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HARAMBEE 2013. L'intervento del Rettor Maggiore.

Nei suoi messaggi ai giovani, l'invito di Papa Francesco è stato quello di investire le proprie energie, la loro stessa vita, per cause positive per le quali vale la pena di spendere la vita. In particolare Cristo Gesù...


HARAMBEE 2013. L'intervento del Rettor Maggiore.

 

Torino, 29 settembre 2013

 

Buon giorno!

C’è un po’ di cambiamento nella temperatura esterna e si vede che anche qui l’ambiente è meno brillante di ieri, quando c’era il sole. Si vede che le nuvole, la pioggerella, raffreddano l’entusiasmo… Non deve essere così: vi voglio felici, coraggiosi, allegri, salesiani, giovani!

[applausi in crescendo]

Meno male!

Questa edizione dell’Harambée ha per me un significato del tutto speciale, perché l’ultima volta che ho la grazia di poter inviare una spedizione missionaria – la 144ma – e mi sento davvero molto riconoscente verso il Signore, verso i missionari e le missionarie e i volontari che hanno espresso la propria disponibilità per la missio ad gentes, cioè per obbedire a quanto il Signore aveva chiesto a tutti noi; e soprattutto perché è stata un’opportunità per toccare con mano la grande grazia, quanto il Signore ha come suo disegno sulla nostra Congregazione e Famiglia Salesiana.

 

Carissima Madre Yvonne,

Carissimi confratelli e sorelle Figlie di Maria Ausiliatrice,

Carissimi amici di Don Bosco,

Carissimi giovani

Ci siamo radunati ancora una volta, qui a Valdocco, come tutti gli anni, celebrando l’Harambée che quest’anno ha come slogan “Come ti cambia l’Harambée” e per l’invio della nuova spedizione missionaria, la 144a. Questo vuol dire che oggi assistiamo a una pagina della storia davvero molto bella che ebbe il suo inizio l’11 novembre 1875, quando don Bosco inviò la prima spedizione missionaria: una bella storia per cui lodare e ringraziare il Signore! Una storia che ha scritto pagine veramente d’oro, sia per la testimonianza dei nostri fratelli e delle nostre sorelle e dei volontari, sia per lo svolgimento di una missione talmente significativa che veramente è riuscita a far sì che diventasse non soltanto un’opportunità per la diffusione del carisma salesiano, ma che ha portato a tanta santità. Una storia che diventa o dovrebbe essere stimolo per un rinnovato impegno di trasformazione profonda del mondo attraverso il dono dell’evangelizzazione, dell’educazione, dell’incontro con la diversità delle culture, dei popoli delle razze e tutto mentre noi portiamo la Buona Novella di Gesù.

Durante questi ormai 12 anni del mio rettorato e dunque del privilegio di aver presieduto questi incontri e l’eucaristia di invio, la Chiesa è stata guidata da tre sommi pontefici: Giovanni Paolo II, negli ultimi anni del suo pontificato; tutto il periodo del pontificato di  Benedetto XVI e ora i primi mesi di papa Francesco. Ciascuno di loro ha interpretato il ministero petrino e ha dato alla Chiesa un impulso diversificato in base alla propria persona - Giovanni Paolo II molto diverso da Benedetto XVI e da Papa Francesco - al proprio background - uno viene da una colonia di un regime Comunista, Benedetto XVI dall’esperienza come professore di teologia, poi Arcivescovo di Monaco, e diversi anni di lavoro nel dicastero della dottrina della Fede e papa Francesco dal suo curriculum da Gesuita fino a Provinciale e dopo Arcivescovo di Buenos Aires. Ciascuno da un’esperienza ecclesiale e da sfide molto diverse, cercando in tutti e tre i casi di rispondere alle sfide di questa società.

Penso che oggi ci troviamo davanti ad una figura accattivante: quella della figura carismatica di Papa Francesco. Egli con i suoi gesti, con i suoi atteggiamenti e i suoi interventi sta rinnovando profondamente la Chiesa, cercando di illuminare la mente, di riscaldare il cuore e di irrobustire la volontà di tutti con la luce e l’energia del Vangelo per fare di noi tutti testimoni coraggiosi, “discepoli e missionari di Cristo”, inviati al mondo, senza paura, per servire i più poveri ed emarginati e così trasformare questa società.

