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Una storia vera. Ermanno, il monaco disabile che scrisse la Salve Regina.

Scorrendo un calendario in tedesco, mi imbatto, il 24 di settembre, in Hermann der Lahme, Ermanno lo storpio, che non penso molti conoscano. È un monaco vissuto nella prima metà dell'XI secolo nel monastero di Reichenau, sul lago di Costanza, quasi certamente compositore del Salve Regina...


Una storia vera. Ermanno, il monaco disabile che scrisse la Salve Regina.

da Teologo Borèl

del 01 febbraio 2007

In occasione della prossima Giornata per la Vita (5 febbraio) abbiamo pensato ad un articolo un po' speciale, che potesse prendere, come suol dirsi, due piccioni con una fava! Raccontare la storia dell'autore della Salve Regina e, nello stesso tempo, trasmettere qualcosa a proposito del valore della vita umana. E la provvidenza ha fatto quasi tutto lei e ci ha portato ad un giovane monaco disabile dell'XI secolo! Pochi forse, tra i milioni che ripetono la Salve Regina, si domandano chi sia l'autore, se mai ci fu, di quella commossa invocazione, e dove per la prima volta sia stata pronunziata, e quando. Come spesso accade per le preghiere più popolari, ripetute da secoli nella liturgia di ogni giorno, non le consideriamo più invenzione e composizione di un uomo. Ci sembrano anonime, e non perché impersonali, ma proprio perché appartenenti a tutti, e ad ogni tempo. Invece, la Salve Regina (e anche l'Alma redemptoris mater) è, diciamo così, una preghiera firmata. Ha un autore, un luogo di origine e una data di nascita. seppur approssimativa. Ermanno, il nostro monaco, era uno dei quindici figli del conte di Altshausen in Svevia (Germania) che ”in un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire all’atto stesso della nascita. I pagani d’oggi, ...dichiareranno che non avrebbe mai dovuto nascere; se poi diventano ancor più razionali, affermeranno che un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore. E lo ripeterebbero con calore ancora maggiore quando aggiungerò che i competenti di novecento anni fa lo dichiararono anche deficiente... Che cosa fecero quei poveretti dei genitori ancor sommersi in quelle che abbiamo la faccia tosta di chiamare le ‘tenebre del medioevo’? Lo mandarono in un monastero e pregarono per lui.”. Ascoltiamo, dunque, la bella ed edificante storia di Ermanno lo storpio,  'l’infimo dei poveretti di Cristo'... come egli amava definirsi!

 

 

Ermanno lo storpio

 

Scorrendo un calendario in tedesco, mi imbatto, il 24 di settembre, in Hermann der Lahme, Ermanno lo storpio, che non penso molti conoscano. È un monaco vissuto nella prima metà dell’XI secolo nel monastero di Reichenau, sul lago di Costanza, quasi certamente compositore del Salve Regina, e siccome mi appresto a scrivere questo testo nel mese di ottobre, quando il Papa ha appena promulgato l’anno del Rosario e proposto i Misteri della luce, penso che sia bello offrire all’attenzione dei lettori questa figura che ci insegna come il dolore non sia necessariamente infelicità. Vediamo perché...

“Il 18 luglio dell’anno 1013 Eltrude, sposa di Goffredo, conte di Altshausen in Svevia, diede alla luce un figlio maschio. Gli sposi appartenevano entrambi a nobilissime famiglie e nomi di gentiluomini, di crociati e di alti prelati si ripetono continuamente nei loro alberi genealogici. Eppure di nessuno di costoro si è serbata durevole memoria, salvo che del piccolo essere che venne al mondo orribilmente deforme. Fu soprannominato ‘il Rattrappito’, tanto era storto e contratto: non poteva star ritto, tanto meno camminare; stentava perfino a star seduto nella sedia che era stata fatta appositamente per lui; le sue dita stesse erano troppo deboli e rattratte per scrivere; le labbra e il palato erano deformati al punto che le sue parole uscivano stentate e difficili ad intendersi.”

