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“Maranhà tha” Sabato

“Vieni, Signore Gesù”, pregavano i primi cristiani delle comunità di Efeso. Questa resta


“Maranhà tha” Sabato

da L'autore

del 01 gennaio 2002

“Vieni, Signore Gesù”, pregavano i primi cristiani delle comunità di Efeso. Questa resta

sempre la preghiera dei tempi difficili, dei tempi come i nostri in cui la fede è purzficata dalla oscurità e in cui Dio si rivela nella trasparenza dell’Amore vissuto.

LODI: salmo 62 – salmo 124 – Cantico di Ezechiele (36)

VESPRO: salmo 69 – salmo 91 – Cantico di Maria (Luca 1)

LETTURE: Geremia 20 – Giovanni 14 – Matteo 25

“Maranhà tha”

Penso alle grandi città che ho visitato nel corso della mia vita: New York – Bangkok – S. Paolo Rio de Janeiro – Chicago – Hong Kong – Buenos Aires – Londra – Oslo – Parigi – Madrid – Dakar Fez – Algeri – li Cairo – Bagdad – Teheran Calcutta e agli innumerevoli centri abitati, piccoli villaggi dove mi sono recato a motivo del Vangelo.

Posso dire che nei miei viaggi non sono mai stato attratto da motivi turistici ma spinto solo dall’ansia dell’apostolato e del Mistero della Chiesa.

In ogni città ho pregato coi fratelli di fede, con coloro che come me tentano di vivere il Vangelo alla sequela del Cristo.

È stato questo un grande dono di Dio, che mi ha aiutato facendo navigare la barchetta della mia vita su un vero fiume gonfio di amicizie e nutrito la mia speranza nel calore delle assemblee liturgiche.

Quanti colloqui, di giorno e di notte, sul tema preferito di Dio e della Chiesa!

Pensando ai miei fratelli sparsi per il mondo capisco Cosa significa la paternità nello spirito e provo sovente la sofferenza della distanza.

Come vorrei stasera essere vicino ad ognuno.

Poter dire loro: coraggio!

Sì, coraggio nelle tribolazioni

coraggio nelle tentazioni

coraggio nella fede.

So che sono nella prova, oberati dal lavoro, pressati dalla folla, preoccupati dalle responsabilità, desiderosi di pace e di preghiera.

Per loro non dubiterei di applicare le stesse parole che Paolo scriveva ai Corinzi:

“Siamo infatti tribolati da ogni parte ma non schiacciati; siamo sconvolti ma non disperati, perseguitati ma non abbandonati, colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo il morire di Gesù” (2 Corinzi 4, 8-10).

Anche perché i tempi sono diventati veramente duri e non è facile restare fedeli.

Cari compagni di fede!

Vi immagino di ritorno dal lavoro sul metrò o a piedi tra la folla. Vi immagino seduti a tavolino nella vostra camera mentre fuori si accendono le luci della notte e vi riposate delle fatiche del giorno.

Mi fa bene pensarmi unito a voi, ideale famiglia che la Bibbia chiama “popolo di Dio” e che sparsi nel mondo intero condividete con me la stessa fede e vi appellate alla stessa speranza.

Essi sono i testimoni dell’Invisibile, i credenti nel Dio unico, gli adora tori dello Spirito, i partigiani del Regno dei Cieli, coloro che attendono nel deserto della città il ritorno del Cristo, sussurrando come i primi cristiani: “Maranhà tha” – Vieni, Signore Gesù!

Sì, i cristiani vegliano pregando. La loro casa è un ideale convento moderno.

Essi si battono con coraggio contro il pericolo denunciato da Luca per gli ultimi tempi.

“Quando tornerà il Figlio dell’Uomo troverà ancora la fede su questa terra?” (Luca 18, 8).

Non è uno scherzo, ed essi lo sentono nella loro carne.

È la battaglia più aspra della vita.

La città come caos indescrivibile pone una domanda continua alla piccolezza della loro fede: “Dove sei mio Dio?” (Ps. 42).

Il disordine, la violenza, la caduta delle tradizioni antiche premono contro la porta di casa e urlano alle loro orecchie:

“Dov’è il tuo Dio?” (Ps. 42, 4).