 

Allora, carissimi miei amici, carissimi fratelli e sorelle, io vorrei soffermarmi in questa mattinata su alcuni aspetti del pontificato di Papa Francesco perché vorrei che comprendessimo meglio la sua figura.

I suoi atteggiamenti e i suoi gesti, che non sono semplicemente per la cronaca dei giornalisti che stanno dando un grande rilevanza a tutto quanto fa, dice e a tutto quanto esprime che cosa rappresentano?

Prima di tutto un magistero molto diverso da quello di Benedetto XVI e di quello di Giovanni Paolo II; ma soprattutto ci sta facendo vedere un nuovo tipo di Chiesa molto in sintonia con le grandi scelte del Vaticano II - anche se Lui non ne parla - molto in sintonia naturalmente con la nuova evangelizzazione - anche se lui non lo dice esplicitamente - molto in linea con l’anno della Fede - anche se lui non dice “questo è per l’anno della Fede”. Io che sono stato con lui per tre settimane lavorando ad Aparecida vi posso dire che quello che sta facendo il Papa rispecchia da una parte la sua identità gesuitica e dall’altra la sua identità di un pastore latino americano che in modo particolare ha definito ad Aparecida il tipo di Chiesa che oggi lui sta proponendo.

Vi invito a fare questo perché noi non possiamo vivere la nostra vita cristiana, svolgere la nostra missione salesiana, prendere parte a questo grande momento ecclesiale senza sapere chi è Papa Francesco: che cosa vuole, quale tipo di Chiesa, quale tipo di governo.

Che cosa fa Lui?

1. Prima di tutto parte sempre dalla realtà e questo per i missionari è il primo punto: partire sempre dalla realtà. Perché significa guardare la realtà con lo sguardo di Dio. Dice la Genesi che, finita la creazione, «Dio vide quanto aveva fatto ed era molto bello». Guardate lo sguardo di Dio: tutto era molto bello. E dopo quando comincia il primo peccato e comincia il disordine vide che il male si era diffuso su tutta la terra: la capacità di guardare non soltanto la bellezza del mondo la bellezza di questa realtà, la presenza terrificante del male. Che cosa fa questo Dio? Questo Dio che guarda la realtà dove siamo decide di intervenire prima quando chiama Abramo e dopo quando, guardando il popolo ebraico schiavo in Egitto, dice: «Ho visto la sofferenza del mio popolo, ho ascoltato il suo grido ho deciso di scendere».

La prima cosa di Papa Francesco è guardare la realtà con lo sguardo di Dio con cui Dio guarda questa realtà. E che cosa fa? Fa un progetto di salvezza che si manifesta nell’invio del proprio Figlio, nell’incarnazione. Allora che cosa vi invito a fare per essere e rimanere in sintonia con il Santo Padre? Imparare a guardare la realtà con lo sguardo di Dio e non fare solo studi di sociologia per spiegare la complessa realtà sociale che stiamo vivendo, ma soprattutto per scoprire il bisogno di salvezza di questa Società.

2. E allora ecco il secondo elemento che è quello di poter avviare processi di cambiamento. Torno a dire che quando Dio vede la realtà ha immediatamente un piano d’azione: inviare il Figlio. Quanto ci ama Dio? Tanto da mandare il proprio Figlio per trasformare questa realtà, per salvare questa realtà.

Due settimane fa restavo meravigliato quando pensavo a quelle tre parabole che presenta il Vangelo di Luca al capitolo quindicesimo. Perché si parla di un pastore che perde una pecora e lascia le novantanove per andare a cercare la pecora perduta; di una donna che perde un talento e si dedica con tanto affanno a cercarlo; di un padre che ha perso un figlio e ogni sera si affaccia all’orizzonte per vedere se torna. Vuol dire che Dio ci ama tanto che ciascuno di noi vale Dio! Per me, per ciascuno di noi, Dio ha inviato il proprio Figlio.

Guardate che cosa fa Dio: avvia processi di cambiamento. E questo in che modo? Cercando l’unità. Guardate l’atteggiamento di Papa Francesco: non cerca di inasprire tutti i conflitti sociali. Nel momento in cui sembrava che stesse per scoppiare una guerra che poteva creare una guerra mondiale per la questione del medio oriente, immediatamente ha indetto una giornata di veglia di preghiera e di digiuno; non ha cercato di inasprire le differenze delle dinamiche sociali. Come unire? Che cosa unire? Ci può unire il bene dell’umanità, ci può unire il superamento dei grandi drammi che soffre l’umanità: la guerra, la povertà, l’esclusione, l’emarginazione. Tutto questo attraverso la cultura del dialogo, una cultura molto rispettosa della diversità ben consapevole del ruolo insostituibile che ha la Chiesa nel collaborare nella riconciliazione di questo mondo.