Questo è l’inizio della storia, che evidentemente mi colpì molto quando, alla fine degli anni sessanta, ci fu proposta come riflessione in una vacanza di studio. Ma ancora di più, il seguito suscita stupore.

”In un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire all’atto stesso della nascita. I pagani d’oggi, soprattutto quando si dica loro che il piccolo Ermanno era uno dei quindici figli, dichiareranno che non avrebbe mai dovuto nascere; se poi diventano ancor più razionali, affermeranno che un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore. E lo ripeterebbero con calore ancora maggiore quando aggiungerò che i competenti di novecento anni fa lo dichiararono anche‚ deficiente.” Martindale scrive intorno al 1950. E noi cosa diremmo?...“Che cosa fecero quei poveretti ancor sommersi in quelle che abbiamo la faccia tosta di chiamare le ‘tenebre del medioevo’? Lo mandarono in un monastero e pregarono per lui.”

 

La salvezza. Considerata con occhi superficiali, questa decisione sembrerebbe assurda, ma vediamo come prosegue la storia. Dobbiamo intanto tener presente che “erano stati i monasteri a raccogliere e a sviluppare tutto quanto era stato possibile dell’antica cultura. In Germania la cultura del passato veniva non soltanto dal sud latino, ma anche dall’Inghilterra e, certamente dall’Irlanda. Inoltre essa era largamente diffusa tra il popolo. (...) C’erano traduzioni in tedesco dei vangeli, nelle chiese si predicava in tedesco e si può dire che tutti i grandi nomi delle letterature latina e greca giungevano, attraverso il pulpito, all’orecchio di tutti. Le fonti erano sempre (occorre dirlo?) i monasteri, - quali San Gallo, Fulda, Reichenau, che raccoglievano grandi biblioteche, nonché le scuole che seguivano l’imperatore. (...) Fu in uno di tali monasteri che venne mandato il mostriciattolo deficiente.”

“Reichenau sorgeva in una deliziosa isoletta nel lago di Costanza, dove il Reno corre impetuoso verso le sue cateratte.

Il monastero era stato fondato prima di Carlo Magno - esisteva cioè da più di duecento anni. Sulla strada maestra, sulla riva di fronte, transitavano continuamente viaggiatori italiani, greci, irlandesi e islandesi. Le sue mura ospitavano dotti famosi e una scuola di pittura. (...) Qui il ragazzo crebbe. Qui il ragazzo che poteva a mala pena biascicare poche parole con la sua lingua inceppata, trovò, chissà in virtù di quale psicoterapia religiosa, che la sua mente si apriva.

Neppure per un solo istante, durante tutta la sua vita, egli può essersi sentito ‘comodo’ o, per lo meno, liberato da ogni dolore: quali sono tuttavia gli aggettivi che vediamo affollarsi intorno a lui nelle pagine degli antichi cronisti? Li traduco dalla biografia in latino: piacevole, amichevole, conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione - ah, ecco una parola di difficile traduzione - di essere galantuomo con tutti, mi pare che sarebbe il nostro modo di esprimerci, oggi. Con il risultato che tutti gli volevano bene.

 

Gli studi nel monastero: scienze... E frattanto quel coraggioso giovinetto - che, ricordate non era mai comodo, né seduto su una sedia, né sdraiato su un letto - imparò la matematica, il greco, il latino, l’arabo, l’astronomia e la musica. Scrisse un intero trattato sugli astrolabi (...) e nella prefazione scrisse: ‘Ermanno, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca (...) è stato indotto dalle preghiere di molti amici (già, tutti gli volevano bene!) a scrivere questo trattato scientifico’. Aveva sempre cercato di risparmiarsi lo sforzo, con ogni sorta di pretesto, ma, in realtà, soltanto a causa della sua ‘massiccia pigrizia’; tuttavia finalmente poteva offrire, all’amico al quale il libro è dedicato, la teoria della cosa, e aggiungeva che, se l’amico l’avesse gradito, avrebbe cercato, in seguito di svilupparlo su linee pratiche e più particolareggiate. E, lo credereste, con quelle sue dita tutte rattrappite, l’indomabile giovane riuscì a fare astrolabi, e orologi e strumenti musicali. Mai vinto, mai ozioso!

