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I giovani ci chiedono dove spendere la vita.

La cronaca è nota, non serve tornarvi. Solo due esempi di questi giorni. Fabiana, di Corigliano Calabro. Carolina di Novara. Il bell'amore non si impara dal prossimo articolo di legge: quello che giurate di aver pronto nel cassetto. Da che è mondo e mondo, la generazione precedente l'ha insegnato a quella successiva.


I giovani ci chiedono dove spendere la vita.

 

Queste dure colline che han fatto il mio corpo

e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio

di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.

L’ho incontrata, una sera: una macchia più chiara

sotto le stelle ambigue, nella foschia d’estate.

Era intorno il sentore di queste colline

più profondo dell’ombra, e d’un tratto suonò

come uscisse da queste colline, una voce più netta

e aspra insieme, una voce di tempi perduti.

Qualche volta la vedo, e mi vive dinanzi

definita, immutabile, come un ricordo.

Io non ho mai potuto afferrarla: la sua realtà

ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.

Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:

mi sorprende, e pensarla, un ricordo remoto

dell’infanzia vissuta tra queste colline,

tanto è giovane. È come il mattino, mi accenna negli occhi

tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.

E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta

che abbia avuto mai l’alba su queste colline.

L’ho creata dal fondo di tutte le cose

che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.

 

Oggi comincio con Pavese. Leggetelo attenti, ascoltatelo. Fatelo entrare nel cuore. Sono parole d’uomo, raccontano d’amore. (Bei tempi, quelli in cui non si invocavano leggi per insegnare il bell’amore, bei tempi. Oggi no, non siamo capaci. Non noi, non più i poeti)

E la lista si allunga ogni giorno un po’. Violenze orride che nascono dal disamore, e irrompono nelle nostre giornate. Sangue innocente e fuoco. Passione che arde e distrugge, perché quello postmoderno è amore sterile, che non sa generare.

Scorrono storie e dettagli, in tivù. Non sono immagini da video-game, o da film dell’orrore: effetti speciali simili al vero. Sono nomi di uomini e donne, di giovani che han finito di vivere. Bare. Famiglie distrutte. Banchi vuoti. Minorenni inquisiti e segnati per sempre.

La cronaca è nota, non serve tornarvi. Solo due esempi di questi giorni. Fabiana, di Corigliano Calabro. Carolina di Novara. I loro carnefici.

Ho letto di cortei contro il femminicidio. Richieste di inasprimento delle pene. Campagne di sensibilizzazione contro i maschi violenti. Minuti di silenzio. Serrande abbassate. Assemblee nelle scuole. Pubblicità progresso. Leggi.

Non basta. Non è questo il punto. Questo – lo so, sembra strano – è alzare bandiera bianca, arrendersi.

Entrate nelle classi! Entrino, nelle classi, quelli che pontificano in rete, sui giornali, nei talk show televisivi. O dagli scranni della politica. Li guardino in faccia, questi adolescenti. Ascoltino la risacca del loro male di vivere! Sono giovani che vogliamo (vogliono essere) adulti prima del tempo. Buttati nel mare della vita senza che nessuno gli abbia insegnato a nuotare.

Del resto, cosa sappiamo proporre noi adulti a casa, a scuola sui media, se non la finzione di un paese dei balocchi dove tutto è permesso, dove tutto è gioco? Una corsa due, tre nella giostra che piace di più, poi si cambia attrazione. Mettiti le cinture così nel giro della morte non cadi. Viva la vita spericolata! Carpe diem! Vai al massimo, divertiti. Divertiti più che puoi.

Questo è l’orizzonte: piacere egoistico e immediato un tanto al chilo. Null’altro.

E l’amore? L’amore uguale.

Ad amare non ti insegna nessuno. Non la mamma o il papà, spesso naufraghi malconci anche loro come te – e nessun salvagente per la vita: l’han perso, non l’hanno mai ricevuto. O il mondo gli ha detto che si può fare senza.

Non la scuola, dove il massimo sforzo sono i corsi di educazione sessuale: fai quel che vuoi con chi vuoi, ecco le istruzioni per l’uso (del profilattico).

Non il mondo, i giornali, la tivù. Fotografano la realtà, loro. Indicano le tendenze di moda e vanno di statistiche. Ma nell’epoca del relativismo, nessuno può permettersi di dirti cos’è bene e cos’è male. Nelle strizzate d’occhio degli insegnanti scafati, nelle confidenze tra pari, è “famolo spesso, famolo strano”. Maschi e femmine si collezionano, si cambiano. Si usano e si gettano.

Questo insegna il mondo: a possedere. Ad arraffare tutto e subito. E i desideri sono pretesa.

E poi le cronache raccontano che anche i grandi fanno così: se vogliono una cosa se la prendono e la tengono fin che ne hanno voglia. Giusta o sbagliata che sia (che poi, chi può dirlo?), naturale o contronatura, la esigono. Per legge, se occorre. E così sia. Tanti diritti, niente doveri. Tu, sbarbatello, fatti furbo. Impara!

Entrate nella classi e guardatele, le facce disorientate dei ragazzi! Il loro male di vivere è più profondo della “ragazza che mi piace ma mi dice di no”. Più profondo delle scene che filmano con il telefonino e postano in rete per vedere l’effetto che fa.

I giovani ci chiedono come sanno – arruffati, impacciati, spesso coi toni sbagliati – dove spendere la vita, per che cosa. Vogliono, dai grandi, che gli indichino mete alte. Essere guidati in un cammino. Ci stanno a sfidare la fatica, ad accettare la frustrazione. Ad aspettare, anche. Ma deve esserci una ragione per cui valga la pena. Possono impararlo, il rispetto; il valore del ragazzo e della ragazza che hanno di fronte. E sono disposti a spendersi per il “per sempre”. A patto che qualcuno gli insegni che è bello e che è possibile. Ma dove sono finiti i testimoni?

Spiacenti. Il bell’amore non si impara dal prossimo articolo di legge: quello che giurate di aver pronto nel cassetto. Da che è mondo e mondo, la generazione precedente l’ha insegnato a quella successiva. Proprio come il “mestiere di vivere”, che è una cosa serissima e non si impara nel Web, e nemmeno per corrispondenza, ma guardando i più grandi, ogni giorno un po’…

 

Saro Luisella

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