Oh! “non venir meno anima mia e non agitarti in me. Spera in Dio, salvezza del mio volto e mio Dio” (Ps. 42, 6).

La fede oggi è difficile. È un indiscusso segno dei nostri tempi.

La caduta delle culture l’hanno resa nuda, il trapasso di civiltà l’ha fatta dolorosa. Direi che è giunto un tempo in cui Dio lo scopriamo più facilmente nel suo negativo. Mi torna in mente una espressione di un giovane aretino che viveva dolorosamente la sua fede: “Di Dio non udiamo la melodia quando sussurra, ma rabbrividiamo quando tace”.

L’uomo si sente solo anche perché le Chiese sono state colte di sorpresa e sovente, prese dallo spavento, credono di salvarsi guardando al passato invece di marciare verso la novità di Dio con la confidenza di bimbi.

È tempo di Apocalisse e raramente come oggi il libro di Giovanni è un buon testo con cui pregare.

Dice il Signore:

“Io sono l’Alfa e l’Omega

il Principio e la Fine.

A colui che ha sete

darò gratuitamente

acqua della fonte di Vita” (Atti 21, 6).

E a chi è spaventato della solitudine: 

“Ecco la dimora di Dio con gli uomini!

Egli dimorerà tra di loro

ed essi saranno suo popolo

ed Egli sarà il ‘Dio-con-loro’ “.

E a chi soffre e trema:

“E tergerà ogni lacrima

dai loro occhi;

non ci sarà più la morte,

né lutto, né lamento, né affanno,

perché le cose di prima sono passate.

Ecco io faccio nuove

tutte le cose” (Atti 21, 3-5).

Ma dove l’Apocalisse può davvero essere il testo più illuminante per i giorni che viviamo è nell’atteggiamento di attesa del Dio che viene, del Cristo che torna.

“Maranhà tha.’’’ pregava la comunità di S. Giovanni a Efeso. “Vieni, Signore Gesù, vieni.’’’ (Atti 22, 17).

I cristiani del nostro immediato passato potevano avere qualche angolo tranquillo ove posare lo sguardo e nutrire ottimismo: una Chiesa organizzata e trionfante – un numero discreto di fedeli una civiltà che appariva cristiana – famiglie pie e ordinate.

Ma oggi!

No, con l’affievolirsi della “Chiesa-numero” sostituita dalla “Chiesa-segno”, le cose sono cambiate e qualcuno non capisce più nulla.

Per chi guarda la realtà oggi senza spirito profetico l’ottimismo è veramente morto.

Ma lo sapete voi che dove muore l’ottimismo umano nasce la speranza cristiana?

L’ottimismo è fiducia negli uomini, nelle possibilità umane; la speranza è la fiducia in Dio e nella sua onnipotenza.

Tempo di Apocalisse quindi, cioè tempo in cui il credente guarda il Cielo prima di guardare la terra, cerca i segni dell’Avvento di Dio più che l’agitarsi dei popoli, conta sulla fedeltà di Dio più che sulla capacità o furbizia degli uomini.

E anche quando agisce, il suo spirito è saturo della fede in questa parola

Maranhà tha!

Vieni, Signore Gesù!

E stasera voglio venire anch’io vicino a te, fratello o sorella.

Sai perché?

Per testimoniarti nello Spirito Santo che Dio è il Vivente.

Questo è il compito della comunità cristiana: testimoniarci l’un l’altro il nostro credere.

E io te lo testimonio: credo! tu non vedi Dio nelle cose e Lui è nelle cose.

Tu non lo vedi nella storia e Lui è nella storia.

Tu non lo vedi nella tua camera e Lui è nella tua camera è lì dove sei ora.

E ti guarda e vuole comunicare con te dall’abisso del suo Essere.

Ed è la tua fede che te lo rende presente.

Dio, il vero Dio è il Dio della nostra fede: non ce n’è altri fuori di Lui.

È con Lui che siamo in relazione; è Lui che scopriamo nel profondo delle cose.

A volte abbiamo perfino l’impressione che sia un Dio inventato da noi, creato dalla nostra sete di Lui, tanto è grande la nostra libertà e tanto importante la nostra fatica a credere ma siine pur certo: è il solo Dio che si rivela all’uomo.