Qual è allora la Chiesa che Papa Francesco vuole promuovere e far vedere?

Innanzitutto una Chiesa, libera dalla mondanità spirituale, dalla tentazione di congelarsi nel suo quadro istituzionale, cioè dalla tendenza all’imborghesimento, dalla chiusura su se stessa, dal clericalismo. Perciò a me piace vedere un’assemblea come questa fatta di uomini, donne consacrati, volontari: tante persone coinvolte nell’unica missione evangelizzatrice. Una Chiesa che sia veramente il corpo del Verbo fatto carne e, come Lui, incarnata in questa realtà, risplendente nei più poveri e sofferenti.

Una volta hanno chiesto a Papa Francesco: «Lei crede veramente alla teologia della liberazione, lei crede a quello che è l’impegno per i poveri?»; e Lui dice: «Questa è una questione del Vangelo: non è una questione mia né della teologia tale. Se io un giorno al posto dell’omelia vi leggessi alcune delle omelie dei Padri della Chiesa, qualcuno mi direbbe che sono un comunista, un maoista… e sto leggendo pagine dei Padri della Chiesa! Che cosa fa il diacono Lorenzo quando lo obbligano a portare i tesori della Chiesa? Lui porta i poveri. E dice: “Questi sono il tesoro della Chiesa!”».

Quindi, una Chiesa che non può ridursi ad essere una piccola cappella, ma una Chiesa che dovrebbe essere casa per tutta l’umanità!

Voi ci avete accolti con un abbraccio dicendo: «Tutto il mondo vi abbraccia!». Io dico: è Cristo che vuole abbracciare tutto il mondo! È Cristo che ha voluto la Chiesa perché diventasse una casa per tutti! Non vuol dire che tutti devono essere cristiani, non vuol dire che dobbiamo spingere perché tutti quanti entrino, ma che ci sia un o spazio in cui si trovino perché c’è uno spazio per il dialogo, per la diversità per la tolleranza. Come diceva Papa Francesco: «Non è che io debba obbligare il mondo a accettare la Chiesa così come è; ma è la Chiesa che deve accogliere il mondo come il mondo è».

Dunque, una Chiesa fatta di apertura e accoglienza verso tutti, nella diversità delle razze, delle culture, delle religioni. E tale apertura e tale accoglienza sono possibili solo attraverso una cultura del dialogo, che renda possibile l’unità nel rispetto della diversità.

Soprattutto ci vuole una Chiesa che esce sulle strade per evangelizzare, per toccare con mano i cuori delle persone; una Chiesa pronta a servire, che si propone di raggiungere non soltanto le periferie geografiche, ma quelle dell’esistenza dove a volte stentano a vivere i nostri fratelli e sorelle. Una Chiesa povera, che privilegia i poveri, che dà loro voce, che si impegna per superare la terribile cultura dell’indifferenza in cui stiamo vivendo e che porta alla violenza di chi si sente sempre più deluso, sfruttato ed emarginato. Una Chiesa che dà una giusta attenzione e rilevanza alle donne, sia nella società sia nella Chiesa. Il Papa ha detto una frase molto bella e molto impegnativa: «Senza le donne la Chiesa corre il rischio della sterilità».

Tutto questo è magistero! Tante di queste cose si possono leggere sui giornali, ma come se fossero semplicemente questioni aneddotiche. Invece no. Qui c’è un magistero! Qui c’è una concezione di Chiesa! Qui c’è un tipo di governo!

A Rio de Janeiro, nella GMG, il Santo Padre, ha fatto tanti interventi, accompagnati da gesti. Ha fatto tre discorsi, programmatici, che in questo momento voglio portare alla vostra attenzione perché, in modo particolare, illuminano ciò che l’animazione missionaria è e quello che è l’impegno missionario per ciascuno di noi.

