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Capitolo 32

Una spina per D. Bosco - La passione fa velo all'intelletto - Saggia osservazione del Teol. Leonardo Murialdo -Lettera di D. Cafasso a D. Ponte - Assemblea maligna e tempestosa - Defezione e guerra dichiarata - Insulti, fermezza e pazienza.


Capitolo 32

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Nello stesso tempo che D. Bosco organizzava la lotteria, col suo volto sempre sorridente, dissimulava una spina acuta, la quale però non aveva forza d'indebolire l'energia delle sue azioni. Abbiamo già esposti i malintesi che sul finire del 1851 avevano incominciato a dividere gli animi di alcuni, i quali s'interessavano per gli Oratorii festivi. Vi erano persone che parevano contrarie al buon andamento dell'Oratorio di Valdocco, perchè D. Bosco non teneva conto delle loro pretese. Andavano a gara nello spargere zizzania fra i giovani che lo frequentavano, non lasciando passare occasione per trarne pretesti a maldicenze. Fra queste eravi specialmente uno il quale, rispettando il suo vero nome, noi indicheremo con quello di D. Rodrigo. Vi fu chi gli prestava orecchio, perchè “le parole del susurrone pajono semplici, ma esse penetrano nell'intimo delle viscere”.

Ma qui si domanderà: Perchè D. Bosco erasi associato tali coadiutori? Perchè erano buoni e zelanti; senonchè , la passione facendo velo alla loro intelligenza, più non ragionavano. - Ma essi non erano testimoni delle tante virtù che ornavano D. Bosco? Le avessero puranco conosciute, nello stato d'animo nel quale si trovavano, non potevano apprezzarle. Del resto avvicinavano D. Bosco solamente nei giorni festivi, occupati nei loro catechismi e in mezzo al trambusto di tante folle di giovanetti, sicchè non avevano tempo a studiarlo con ponderazione. E poi D. Bosco usava tanta semplicità in ogni sua parola, in ogni sua azione, e nei fatti più straordinarii da lui operati davasi così poca importanza, che pervenuti al loro orecchio, erano giudicati con criterii puramente comuni o anche come illusioni di fantasia.

Il Teol. Leonardo Murialdo, alieno da ogni dissensione, sostegno per tanti anni degli Oratorii dell'Angelo Custode e di S. Luigi, amico sincero e costante di D. Bosco, sebbene non suo famigliare per le gravi occupazioni che gli incombevano lungo la settimana, narrava il giudizio che di lui si era formato in questi anni, e come lo avesse riconosciuto dopo lungo studio per quello che era.

“Sulle prime ravvisai in D. Bosco un sacerdote assai zelante, ma senza riscontrare in lui un santo. Cominciai a sospettarlo tale, e la mia stima andò via via crescendo, quando incominciarono a parlare in favore di lui le sue opere, che rivelavano un uomo non ordinario e tale da far proclamare: - Digitus Dei est hic! e che ricordavano, in qualche maniera almeno, il detto di nostro Signore Gesù C.: - Opera quae ego facio in nomine Patris mei, haec testimonium perhibent de me.

“D'altra parte D. Bosco fu uno di quei servi di Dio, i quali costituiscono la santità nel sacrificarsi per la salute delle anime e per la gloria di Dio, secondo il motto che, se non erro, aveva famigliare S. Giuseppe Calasanzio: - Qui orat bene facit, qui juvat melius facit. A me non constano di D. Bosco nè  prolungate orazioni, nè  penitenze straordinarie; ma mi consta il lavoro indefesso, incessante per lunga serie di anni in opere di gloria di Dio, con fatiche non interrotte, fra croci e contraddizioni d'ogni fatta, con una calma e tranquillità al tutto unica, e con un risultato per la gloria divina ed il bene delle anime al tutto prodigioso. - Ora Dio non suole scegliere a speciale strumento della grande opera della santificazione delle anime uomini nè  malvagi, nè  mediocri in fatto di virtù”. Così il Teol. Murialdo.

Se adunque allora D. Rodrigo ed i suoi compagni non videro ciò che non vedeva il dottissimo e già molto avanzato nella vita spirituale Teol. Murialdo, non è a farne le meraviglie. Intanto D. Cafasso cercava di ricondurre alla buona armonia gli animi agitati e scriveva la seguente lettera:

 

Al M. Rev. D. Ponte Pietro presso la Signora Marchesa di Barolo. - Napoli.