L’unica strada che Lui percorre per venire a noi e rivelarsi è quella stessa che noi percorriamo per cercarlo. Noi lo troviamo nella misura in cui crediamo, né più, né meno.

E... credilo, non c’è niente da fare per cambiare le cose.

Quante volte ho pensato se potevano esistere altri modi più facili, più visibili, più credibili.

Non ne ho trovati.

Non esistono.

Dio ha stabilito che il colloquio con Lui avvenga nella fede, che la crescita in Lui si faccia nella speranza e che la rivelazione di Lui la si sperimenti nella carità.

E questo fino alla fine cioè fino all’ultimo giorno, il giorno in cui “risorgeremo dai morti”.

Ma proviamo ad immaginarci qualche altro sistema. Qualche modo d’incontro diverso tra noi e Dio, che non sia la fede.

Ecco, per esempio: un incontro in cui la visibilità sua si faccia presente a me come luce improvvisa, come presenza umana, voce percettibile, ecc.

A che serve?

A parte il pericolo di un infarto: chi mi dà la certezza di stabilire che quella presenza è la presenza di Dio e non di un fantasma?

Nessuno.

Anche in quel caso siamo richiamati alla fede, dobbiamo servirci della fede.

È per fede che Abramo credette alla voce che gli diceva: “Esci dalla tua terra”, è per fede che Mosè lesse nel roveto ardente la presenza di Dio, è per fede che Giuseppe accettò di considerare il sogno come volontà di Dio di prendere Maria per sua sposa.

La parola di Dio veste la fede di immagini, di voci, di angeli, di tuoni, cioè di un linguaggio adatto alla nostra debolezza, ma rimane il vero problema: tra noi e Lui fin che siamo su questa terra l’incontro è un incontro di fede.

Prova ad immaginarti che la presenza di Dio si faccia in te, vicino a te come normalmente pensano gli inesperti, come persona, come te, e che tale presenza umana rimanga con questa visibilità così densa, così ragionata, così fuori del Mistero, come faresti ancora a muoverti?

Come potresti sentirti a tuo agio?

Come ti potrebbe aiutare una simile presenza?

Sarebbe tale il condizionamento che non riusciresti più a muoverti.

Finirebbe lo spazio della tua libertà e ti troveresti come davanti a un superiore che ti sorveglia, un ispettore che ti scruta.

I tuoi gesti ne uscirebbero condizionati, i tuoi impegni goffi e imprecisi come quando si è spaventati.

Vorrei che ti convincessi: la fede oscura è lo spazio della tua libertà.

È in questo spazio che dobbiamo maturarci e maturarci all’amore gratuito.

Pasca! direbbe “fare come se...”.

Sì, come se fosse lì e tu lo vedessi.Ma non vedendolo con gli occhi della carne sei libero.

Le cose che fai valgono per quel che valgono senza inganni, senza condizionamenti.

Sì, solo nella fede tu sei veramente libero e le tue azioni contano a! suo cospetto perché dettate solo dall’amore e non dalla paura della sua presenza.

Ricorda che non siamo ancora maturi come figli ma siamo ancora schiavi della sua potenza e della sua grandezza...

Fai come se...

Farò come se...

Faccio come se...Fare come se Dio fosse presente!

Ma questo è ancora un cammino.

La maturità l’avrai quando non porrai più la domanda che in fondo è un piccolo aiuto da bambini immaturi.

Non c’è bisogno di fare le cose come se Dio fosse presente a guardarti.

Le devi fare perché devono essere fatte, perché il tuo sì che hai maturato è lo stesso sì di Dio, perché la verità di cui sono rivestite è la stessa verità di Dio e l’amore che ti richiede per farle è lo stesso amore di Dio.

Cristo sulla croce fece così, e denunziando con il suo doloroso “Padre mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27, 46) testimonia agli uomini la vera libertà di cui Dio li ha rivestiti, l’infinita fiducia che il Padre ha per loro, la totale mancanza di condizionamenti nel maturare in loro l’estremo dono di se stessi all’Assoluto. E si offre alla sua Presenza assente.

Quale valore straordinario acquista l’azione del l’uomo!

Che dignità riveste questo atteggiamento radicale!

