente ai malati di ebola - racconta Josephat -. Dal momento che non possiamo raggiungerli personalmente, doniamo alimenti, disinfettanti, acque minerali, denaro (soprattutto per supportare e motivare gli operatori sanitari), cloro e cloruro, saponette e saponi in polvere contribuendo attraverso il fondo di carità dell’arcivescovo. Compriamo tutto il necessario e lo inviamo al nostro parroco, che lo inoltra all’arcivescovo e da questi arriva fino ai vari centri d’isolamento per l’ebola presenti a Monrovia. Si tratta di un’iniziativa dell’arcivescovo per dare il contributo dell’arcidiocesi alla lotta all’ebola”. Secondo le statistiche riportate dal ministro dell’Informazione il 3 settembre, sono state 1.015 le morti sospette di ebola in Liberia. “La buona notizia è che due contee del paese attualmente sono libere del virus; e la contea in cui si trova il villaggio dove abbiamo operato adesso ha visto ridotto il numero di casi di ebola”, conclude Josephat.

 

        Agensir.it

 

 

 

 

Leggendo questo articolo non possono che tornare in mente i tempi di don Bosco, il quale si trovò ad affrontare la terribile epidemia di colera  che colpì la popolazione di Torino nel 1854. Come testimoniato nel passo delle “Memorie Biografiche” che leggeremo di seguito, i giovani dell’oratorio si adoperarono per assistere i malati, proprio come oggi stanno facendo i ragazzi della Liberia… È lo spirito di don Bosco che ancora anima i giovani di tutto il mondo che vogliono seguirlo, mettendosi a disposizione dei bisognosi e degli emarginati, rischiando la propria vita per gli altri…

 

 

 

 

«Intanto i casi di coléra in Torino e nei sobborghi facevansi ogni dì più frequenti, e D. Bosco appena ebbe notizia che l'epidemia era scoppiata nei dintorni dell'Oratorio, senz'altro accorse ad assistere gli appestati. Mamma Margherita, che in varie circostanze aveva dimostrata tanta trepidazione per la vita del figlio, dichiarò essere doveroso per lui l'affrontare il contagio.

Nello stesso tempo il Municipio torinese creava in fretta dei lazzaretti, per raccogliere i colerosi che non avessero mezzi di assistenza e di cura nella propria casa. Due di questi ospedali improvvisati vennero stabiliti nel Borgo S. Donato, che allora faceva ancor parte della parrocchia di Borgo Dora. Ma se al Municipio torinese riusciva facile fondare qua e colà lazzaretti, tornava poi difficilissimo il trovare persone, le quali ancorchè per paga volessero prestarsi a servire gli ammalati nei medesimi e nelle case private.

 

Anche i più coraggiosi te­mevano di contrarre il malore, e rifiutavano di esporre a cimento la propria vita. Allora fu che alla mente di D. Bosco balenò un gran pensiero: pensiero, che gli suggerì una  generosa e nobile determinazione. Dopo essersi per parecchi giorni e parecchie notti prestato qua e colà all'assistenza dei colerosi, insieme con D. Alasonatti e con alcuni Sacerdoti di Torino ad­detti all'Oratorio festivo; dopo di aver veduto coi proprii occhi il bisogno in cui molti malati versavano, D. Bosco un giorno radunò i suoi giovani e fece loro una tenera parlata. Egli descrisse loro lo stato miserando, in cui tribolavano tanti poveri colerosi, alcuni dei quali soccom­bevano per mancanza del pronto e necessario soccorso. Disse il bell'atto di carità, che si era il consacrarsi in loro sollievo; che il divin Salvatore aveva assicurato nel santo Vangelo di riguardare come fatto a se stesso il servizio prestato agli infermi; che in tutte le epidemie, e nelle stesse pestilenze vi erano sempre stati Cristiani ge­nerosi, i quali avevano sfidata la morte allato degli ap­pestati, per servirli ed aiutarli nel corpo e nell'anima. Loro notificava come il Sindaco stesso erasi raccomandato, per avere degli infermieri ed assistenti; che D. Bosco con varii altri già si erano esibiti; e conchiudeva esprimendo il desiderio che alcuni de' suoi giovani si facessero suoi compagni in quell'opera di misericordia. - Queste parole di D. Bosco non caddero invano. I giovani dell'Oratorio le raccolsero religiosamente e si mostrarono degni figli di un tal padre. Quattordici di essi gli si presentarono bentosto, pronti a compiere i suoi desiderii, e gli diedero il proprio nome, per essere consegnato in nota alla Commissione sanitaria; e pochi giorni dopo altri trenta ne seguirono l'esempio.

 

Istruitili adeguatamente, venne stabilito un orario, e furono dispersi quali in uno e quali in un altro luogo. Gli uni dovevano porgere il loro aiuto nei lazzaretti, gli altri nelle case particolari, questi in una e quegli in un'altra famiglia. Alcuni poi giravano all'intorno per esplorare, se vi fossero malati non ancora conosciuti; altri rimanevano a casa, per essere ognora pronti alla prima chiamata».

 

        Memorie Biografiche, Vol. V, Cap. IX

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