 

Carissimo Sig. D. Ponte,

 

Torino, 6 gennaio 1852.

 

 

Credeva poter rispondere alla carissima sua prima che Ella partisse da Roma, ma non ne ebbi il piacere, e non mi fu in verun modo possibile per la serie continua d'occupazioni e d'imbrogli Venendo subito in questo momento di tempo all'oggetto più importante, io comincio a raccomandarle che deponga ogni sorta d'inquietudine ed affanno sulla risoluzione a prendersi per l'affare che mi nomina, perchè i compagni sono certo che non lo fanno per spirito d'impegno, nè  di malumore con Lei, nè  per voglia di romperla, che anzi so che sperano sempre nella sua cooperazione, quando il Signore La voglia di nuovo in Torino e fosse pur presto. V. S. in coscienza può determinarsi come crede per esserne veramente padrone, e se vuole che io Le avanzi un mio sentimento, nel presente stato di cose, penso che Ella farebbe bene a cedere ogni cosa, non già ad alcun individuo, ma bensì ad uso degli Oratorii colla facoltà però di servirsene prima d'ogni altro Ella medesima, finchè potrà prestarsi, come spero, per cotesta opera del Signore. Che se pensa far diversamente, operi pure con tutta libertà, e calcoli per non detto quanto Le ho suggerito.

Le ripeto di nuovo di star allegro, quieto e tranquillo ovunque vi saran croci, ma in ogni luogo piace pure al Signore la tranquillità e la pace.

Favorisca dire alla Signora Marchesa che anche di lontano si può pregare a vicenda, e che io non la dimentico nelle mie poche orazioni. Tanti rispetti al Sig. Pellico e mi tenga sempre come Le sono e ben di cuore

 

Affez. suo

Sac. CAFASSO GIUSEPPE.

 

 

Ma le amorevoli istanze di D. Cafasso non approdarono, e intanto nell'Oratorio si svolgeva una scena disgustosa, quale non si vide nè  prima nè  poi. D. Rodrigo co' suoi compagni avevano ordita una congiura segreta per ridurre al nulla l'Oratorio, come essi stessi dicevano; quindi cercavano di togliere a D. Bosco i giovani più grandi, Germano, Gastini ed altri esterni che erano i catechisti nelle classi. “Una festa, scrisse Brosio Giuseppe, dopo le funzioni della sera, fummo invitati da certi signori ad una conferenza per risolvere una questione che si diceva riguardasse il nostro onore. Alcuni dei più istruiti ed intelligenti subodorarono un tranello, e non intervennero. Infatti si trattava nientemeno che di accusare D. Bosco di averci insultati e disonorati nei fogli pubblici, bollandoci col titolo di vagabondi e di ladri. Questa accusa era un'arma sleale, colla quale si tenevano certi di mettere il disordine, e in parte vi riuscivano, in un'opera che prosperava nel nome di Dio. Radunatici noi catechisti in una stanza dell'Oratorio a pian terreno, D. Rodrigo trasse fuori e ci lesse l'appello scritto e dato alle stampe da D. Bosco per la lotteria. Finita la lettura ci fece rimarcare quella frase: Alcune persone amanti della buona educazione del popolo, videro con dolore farsi ogni giorno maggiore il numero dei giovani oziosi e mal consigliati che, vivendo di accatto o di frode sul trivio e sulla piazza, sono di peso alla società e spesso strumento d'ogni misfare….. Per questo divisarono di aprire una casa di domenicale adunanza”. La maggior parte di quei catechisti erano onesti giovani, appartenenti a buone ed anche agiate famiglie di operai e negozianti, e altri della stessa loro condizione frequentavano l'Oratorio. Come è evidente, l'Appello non faceva cenno di essi, perchè tale non era il suo scopo. Ma l'oratore concludeva: - A voi, proprio a voi allude D. Bosco ed è un'atroce ingiuria della quale dobbiamo chiedergli riparazione!