Parlando ai Vescovi brasiliani, Papa Francesco ha detto che la Chiesa non è un “transatlantico”, ma una piccola barca: una semplice barca di pescatori. Vuol dire che Dio opera attraverso mezzi poveri, che non è immediatamente dando l’impressione di un grande potere economico, perché noi non siamo una multinazionale d’imprese. La Chiesa deve operare con mezzi veramente poveri. Il successo non può poggiare sulla sufficienza umana, ma sull’energia di Dio, sulla creatività di Dio.

È morto quest’anno uno dei più grandi Missionari che abbia avuto la Congregazione Salesiana: padre Luigi Bolla. Ricordo che, quando veniva alla Casa generalizia, prima di tutto non chiedeva soldi ma passava ore in preghiera davanti al Santissimo. Era un mistico disperso nell’Amazzonia - ci volevano dieci giorni per raggiungere il luogo dove abitava! - diventato come uno del popolo Ashuar: voleva rendere presente Dio incarnandosi in mezzo a loro!

La Chiesa non è un “transatlantico”, ma una piccola barca di pescatori e deve imparare ad operare con mezzi poveri.

La Chiesa è chiamata a trasformarsi volta per volta, ricordando che il mistero di Dio entra attraverso il cuore, non soltanto attraverso spiegazioni razionali: questa è illustrazione. È molto bello quello che dice Papa Francesco nella sua ultima intervista a La Civiltà cattolica: «Per conoscere la Madonna si può chiedere ai teologi, mentre se si vuole sapere come si ama la Madonna bisogna guardare il popolo». Milioni di fedeli affluiscono ai Santuari e non si fanno tanti problemi dogmatici sulla Madonna, sull’Immacolata Concezione, sulla maternità divina di Maria, sull’Assunzione ma sentono che Lei è viva, che è accanto a loro, che ascolta.

Io che vengo dal Santuario mariano più frequentato nel mondo – il santuario di Nostra Signora di Guadalupe – posso dire che è normale vedere la gente semplice parlare alla Madonna, che sentono viva, vicina, accanto a loro. Siamo noi che facciamo tante riflessioni. Perché?

Non dimentichiamo: il mistero entra per il cuore e non per la testa.

Se vogliamo portare i giovani all’incontro con il mistero di Dio, questo deve avvenire in base a grandi esperienze di amore, che aprano il cuore e non semplicemente che ci facciano conoscere di più.

Non dimentichiamo l’icona di Emmaus, quando i discepoli stavano fuggendo da Gerusalemme delusi di quanto era accaduto. Che cosa sta accadendo? Quanti stanno abbandonando la Chiesa?

Una delle esperienze più tristi della mia vita è stata quando, nella mia ultima visita in Olanda, ho visto, praticamente, la Chiesa sparire; quando siamo andati a cominciare da capo una nuova presenza. E che cosa significa? A volte la Chiesa non ha la vitalità, non ha il fascino, non ha la visibilità e la credibilità per continuare ad attirare a sé gli uomini e le donne di questo tempo. La Chiesa deve trasformarsi profondamente se vuole continuare ad essere quanto è.

Ecco, queste sono alcune cose che il Papa diceva ai Vescovi del Brasile. Diceva così: «Sembra che la Chiesa abbia dimenticato che non c’è niente più alto di Gerusalemme, di più forte della debolezza della croce, di più convincente della bontà, dell’amore, del veloce ritmo dei pellegrini; perché la nostra non è una maratona, ma un pellegrinaggio». Quindi bisogna rapportare il passo a quello del popolo che si deve affiancare, per ritrovare il tempo di stare con coloro che camminano, per poterli accompagnare coltivando la pazienza e la capacità dell’ascolto e la comprensione di situazioni tanto diverse. Non come chi viaggia così velocemente da non vedere nulla!

Rivolgendosi ai dirigenti della politica e della cultura il Papa ha voluto sottolineare l’importanza della cultura dell’incontro per promuovere una società che riesca a far spazio a tutti, a non escludere nessuno. Una cultura dell’incontro che deve eliminare lo scarto sociale dei giovani, ai quali viene negata troppe volte la possibilità di lavoro e di futuro. E noi lo stiamo vivendo qui in Italia e in tutta Europa.

Ma soprattutto vorrei richiamare il discorso ai giovani in cui invitava ad investire le proprie energie.

