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“Signore Gesù, abbi pietà di me!”

«Prova a regalarti un quarto d'ora e a stare davanti a Gesù Crocifisso, ripetendo con calma la preghiera dell'esattore delle tasse: “Signore Gesù, abbi pietà di me che sono peccatore”». L'omelia di questa Domenica scritta da don Gianni Ghiglione.


“Signore Gesù, abbi pietà di me!”

 

0. La domanda che Gesù pone  “Quando il Figlio dell’uomo tornerà sulla terra troverà ancora fede?”  motiva le due parabole: l’una sulla preghiera perseverante (18, 1-8 e l’abbiamo ascoltata domenica scorsa) e l’altra sulla preghiera umile (18, 9-14 e l’ascolteremo in questa domenica). Dunque il tema è ancora quello della preghiera, incastonata nella cornice ampia e decisiva della fede. La fede senza preghiera perseverante e umile muore o diventa presuntuosa: questo è il cuore del messaggio.

Focalizziamo ora alcuni punti. Come sempre, ti invito a leggere prima per tuo conto la parabola e a cercare di far emergere il messaggio “per te”: cosa vuole dire Gesù alla tua vita, al tuo modo di pregare, alla tua autosufficienza...? Quello che scrivo io è secondario rispetto a questo tuo lavoro personale, fatto di lettura attenta, di silenzio, di ascolto.

 

1. Scandalo! La parabola cresce intorno a due punti:

  • Il confronto carico di provocazione tra i due protagonisti: il fariseo, osservante, “giusto” e l’esattore delle tasse, considerato da tutti ladro, peccatore, amico del potere romano....
  • Lo scandalo a poco a poco prende forma nel cuore dell’uditore ebreo, scandalo prodotto dal capovolgimento del concetto religioso radicato nel giudaismo: la salvezza sta nell’esatto adempimento della Legge. Il fariseo si ritiene giusto perché digiuna, paga le tasse... osserva la Legge. Il suo Dio è interessato solo alle sue azioni, al suo comportamento! Il cuore, l’amore con cui le azioni vengono compiute non c’entrano! La semplice osservanza della Legge può diventare autosufficienza, motivo di orgoglio e chi confida solo in sé non lascia spazio né a Dio, considerato come un pari (“presumevano di essere giusti”), né agli altri, considerati inferiori (“e disprezzavano gli altri”). Anche in noi può insinuarsi il rischio di abituarci a trattare con Dio come un pari, vantandoci delle nostre prestazioni davanti a Lui.

 

2. “... a pregare”: salire al tempio a pregare è di per sé un’azione buona. Sarà l’intenzione di ognuno dei due protagonisti a renderla vera preghiera o a renderla preghiera vana, inutile. In altre parole: la preghiera ci svela la nostra interiore verità; essa non ci lascia mai come eravamo prima .

Si impone quindi la grave domanda: da che cosa è mossa la mia preghiera?

Confrontiamoci con i due opposti atteggiamenti.

  • Il fariseo prega ritto “davanti a sé”. Da qui nasce l’insensatezza del suo monologo vanaglorioso: nessuna richiesta di perdono, né lode, né supplica, né ringraziamento (l’unico grazie è detto perché egli si ritiene migliore degli altri).  “Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità” (Isaia 1, 13). Una simile preghiera è abominio davanti a Dio.
  • L’esattore delle tasse (il pubblicano) invece sta lontano, con gli occhi bassi, battendosi il petto. La preghiera vera nasce dal senso dell’indigenza e del bisogno di Dio. Quest’uomo riconosce la misericordia divina e si mostra disposto alla conversione: due atteggiamenti che Dio mostra di gradire.  Ai gesti si unisce la voce del pubblicano: “Dio abbi pietà di me che sono il peccatore”. Riconoscere la propria umiltà è ciò che Dio ama. Non si riconosce come un peccatore qualunque, ma il peggiore in assoluto: sono IL peccatore, si legge nel testo greco!  Ammiriamo nel pubblicano la ‘contritio cordis’’: si tratta di un cuore ‘spezzato’,  ‘ridotto in frantumi’.
  • È proprio quando riconosciamo di essere a pezzi a causa del peccato commesso e invochiamo la misericordia del Padre che succede il miracolo: Dio ci tocca con il suo amore e ci rimette in piedi, ci rinnova nel profondo e osiamo alzare lo sguardo e invocarlo “Padre nostro...”  

 

3. Umiltà e presunzione: dietro i due personaggi della parabola ci sono i due atteggiamenti della preghiera, da loro vissuti.

La presunzione nella nostra giustizia, nelle azioni (anche buone) da noi compiute non permette la preghiera, non aumenta la nostra fede, non salva!

  • Il dramma del fariseo è l’aver perso la coscienza del proprio peccato e della misericordia divina (cfr Romani 3, 23; 8, 33).
  • La fortuna dell’esattore delle tasse invece è quella di essere consapevole della propria pochezza e della misericordia divina.

L’umiltà esalta chi la pratica, fa fiorire la fede, la preghiera ed apre la strada verso il cielo. Non per nulla Cristo, umile di cuore (Matteo 11,29), diventa IL maestro di preghiera perseverante!

 

4. La preghiera del cuore: prova a regalarti un quarto d’ora e a stare davanti a Gesù Crocifisso, ripetendo con calma la preghiera dell’esattore delle tasse “Signore Gesù, abbi pietà di me che sono peccatore”. Ripetila lentamente, facendo scorrere davanti agli occhi del tuo cuore i tuoi peccati, le tue infedeltà, le tue mancanze (grandi e piccole) e ogni volta  “Signore Gesù….”

Nascerà nel cuore il bisogno di un Salvatore, che ci liberi dal male e ci dia pace; Cristo Crocifisso è la tua salvezza, la tua misericordia, la tua pace!

Nascerà nel cuore un profondo senso di umiltà e di riconoscenza: siamo nulla, eppure Dio nella sua infinità bontà può trasformare il nostro nulla in un tesoro, in tanta ricchezza per te e per altri.

La gioia è il risultato finale: senti di essere amato/a dalla tenerezza misericordiosa e gratuità del Padre che ti abbraccia, ti benedice e ti incoraggia.

 

 

 

 

don Gianni Ghiglione

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