”Quando egli ebbe finito, tra quei giovani irriflessivi si vide una massima agitazione. Io ad un tratto chiesi la parola, e si fece silenzio nella sala. Per conoscere e sventare le trarne di quelle teste riscaldate, bisognava che io non mi dimostrassi loro avversario; quindi presi a parlare in questi termini: Compagni, nessuno di voi mi accuserà di amar meno il nostro onore di quello che lo ami ciascuno di voi. Tuttavia, per non arrischiarci ad una risoluzione prematura, io consiglierei di intenderci ora sul da farsi. Se D. Bosco, riconosciuto l'errore, si piegherà ai nostri desiderii, sia finita ogni questione; se invece rifiuterà di ritrattarsi, il reagire sarà in tal caso inevitabile, ed io pretendo di darvi l'esempio di uomo che sa qual rispetto sia dovuto a se stesso e alla propria famiglia; voi mi vedrete difendere pel primo ciò che più ci sta a cuore: la stima dei nostri concittadini. Ma prima di venire a questo estremo esaminiamo con calma se le frasi di quell'appello richiedano da parte nostra una protesta violenta. Io temo che noi ci mostriamo troppo suscettibili. Si osservi se veramente noi siamo offesi e se quelle frasi ridondano a nostro disonore. Si è data loro un'interpretazione che non mi sembra genuina. Io credo che, se nell'Appello non vi è un periodo che distingua le due categorie dei giovani dell'Oratorio, ciò si debba forse ad un errore di stampa, oppure ad una ommissione involontaria di un copista, perchè temerei mostrarmi troppo audace e maligno, se credessi che con ciò D. Bosco abbia voluto attentare all'onore di giovani che tanto egli ama. Vediamo adunque se la questione non possa accomodarsi all'amichevole. È mio parere che una semplice rimostranza fatta da noi a D. Bosco sia più che sufficiente per ottenere spiegazioni; ed anche una soddisfazione se realmente ci spetta di buon diritto. Egli stesso sarà il primo a proporre il mezzo di una riconciliazione, tanto da lui desiderata e che non dobbiamo respingere. Per tal modo si eviteranno a lui e a noi dei gravi dispiaceri, che potrebbero essere causa di guai maggiori per ambe le parti, senza verun buon effetto e con pericolo di averne noi la peggio.-

”Io tacqui parendomi di aver concesso anche troppo al loro irragionevole, focoso risentimento. Un silenzio glaciale accolse le mie parole, e quindi a poco a poco da un mormorio di disapprovazione si passò a tali schiamazzi che quella adunanza pareva una congrega di spiritati. I promotori e fautori di quella specie di rivolta non si lasciarono sfuggire una così propizia occasione per i loro intenti. Avevano tollerato che io parlassi in favore della pace e della concordia per nascondere più facilmente le loro insidie, per mettere a prova gli animi dell'assemblea, e per assicurarsi della vittoria.

”Perciò appena furono acquietate alquanto le grida, si alzò D. Rodrigo, e fattosi rigoroso silenzio, così parlò: - Miei cari amici, io amo il vostro onore, quanto colui che ora avete ascoltato, ma io l'amo in modo diverso. Io voglio vedervi tenere alto il sentimento della vostra dignità. (Voci: Bravo!) Certamente io sono amico della pace (?) e mi crederei degno dell'esecrazione di tutti se spingessi i nostri amici ad un dissidio senza motivo: ma chi non scorge motivi nel caso, presente? Siete forse voi, o cari amici, che avete provocato, D. Bosco, o è lui che col suo imprudente appello ha spinto agli estremi la vostra pazienza? (E’ vero: Bravo!) Il vostro compagno Brosio, che ha parlato or ora, ha detto che amichevoli osservazioni basterebbero a far correggere le frasi di quella circolare e a riparare così il vostro onore. Ma sapete voi, o amici cari, come finirebbero nelle presenti circostanze le amichevoli trattative? Ad una mascherata, ad una farsa umiliante di più; vi sentirete rimproverare questa stessa conferenza nella quale ora trattiamo dei nostri diritti, e voi sarete invitati a chiedere venia (agitazione). Sì! delle scuse! Volete mandare a quelli che calpestano il vostro onore una deputazione incaricata di presentar loro delle scuse? Dite! Lo volete? -

”In quel momento scoppiò nella stanza un ruggito di furore e fu deciso che tutti dovessero abbandonare l'Oratorio e D. Bosco. Così venne proclamato lo scisma”.

