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Così stanno smontando la famiglia

«Ma quali libertà individuali, il processo di distruzione della famiglia, che inizia con la banalizzazione del matrimonio, è frutto dello statalismo più estremo». A pensarla così è Allan C. Carlson, direttore dell'Howard Center for Family, Religion and Society e presidente del World Congress of Family.


Così stanno smontando la famiglia

da Quaderni Cannibali

del 08 gennaio 2007

Professor Carlson, la questione della legalizzazione delle unioni di fatto e delle unioni omosessuali è un processo globale. Da dove nasce questa spinta?

Indubbiamente negli ultimi quaranta anni è cresciuto enormemente un movimento internazionale che ha come scopo quello di eliminare il matrimonio, base della famiglia. È un’alleanza che ha messo insieme i sostenitori della rivoluzione sessuale, del controllo delle nascite, del 'divorzio facile', della contraccezione e così via. L’obiettivo è quello di indebolire se non distruggere il rapporto tra matrimonio e procreazione. La legalizzazione delle unioni omosessuali è soltanto una logica conseguenza di questo desiderio di separare la procreazione dal matrimonio, che vuol dire avere figli e crescerli.

 

Ma perché si vuole distruggere il matrimonio?

È il frutto dell’ideologia statalista che affonda le radici nella Rivoluzione francese e di cui si è fatto storicamente interprete il movimento socialista. Si vuole eliminare tutto ciò che sta tra il governo e l’individuo, per questo la famiglia fondata sul matrimonio – società autonoma e originale – è il nemico numero uno. Il modo più semplice per eliminare il matrimonio è allargarlo, assimilandovi altre forme di unione. Cancellando cioè il suo essere unico e speciale.

 

Può farci qualche esempio?

Credo che l’esempio più eclatante sia la Svezia. Negli anni ’70 lì si è verificata una vera e propria rivoluzione grazie all’ascesa al governo di un Partito social-democratico guidato dall’ala più radicale. L’obiettivo è stato da subito eliminare il matrimonio, ma ovviamente si è trattato di un processo graduale, per quanto rapido. Il primo passo è stato eliminare la tassazione congiunta.

 

Vuol dire che in Svezia prima degli anni ’70 la tassazione era calcolata su base familiare?

Esatto. Poi si è passati alla tassazione del reddito individuale, e questo è stato un cambiamento epocale per la Svezia: in questo modo veniva cancellata dalla società la rilevanza economica del nucleo familiare. Poi si è andati avanti, prima permettendo il matrimonio tra consanguinei, quindi equiparando le coppie di fatto a quelle sposate. Contemporaneamente si è reso facile il divorzio. In questo modo si è via via incoraggiata la coabitazione indebolendo il matrimonio, tanto che oggi questa istituzione è ormai irrilevante in Svezia e oltre la metà dei bambini nascono fuori dal matrimonio. Si tratta di un vero e proprio processo di destrutturazione della famiglia, perseguito con sistematica lucidità.

 

E certamente ha anche delle conseguenze sociali…

…prima fra tutte l’effetto negativo sui bambini. Ci sono ormai tantissimi studi che dimostrano come i bambini nati e cresciuti in situazioni familiari anomale accusino pesanti conseguenze sul rendimento scolastico, sulla qualità del lavoro, sulla tendenza all’alcolismo e alla tossicodipendenza, e anche alla criminalità. Peraltro questo non dovrebbe stupire, visto che il matrimonio dalla sua origine ubbidisce alla funzione sociale di proteggere i bambini, di crescerli ed educarli. Nelle nostre società oggi, invece, troviamo leggi sul matrimonio e sul divorzio che di fatto favoriscono chi vuole divorziare.

 

Problemi sociali vuol dire anche costi a carico della collettività.

Certamente. Negli Stati Uniti è stato calcolato che mediamente ogni matrimonio che si rompe si risolve in un costo sociale in media tra i 50 e 100mila dollari. Un costo evidentemente enorme.

 

E questo non dovrebbe indurre i governi ad intervenire drasticamente per sostenere la famiglia?

Non necessariamente. Anzi, se il governo è di matrice socialista troverà questi costi giusti, perché lo scopo è quello di far dipendere l’individuo dal governo. E figli che crescono con difficoltà di inserimento, con problemi sociali come quelli elencati prima, diventano i cittadini 'ideali'.

 

Quanto incide la decostruzione della famiglia sui tassi di natalità?

Incide molto perché per la maggior parte è nel matrimonio, in un impegno reciproco che non ha scadenza temporale, che si pensa a generare un figlio. Basta vedere i tassi di fertilità delle donne sposate rispetto a quelle che coabitano. Per non parlare poi dell’introduzione dei matrimoni omosessuali, che sono una vera e propria contraddizione in termini: matrimonio indica procreazione, proprio ciò che è impossibile a coppie dello stesso sesso. Perciò l’eliminazione del matrimonio contribuisce in modo significativo alla denatalità.

 

Ciò vuol dire che l’Italia – che ha uno dei tassi di fertilità più bassi al mondo – con l’apertura alle unioni di fatto finirà con l’aggravare il problema anziché risolverlo.

Sicuramente. Per invertire la tendenza bisognerebbe invece favorire i matrimoni, abbassando anche l’età del 'sì'. L’evidenza ci dice che sono proprio i matrimoni celebrati ben prima dei 30 anni di età che rappresentano il maggiore stimolo a famiglie numerose. Rinunciare al matrimonio perciò è rinunciare ai figli.

 

 

Allan C. Carlson, 57 anni, americano, da oltre 30 anni si occupa di politiche familiari, tanto da essere stato chiamato nel 1988 nella Commissione Nazionale sui Bambini voluta dal presidente Reagan oltre ad essere regolarmente ascoltato al Congresso in qualità di esperto sul tema della famiglia. Nel 1997 ha fondato «The Howard Center for Family, Religion & Society» (www.profam.org), che tuttora dirige. È direttore delle riviste «The Family in America» e «The Religion & Society». Sul tema del rapporto tra famiglia e società ha scritto otto libri e numerosi saggi.

Riccardo Cascioli

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