 

...musica ... In quanto alla musica - magari i nostri coristi d’oggi leggessero le sue parole! - egli afferma che un buon musico dovrebbe essere capace di comporre un motivo passabile, o almeno di giudicarlo, e poi di cantarlo. In generale i cantori, egli dice, si curano del terzo punto soltanto, e non pensano mai. Essi cantano, o, per meglio dire, si sgolano, senza rendersi conto che nessuno può cantar bene se la sua mente non è in armonia con la sua voce. Per tali cantanti da strapazzo una voce forte è tutto ciò che conta. Il che è peggio di ciò che fanno i ciuchi i quali, dopotutto, fanno assai più rumore, ma non alterano mai un raglio con un muggito. Nessuno tollera, egli dice, gli errori di grammatica; tuttavia le regole della grammatica sono artificiali mentre ‘la musica sgorga diritta dalla natura’ e in essa non soltanto gli uomini non correggono gli errori che commettono, ma giungono fino al punto di sostenerli... Come si vede, l’allegro piccolo storpio sapeva, all’occorrenza, usare un linguaggio assai caustico! È peraltro quasi certo che egli fu il compositore dello stupendo inno Salve Regina (con quella sua caratteristica melodia in canto fermo che ancor oggi si canta in tutte le chiese cattoliche del mondo), dell’Alma Redemptoris e di alcuni altri.

 

... storia. Ma oltre a questo, Ermanno, dotato di un cervello straordinariamente attivo e vigoroso, e che era a conoscenza di tutte le tradizioni delle più importanti famiglie del suo tempo ed aveva accesso a molti libri antichi che noi non conosciamo a causa delle distruzioni che in anni successivi dispersero e rovinarono le biblioteche degli antichi monasteri, scrisse un Chronicon di storia del mondo, dalla nascita di Cristo al tempo suo. Si sa che l’opera si meritò le lodi dei competenti del tempo, che la giudicarono straordinariamente accurata, fondata naturalmente sulle tradizioni, ma tuttavia obiettiva e originale. Eccovi dunque il monacello storpio, chiuso nella sua cella, ma desto, vivo, con gli occhi spalancati a seguire la scena del mondo esterno eppure non mai cinico, non mai crudele (è così frequente il caso che la sofferenza generi crudeltà) e capace di tracciare un quadro completo delle correnti della vita in Europa.”

Ci avviamo verso la conclusione di questa sorprendente storia, che racchiude in sé il contrasto tra la concretezza e la sofferenza da una parte e la bellezza e l’apertura verso l’infinito dall’altra: una vita reale.

 

Venne il momento di morire Lascio al suo amico e biografo Bertoldo di parlarci di questo. ‘Quando alfine l’amorevole benignità del Signore si degnò di liberare la sua santa anima dalla tediosa prigione del mondo, egli fu assalito dalla pleurite e trascorse quasi dieci giorni in continue e forti tribolazioni. Alfine un giorno, nelle prime ore del mattino, subito dopo la santa messa, io, che egli considerava il suo più intimo amico, mi recai da lui e gli chiesi se si sentisse un poco meglio. Riferisce poi il cronista che il paziente gli disse che la notte precedente gli era parso di essere intento a rileggere quel famoso Hortensius di Cicerone con le molte sagge osservazioni sul bene e sul male, e gli erano ripassate per la mente tutte le cose che egli stesso aveva avuto in animo di scrivere su quello stesso argomento. ‘E sotto la forte ispirazione di quella lettura, tutto il mondo presente e tutto ciò che ad esso appartiene - questa stessa vita mortale era divenuta meschina e tediosa e, d’altra parte, “il mondo futuro, che non avrà termine, e quella vita eterna, sono divenuti indicibilmente desiderabili e cari, così che io considero tutte queste cose passeggere non più dell’impalpabile calugine del cardo. Sono stanco di vivere”. All’udire queste parole di Ermanno, Bertoldo non seppe più trattenersi e, dice ‘ruppi in grida scomposte e pianti! Ma Ermanno dopo un poco tutto indignato mi rimproverò, tremando un poco per l’ira e guardandomi di sottecchi con aria di meraviglia: “Amico del mio cuore, diss’egli, non piangere, non piangere per me!” Dopo di che chiese a Bertoldo di prendere le tavolette per scrivere onde annotare alcune ultime cose. “E, aggiunse il morente, ricordando ogni giorno che anche tu dovrai morire preparati con ogni energia per intraprendere lo stesso viaggio, poiché, in un giorno e in un’ora che tu noi sai, verrai con me - con me, il tuo caro, caro amico.” E furono queste le sue ultime parole.