D. Rodrigo e i suoi complici avevano il loro piano prestabilito.

D. Cocchi Giovanni, ripreso il suo antico disegno,di Oratorio festivo, aveva domandata la Cappellania di San Martino ai Molini di città e la facoltà di radunarvi i ragazzi nei giorni di festa; e il Municipio gliela concedeva con suo Ordinato del 15 febbraio 1852. Questa chiesuola era stata una delle prime stazioni fatte da D. Bosco, quando andava in cerca di un luogo per fondare stabilmente l'opera sua. Presso S. Martino adunque que' signori piantarono il loro quartiere generale per la guerra contro D. Bosco, e più non si videro in Valdocco. D. Cocchi che non aveva ragioni sufficienti per giudicare dei loro litigi, a cagione della necessità nella quale si trovava di aver coadiutori, li associò, alla direzione del suo nuovo oratorio. Quivi incominciarono a convenire prestando il loro ufficio i catechisti disertori di Valdocco la domenica dopo il giorno di quella malaugurata conferenza. Alla sera tre giovani adulti dei più sfacciati si presentarono a D. Bosco con varii pretesti per questionare sull'Appello per la lotteria. “Io era nel cortile, scrive ancora Giuseppe Brosio, che tratteneva i giovani colla manovra militare e, passando a caso vicino alla sagrestia, udii che là dentro si vociava forte. Entrai per vedere che cosa ci fosse di nuovo, e vidi un giovanastro che allora allora aveva finito di parlare. Nella sua faccia sconvolta si leggeva lo sdegno e il disprezzo. Mi fermai e udii che D. Bosco tutto tranquillo gli rispondeva, come nell'Appello non si parlasse in modo particolare delle varie classi dei giovani che intervenivano all'Oratorio, ma sibbene in modo generale, cioè della maggioranza di coloro che intervenivano; e nel generale esservi nell'Oratorio appunto di quei giovani ai quali la circolare accennava. Per conseguenza il giovane onesto e dabbene, da tutti per tale conosciuto, e al quale era affidato l'ufficio di catechista, non doveva prendere in mala parte un periodo che non era per lui; anzi si doveva gloriare di venire in simile oratorio per cooperare ad una buona opera. - E così dicendo D. Bosco citava i nomi di molti giovani distinti di famiglie onorate, e di rispettabili signori che venivano all'Oratorio per questo fine: e terminava con osservare come nessuno di costoro avesse pensato di aver ricevuto offesa da lui, e come fosse impossibile supporre che D. Bosco concepisse l'idea stolta di volerli offendere ingiustamente e con suo danno.

”Ma quel giovinastro che insieme cogli altri due era stato mandato dagli avversari a imporre una riparazione di onore, infiammato dall'ira non intendeva e neppure ascoltava le ragioni di D. Bosco e quindi profferiva termini ingiuriosi e villani contro di lui e di tutti i giovani dell'Oratorio, dicendo che D. Bosco in quell'Appello aveva dipinto con verità se stesso e i suoi, e che perciò i proprii compagni avevano fatto bene ad allontanarsi da un covo di simile gentaglia. Il guanto della sfida era gettato ed io l'accettai a nome di tutti i giovani che si erano appressati e fremevano. Coi pugni stretti mi avanzai contro il malcreato, ma D. Bosco mi trattenne colla benevolenza di un padre amantissimo, che sapeva compatire. Prendendo poi le difese dei figli oltraggiati, rimproverò severamente quell'insensato, dicendolo un biricchino, e minacciando di cacciarlo dall'Oratorio. Questi, vista la mala parata, abbassò le ali e si ritirò cogli altri due; ma pur troppo che dopo poco tempo egli si fece conoscere per quel che era; e si aggregò a compagnie così scandalose, che perdette irreparabilmente, presso coloro che lo conoscevano, quell'onore del quale vantavasi così geloso”.

I chierici dell'Oratorio non avevano preso alcuna parte a questi trambusti, e D. Bosco non ne parlava volentieri. Il Ch. Savio Ascanio diceva: - Io non ho mai udito D. Bosco mormorare contro qualche suo avversario. A me, che una volta lasciai sfuggire una piccola critica, fece pronta e benevola correzione.

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