Sì, possiamo dirlo: se Dio è grande nella sua Essenza, l’uomo è grande quando si avvicina a Lui, quando fa le Cose che fa Lui come libera scelta.

Quale valore acquista il martirio e una pur piccola azione compiuta in questa solitudine dell’uomo!

L’assenza di Dio sul Calvario dell’uomo permette all’uomo di offrirsi totalmente nella libertà dell’amore.

Se la notte buia fosse addolcita da una qualsiasi presenza sensibile il martirio non sarebbe più martirio e le debolezze dell’uomo diverrebbero servilismo o paura.

Hai capito fratello perché Dio è morto nella tua fede oscura?

Perché Lui non si fa sentire al tuo richiamo proprio come se fosse morto?

Per permettere anche a te di morire d’amore come Gesù nella sua solitudine terribile.

È così, deve essere così!

Se tu cercassi la presenza di Dio nella sensibilità, nella fantasia, nel ragionamento, ne avresti solo un piccolissimo aiuto, aiuto che ti verrebbe meno al primo colpo di vento.

Cercando invece la sua presenza nella fede, essa ti sosterrà nel vuoto, bramando di toccare Dio nella speranza ti sentirai sospinto nell’abisso della sua luce, vivendo la sua carità conoscerai Dio nella contemplazione che Lui stesso ti darà.

Saprai cosa è la vertigine di Dio.

Vedrai i cieli aperti.

Ora vorrei dirti una cosa molto importante sul modo di rendere visibile la presenza di Dio nella nostra vita.

Peccato che l’ho scoperto troppo tardi!

Io ho fatto come colui che cerca il tesoro percorrendo mari e monti per trovarlo. Poi stanco ritorna a casa e scopre con sorpresa che il tesoro era proprio In casa.

Ecco: Dio è in casa.

Nella mia casa, nella tua casa, nella casa di Madre Teresa di Calcutta, nella casa di Luther King, nella casa dell’Abbé Schultz, nella casa di Follereau.

Essendo un Dio nascosto nessuno lo vede, però tutti lo cercano perché in tutti c’è un gran desiderio di vederlo.

È troppo interessante la faccenda!

Ma mentre io mi metto a pensare e tu a studiare sul modo migliore di scoprire Dio, di vedere Dio, Madre Teresa esce sulla strada e vede un moribondo che muore senza aiuto. Non ragiona su Dio, non fa piani quinquennali o teorie sull’uomo.

Solleva il moribondo, si fa aiutare per portarlo a casa, gli dà un bicchiere d’acqua, lo pettina, gli asciuga il sudore della morte e pensa tra sé con dolcezza: “Voglio che muoia sentendo vicino una mano amica”. Il programma non è per nulla ambizioso, nessuna rivoluzione nel suo gesto ma solo un fatto vero di amore.

Fratelli, davanti a Madre Teresa il mondo si arrestò per un momento: vide Dio passare sulla strada di Calcutta.

E che fece Luther King? Si guardò attorno e amò appassionatamente i suoi fratelli disprezzati per il colore della pelle e offrì il suo petto a una scarica di pallottole. Il mondo si accorse che Dio era là nel gesto di quel martire.

E che fece l’Abbé Schultz? Diede uno sguardo fuori dal suo piccolo convento di monaco e vide molti giovani che cercavano di comunicare, di credere, di sperare.

Li amò ed essi capirono e noi vedemmo l’epopea di Taizé: Dio si rivelò a Taizé.

Potete continuare.

Dio si rivela là dove c’è chi rispetta la vita, vuole la Luce, cerca di amare. Tutte le volte che tu dilati la vita, fai la verità, ami, Dio scaturisce dalla tua azione.

È come se tu creassi il tuo Dio.

È per questo che dicevo che Dio è dentro le cose, dentro gli avvenimenti, dentro il tuo gesto d’amore.

Facendo le cose come le farebbe Gesù, come le farebbe Dio, tu liberi Dio dai veli dell’invisibile e lo rendi visibile sul cammino degli uomini.

La fede è un fatto non una serie di chiacchiere.

La speranza è un gesto di luce, non un pio sentimento.

La carità è un avvenimento, non una preghierina devota.

Carlo Carretto

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