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Dove può arrivare una benedizione

Un pensiero davvero inclusivo e non solo tollerante, per noi cattolici sarebbe cioè l'inizio di una via che il vangelo indica bene...


Dove può arrivare una benedizione

del 29 marzo 2017

Un pensiero davvero inclusivo e non solo tollerante, per noi cattolici sarebbe cioè l'inizio di una via che il vangelo indica bene...

 

Mi sono divertito molto. Sarà che per sopravvivere nella scuola ho imparato da tempo, sulla mia pelle, il medesimo principio. E vederlo riconosciuto dalla sesta sezione del consiglio di stato fa piacere. Sarà perché, per una volta, una sentenza su questioni attinente la scuola pubblica non si regge su principi astratti di laicità. O forse, più semplicemente perché condivido il contenuto. In ogni caso la sentenza del consiglio di stato che autorizza le benedizioni nelle scuole pubbliche in orario non curriculare e con libertà di partecipazione per chi vuole, a me piace.

Essa afferma che la benedizione all'interno di una scuola è un atto che "ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall'orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all'evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso".

In sostanza i ricorrenti (undici tra genitori e docenti) pretendevano che fosse vietato tale atto, perché loro si sentivano "lesi" nel proprio sentimento religioso, per il semplice fatto che la benedizione avveniva a scuola (benché loro non vi prendessero parte, e fosse fuori dall'orario di lezione).

Dico subito che questa mia posizione non è motivata da un rigurgito confessionalista, o, per chi lo legge d'altra parte, da una deriva laicista. Sono abbastanza vecchio per aver capito che questa è una distinzione/opposizione irrealistica e soprattutto perfettamente astratta e ideologica che chiunque abbia davvero i piedi per terra, oggi non frequenta più. La questione, mi stuzzica invece per un altro motivo.

Per me è davvero raro, infatti, vedere sentenze che si reggono su un principio relazionale elementare, ma quasi sempre misconosciuto, che sta alla base di ogni sano rapporto, personale, sociale o culturale. E cioè che ognuno è responsabile delle emozioni che prova. E tale responsabilità, quindi, non può mai essere imputata agli altri. Se uno si sente offeso dovrebbe riconoscere che non è l'atto in sé di fronte a cui si sente offeso a generare tale emozione, ma il proprio modo di recepire tale atto. Tanto è vero che di fronte al medesimo atto uno si può offendere, ma si può anche divertire, si può anche sentire in colpa, si può anche sentire estraneo alla questione, ecc.. Oppure, che persone diverse reagiscono in modo diverso di fronte al medesimo atto, che per qualcuno può essere offensivo.

Un corollario etico interessante di tale principio è che nessun gruppo culturale possa pretendere che un altro gruppo culturale faccia (o non faccia) qualcosa che sarebbe ritenuto origine di "offesa o lesione" dal primo gruppo. Come il mio grande maestro, mons. Catti, mi insegnava già qualche decennio fa, se si vuole vedere la bontà di un principio etico, va portato all'estremo. In questo caso all'estremo avremmo che, se questo corollario non fosse rispettato, il semplice fatto che esista una chiesa, all'interno di una città cioè in luogo pubblico, potrebbe essere invocato come offensivo per chi ritiene insensata la religione.

Detto in altri termini: un pensiero davvero inclusivo e non solo tollerante, può iniziare ad esistere solo quando io smetto di pretendere che gli altri rispettino la mia scala di valori, e a rovescio, non mi sento colpito quando gli altri pretendono che io rispetti la loro. Ora, ho l'impressione che finché si tratta di affermare la prima parte della frase, noi cattolici ci possiamo anche arrivare (almeno quelli più moderati). Non altrettanto però, quando tocca a noi affermare la seconda parte. Siamo spesso molto reattivi e ci sentiamo velocemente offesi. Cosa che, con ogni probabilità, mostra solo la nostra poca sicurezza nelle nostre posizioni. Così come la reazione offesa dei laicisti alla benedizione nella scuola, mostra solo la loro debolezza.

Un pensiero davvero inclusivo e non solo tollerante, per noi cattolici sarebbe cioè l'inizio di una via che il vangelo indica bene e che spinge ben più in là di questo stesso inizio: "Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; (...) Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico;  ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori". Forse la cifra etica più specifica del cristiano è proprio questa. Ma è accessibile solo a chi sul serio si lascia afferrare dalla sicurezza della verità (e del mistero!) di Cristo, e quindi sa che battagliare per vincere non gli appartiene.

 

 

Gilberto Borghi

 

 

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