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L'inferno dell'Uguale: le tesi del filosofo coreano Byung-Chul Han

Il messaggio di Han è che solo di fronte alla morte si scopre finalmente l'importanza dell'Altro. Per il cristiano, questa verità la scopriamo di fronte al Crocefisso, di fronte al Cristo morto per amore di tutti.


L'inferno dell'Uguale: le tesi del filosofo coreano Byung-Chul Han

 

Byung-Chul Han, coreano, insegna a Karlsruhe e Berlino ed è uno dei più influenti filosofi contemporanei. È anche un personaggio singolare: concede pochissime interviste e mantiene una notevole riservatezza sulla sua vita personale, tenendo segreta perfino la sua data di nascita. Sappiamo così che è laureato in teologia cattolica e che ha scritto un libro sulla filosofia del buddhismo zen, ma non sappiamo quale sia la sua religione, e se ne abbia una. I  temi di cui si occupa interessano però certamente i cattolici.

 

La casa editrice Nottetempo di Roma - che aveva tradotto nel 2012 la sua opera più nota, «La società della stanchezza» - propone ora una versione italiana di «Eros in agonia», un piccolo libro dedicato alla crisi contemporanea dell'amore. Han parte dal bestseller sociologico «Perché l'amore fa soffrire» di Eva Illouz, anch'esso arrivato quest'anno in Italia e di cui ho proposto il 2 giugno una recensione su «La nuova Bussola quotidiana». Il filosofo discute una tesi centrale della Illouz, secondo cui la possibilità quasi infinita di scelta tra partner diversi creata dall'erosione della morale dopo il Sessantotto e dall'opportunità di diventare «amici» di centinaia di persone dell'altro sesso su Internet non ha generato liberazione ma piuttosto l'angoscia di non aver compiuto la scelta «perfetta», specie tra le donne. Per Han, che è un filosofo, la sociologia non arriva a vedere che il problema è più radicale: «alla crisi dell'amore non conduce soltanto l'eccessiva offerta di altri, ma l'erosione dell'Altro», «il fatto che l'Altro scompaia».

 

Non so se - per quanto abbia studiato la teologia cattolica - Han presti qualche attenzione a Papa Francesco, ma colpisce il nome uguale che il filosofo e il Pontefice danno alla malattia più grave dei nostri giorni: «autoreferenzialità». Anche per Han «la società diventa sempre più narcisistica», e siamo talmente impegnati a parlare a noi stessi  da avere perso la capacità di stabilire una vera relazione con gli altri. Si può dire però che il filosofo coreano descriva il dramma del l'autoreferenzialità in termini ancora più radicali del Papa.

 

Per Han viviamo ormai nell'«inferno dell'Uguale», dove è venuta addirittura meno la capacità di vedere l'altro come altro: l'uomo moderno guarda «solo ciò in cui può riconoscere, in qualche modo, sé stesso».

 

Alla società del dovere è subentrata la società del potere. Possiamo fare tutto quello che ci passa per la testa, il che dovrebbe obbligatoriamente soddisfarci. Se non siamo soddisfatti, dev'essere in qualche modo colpa nostra: probabilmente, non siamo abbastanza «in forma». L'aveva già visto Friedrich Nietzsche (1844-1900): la religione sarebbe stata sostituita da un culto parossistico della salute. Obbligatoriamente, anche Han dedica qualche pagina al libro più venduto del secolo XXI, «Cinquanta sfumature di grigio», dove una studentessa sottoscrive un contratto con il suo amante dove, in cambio della fedeltà, si obbliga a partecipare a ogni genere di esperimento sessuale. Ma non solo: la poveretta firma pure l'impegno a fare «sport a sufficienza» e a non mangiare nulla, se non frutta, fuori dei pasti. Le vie dell'assoluta libertà sessuale, commenta Han, oggi portano sempre in palestra o dal dietologo.

 

Non solo: all'amore come esperienza sacra, e al carattere sacro della stessa sessualità, subentra la «profanazione» di queste cose sacre nella pornografia. Han polemizza con quanti ritengono la profanazione salutare, liberatoria e comunque inevitabile in tempi di secolarizzazione. In realtà, tolto alla sessualità il suo carattere sacro, non rimane una sessualità liberata: non rimane nulla, se non il puro consumo che è insieme sfruttamento degli altri e «autosfruttamento» di se stessi.

 

Per quanto Han critichi alcune tesi di Eva Illouz, alla fine c'è una convergenza di fondo: la presunta liberazione dei sentimenti e della sessualità postmoderna ha ucciso sia l'amore sia il desiderio. «Eros è in agonia». Con conseguenze che vanno molto al di là della sfera, pure così importante, dei rapporti interpersonali. Con il venire meno dell'esperienza dell'altro come altro - che era, appunto, la base dell'amore - e il chiudersi della gabbia autoreferenziale entrano in crisi anche l'arte, ridotta a puro narcisismo, la politica -  che senza un apprezzamento dell'altro degenera in semplice potere - e la cultura. Han cita un articolo Chris Anderson, il redattore capo dell'autorevole rivista d'informatica «Wired», intitolato «La fine della teoria». Secondo Anderson siamo finalmente arrivati al punto in cui non abbiamo più bisogno di teorie, cioè di interpretazione e spiegazione dei dati. La psicologia, la sociologia e la filosofia potrebbero andare in pensione. Google ci abitua infatti inesorabilmente ad «allineare» semplicemente i dati, senza cerca cause e spiegazioni: «la correlazione sostituisce la causalità» e, se la causalità non serve più, non servono più nemmeno le scienze umane. Neppure per spiegare la correlazione, perché questa deriva dalla macchina che gestisce le ricerche di Google, e non c'è più nulla da spiegare.

 

Ma Anderson, scrive Han, ha «un concetto di teoria debole e ridotto». La teoria non è mai solo un modello per rappresentare e unificare dati. La teoria ci dice «cosa deve essere e cosa no» e «fa apparire il mondo in tutt'altra luce» rispetto a quella che può offrire una lampada, o anche tutte le lampade del mondo. Questa teoria come qualche cosa di «completamente diverso» dalla semplice somma d'informazioni già Socrate e Platone insegnavano a ricercarla non solo tramite la ragione ma tramite l'amore.

 

Han ci arriva partendo da una meditazione sconsolata sui guasti del postmoderno, ma il lettore de «La nuova Bussola quotidiana» dovrebbe notare l'analogia con lo schema dell'enciclica «Lumen fidei», che invita precisamente a non separare conoscenza tramite la ragione e conoscenza tramite l'amore, le due viene arrivare alla verità. Han è più pessimista. Cita il discusso film di Lars von Trier «Melancholia», dove una giovane sfugge alla depressione solo accettando la tragica verità secondo cui la Terra sta per essere distrutta da una catastrofe cosmica. Nel film la protagonista entra in relazione con Ofelia e con la sua tragica morte per amore dipinta dal pittore preraffaellita John Everett Millais (1829-1896) nel celebre quadro che mostra Ofelia morente nell'acqua gelida.

 

Il messaggio di Han è che solo di fronte alla morte si scopre finalmente l'importanza dell'Altro. Per il cristiano, questa verità la scopriamo di fronte al Crocefisso, di fronte al Cristo morto per amore di tutti che - come insegna Papa Francesco - è il solo capace di liberarci dal dramma dell'autoreferenzialità: se solo siamo capaci di fermarci a guardarlo.

 

 

Massimo Introvigne

 

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