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Emmaus, lectio divina (don Fabio Attard)

Alla richiesta dei discepoli di Emmaus che Egli rimanesse «con» loro, Gesù rispose con un dono molto più grande


Emmaus, lectio divina (don Fabio Attard)

del 23 febbraio 2017

Alla richiesta dei discepoli di Emmaus che Egli rimanesse «con» loro, Gesù rispose con un dono molto più grande

 

Mane nobiscum, Domine Lc 24,29 (Lc 24,13-35)

 

[13]Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, [14]e conversavano di tutto quello che era accaduto. [15]Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. [16]Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. [17]Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; [18]uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?».[19]Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; [20]come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. [21]Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. [22]Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro [23]e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.[24]Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

[25]Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti![26]Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». [27]E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. [28]Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. [29]Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. [30]Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. [31]Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. [32]Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». [33]E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, [34]i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». [35]Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

 

Lectio

Siamo “in quello stesso giorno,” il giorno di Pasqua. Il giorno della vittoria per questi due discepoli è il giorno dell’abbandono: abbandono della città, della comunità, dei sogni. Colui che doveva essere il salvatore, non c’è più. Nell’insieme dei racconti del giorno di Pasqua, questo racconto mette in risalto il senso di smarrimento, incredulità. Sant’Agostino scrive: “camminavano discorrendo, in preda al lutto per la sua morte, del tutto ignari della sua resurrezione” (Discorso 232).

Gesù in persona “si accostò” a loro. A loro insaputa, la loro storia diventa parte di uno spazio divino. Il luogo della speranza perduta si traduce nel luogo dell’ascolto e del confronto. “Accostarsi” è lo stesso verbo che abbiamo visto nel brano delle tentazioni!

 

1. Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto (vv13.14).

La scelta di partire è la scelta di tagliare i ponti, separarsi da ciò che diventa un ricordo lontano. La loro discussione è centrata sul fallimento. Lo commentano in maniera che non li coinvolge più, non appartiene più a loro.

2. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?» (vv.15-17).

Il discorso tra di loro ha fatto perdere la capacità di rimane radicati e di continuare a nutrirsi dell’unica speranza, che però ormai l’hanno smarrita. Talmente immersi e trascinati dalla “loro visione e comprensione” dell’accaduto, che tutto perde senso e significato.

E proprio in questo moment Gesù prende l’iniziativa: in persona si accostò a loro. Cammina con loro, entra a fare parte del loro dia-logo. La sua parola entra a far parte della loro parola, del loro dialogo. Il bello di tutto questo è che lo accettano.

3. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto» (vv.18-24).

Sono versi molto densi, di grande ironia. Quando manca l’ascolto, quando si è centrati solo su se stessi solo sul proprio modo di vedere le cose, sul solo proprio modo di interpretare, colui o coloro che ci accompagnano diventano forestieri, anche se chi ci accompagna si chiama Gesù Cristo!

Se la conoscenza della Sua storia non sfida i nostri modi di vedere e di interpretare la storia, allora è molto vicino a noi è il pericolo della “assurdità” – ab-surdum –, cioè del “non ascolto”, della distanza, della sottile trappola di non essere connessi.

La vera speranza si basa solo sull’oggetto sperato che attira e illumina il soggetto sperante! Speranza fondata su e radicata in Gesù, speranza come abbandono, e non speranza come gesto che dà sicurezza, che va calcolata, misurata - Ma lui non l’hanno visto!

4. Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui (vv.25-27).

Sono parole che varcano i limiti del tempo e della storia. Sono parole dette anche a noi oggi. Di fronte allo smarrimento, Gesù conduce gentilmente per mano i due discepoli di Emmaus per il sentiero della parola. Gesù cambia tutta la loro preoccupazione, facendola maturare in attenzione, focalizzazione sulla parola.

Il suo iniziale atteggiamento di ascolto anticipa e prepara l’atteggiamento di accoglienza della sua parola. Avendo ascoltato la loro storia, adesso loro accolgono la sua storia.

Ascolto e condivisione, ascolto e accoglienza si susseguono in questa “prima lectio divina” della Pasqua del Signore. E presto sarà seguita dalla prima eucaristia.

5. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro (vv.28-29).

I due discepoli hanno perso la speranza, la loro fede vacillava. Ma non avevano perso la carità, cioè la capacità di ospitare. In questa prima Pasqua del Signore alla loro carità accogliente, umile atteggiamento dell’ospite, il Signore risponde con la fractio panis!

6. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista (vv.30-31).

San Giovani Paolo II commenta così questi versi:

“Alla richiesta dei discepoli di Emmaus che Egli rimanesse «con» loro, Gesù rispose con un dono molto più grande: mediante il sacramento dell’Eucaristia trovò il modo di rimanere «in» loro. Ricevere l’Eucaristia è entrare in comunione profonda con Gesù. «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). Questo rapporto di intima e reciproca «permanenza» ci consente di anticipare, in qualche modo, il cielo sulla terra. Non è forse questo l’anelito più grande dell’uomo? Non è questo ciò che Dio si è proposto, realizzando nella storia il suo disegno di salvezza? Egli ha messo nel cuore dell’uomo la «fame» della sua Parola (cfr Am 8,11), una fame che si appagherà solo nell’unione piena con Lui. La comunione eucaristica ci è data per «saziarci» di Dio su questa terra, in attesa dell’appagamento pieno del cielo” (San Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Mane nobiscum Domine, 19)

7. E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane (vv.33-35).

Il dono ricevuto va condiviso “senz’indugio.” La parola e il pane ricompongono la comunione, spingono i due discepoli a trovare di nuovo il loro posto nella comunità, a fare il ritorno a casa.

San Basilio dice: “il cristiano può riconoscere di esser veramente tale quando, sentendo spiegare le Scritture, sente il cuore che gli arde, perché allora significa che lui ha fede, perché la non-fede il Nuovo Testamento la chiama durezza di cuore”.

 

Don Fabio Attard

 

 

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