Il giorno 15 agosto ho avuto la grazia di concelebrare la messa con Papa Francesco a Castel Gandolfo e dopo ho pranzato vicino a lui ed è poi ancora venuto a trovarci alla Parrocchia. Qui gli ho detto che stavo venendo a Torino per andare al Colle don Bosco ad incontrare 1200 giovani del MGS e gli chiesto cosa Lui voleva che dicessi. Lui mi ha risposto : «Che brucino le loro energie per Dio e per i poveri!». Questo vuol dire che vale la pena, cari ragazzi, spendere la vita per quelle cose che vale la pena vivere: in particolare Gesù Cristo - che vale tutta una vita - e il servizio dei poveri!

Insomma, in questi pochi mesi di pontificato, Papa Francesco è stato come un uragano che sta togliendo la polvere della Chiesa, sta facendo dimagrire la burocrazia, sta rendendo più povera e semplice la Chiesa, e, soprattutto, un Papa che l’ha fatta uscire sulle strade per evangelizzare. Ha fatto sentire che la Chiesa è una Madre piena di tenerezza e di amore, piena di dolcezza, piena di umiltà, piena di pazienza. E l’ha insegnato con i suoi gesti, con i suoi atteggiamenti e con le sue scelte personali, con il suo modo di rapportarsi con il mondo.

Ecco perché è importante conoscere, capire ed assumere questo splendido momento ecclesiale che stiamo vivendo. E, senza pretese eccessive, devo dire che il cammino che stiamo vivendo, come Famiglia Salesiana, in preparazione al bicentenario della nascita del nostro amato Padre e Fondatore Don Bosco, è proprio su questa linea. I nostri Capitoli Generali, quello delle Figlie di Maria Ausiliatrice e quello dei Salesiani, con l’invito alla maggiore radicalità evangelica, va proprio in questa direzione.

 

Concludo dando ai Missionari tre consegne.

La prima : vi voglio con una grande familiarità con la Parola di Dio. Dovete avere in mano sempre la Parola di Dio, perché se avete in mano la Sua Parola potete avere la mente di Dio, lo sguardo di Dio per contemplare il mondo come Dio lo contempla.

Prima cosa: familiarità con la Parola, perché vi aiuti a contemplare il mondo con lo sguardo di Dio, perché possiate come Lui vedere la bellezza di quanto c’è: le gioie e le speranze ma anche le tristezze e le angosce; perché questa possa muovere ad una grande compassione.

E viene la seconda: un grande Amore all’Eucaristia. Dovete centrare la vostra vita nell’Eucarestia perché sarà il momento in cui riconoscerete che Dio ha reagito a questo male del mondo cercando di inviare il proprio Figlio, che ci ama fino all’estremo nel dare la propria vita per noi e che noi siamo chiamati a completare nel nostro corpo quanto è mancato alla passione di Cristo; che noi stessi siamo chiamati ad essere pane condiviso per gli altri. L’amore all’Eucarestia deve aiutarci a riempire il nostro cuore pastorale di un amore che ci porta a donare la nostra vita per coloro che il Signore ci ha affidato.

Il terzo : un servizio generoso ai più poveri. Non perdere mai di vista che questa è stata una scelta di predilezione del Signore Gesù, che si è sentito chiamato a fare questo.

Oggi, dopo questo Harambée, nella Basilica di Maria Ausiliatrice avremo la celebrazione dell’invio della 144ma spedizione missionaria.

 

Ai confratelli missionari,

alle sorelle Figlie di Maria Ausiliatrice missionarie,

ai volontari missionari

prima di tutto un grazie dal profondo del cuore per la vostra generosa disponibilità per la missio ad gentes: la vostra è una vocazione e un dono di Dio per voi, per i nostri Istituti, per la Chiesa.

Coraggio perché non andate da soli: il Signore sarà con voi!

Noi vi stiamo sempre vicino con l’affetto e con la preghiera.

E oggi, in modo particolare, nella Basilica di Maria Ausiliatrice affideremo la persona di ciascuno di voi, il vostro lavoro, alla guida materna di Maria Ausiliatrice: lei renda feconda la vostra vita, la vostra donazione al Signore, in modo tale che il sogno meraviglioso di Dio su di noi si possa realizzare.

A tutti voi, auguri di una bella ed indimenticabile giornata in questa nuova pagina della storia missionaria salesiana!

Grazie.

 

Valdocco, 29.09.’13

 

 

Don Pascual Chávez

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