Ermanno morì, circondato dagli amici, dopo aver ricevuto il corpo e il sangue di Cristo nella santa comunione, il 24 settembre del 1054 e fu seppellito - oscuro monacello ch’egli era stato - ‘in mezzo a grandi lamenti’ nei suoi possedimenti di Altshausen ai quali aveva rinunciato da così lungo tempo.”

E Martindale così conclude: “La prima volta che mi venne tra le mani questa sua Vita in un vecchio testo latino tutto accartocciato, nella biblioteca di Oxford, fu, per me, come se una ventata di aria purissima fosse penetrata a disperdere l’atmosfera stagnante della stanza (...). Poiché la Vita, come la scrisse Bertoldo, è così piena di vita pulsante, Ermanno ne esce veramente vivo! Non perché sapesse scrivere sulla teoria della musica e della matematica, né perché seppe compilare minuziose cronache storiche e leggere tante lingue diverse, ma per il suo coraggio, la bellezza dell’anima sua, la sua serenità nel dolore, la sua prontezza a scherzare e a fare a botta e risposta, la dolcezza dei suoi modi che lo resero ‘amato da tutti’. (...) Senza dubbio allevare bene il corpo è cosa importante, tuttavia subordinata; l’educar bene la mente è la cosa principale - e questa educazione, credetemi, deve essere fondata su due elementi essenziali: l’amore e la religione - e le due cose sono strettamente unite. In questo povero, contorto ometto del medioevo, brilla il trionfo della fede che ispirò l’amore e dell’amore che fu leale alla fede professata. Ermanno ci dà la prova che il dolore non significa infelicità, né il piacere la felicità”.

 

 

LE SUE PREGHIERE SONO DIVENTATE PATRIMONIO DELLA CHIESA UNIVERSALE

 

Salve Regina

Salve, Regína, mater misericórdiae, vita, dulcédo et spes nostra, salve.

Ad te, clamámus éxsules fílii Hevae.

Ad te suspirámus geméntes et flentes in hac lacrymárum valle.

Eia ergo, advocáta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos convérte

Et Jesum benedíctum fructum ventris tui, nobis post hoc exílium osténde.

O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.

 

Salve, o Regina, Madre di misericordia; vita, dolcezza e speranza nostra, salve.

A te ricorriamo, noi esuli figli d'Eva; a te sospiriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime.

Ors√π, dunque, Avvocata nostra rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi.

E mostraci dopo questo esilio Ges√π, il frutto benedetto del ventre tuo, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria

 

Alma Redemptoris Mater

Alma Redemptóris Mater quae pérvia coeli porta manes,

et stella maris, succúrre cadénti, súrgere qui curat, pópulo:

tu quæ genuísti, natura miránte, tuum sanctum Genitórem,

Virgo prius ac postérius, Gabriélis ab ore Sumens illud Ave, peccatórum miserére.

 

O santa Madre del Redentore, porta del cielo sempre aperta,

stella del mare, soccorri un popolo decaduto, che desidera risorgere,

tu, che nello stupore della natura, generasti il tuo Genitore,

tu, vergine prima e dopo, che dalla bocca di Gabriele  udisti quell'Ave, abbi pietà dei peccatori.

Patrizia Solari

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