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Capitolo 14

La Pasqua: stanchezza di D. Bosco - Ricorda le confessioni de' giovani esterni ne' primi anni dell'Oratorio - Suo orrore per la bestemmia - La Commissione per raccogliere i fatti e le parole di D. Bosco continua nel sito officio - Morte improvvisa del giovane indicato nel sogno - Varie circostanze che precedono ed accompagnano questa morte - Mistero svelato - - Perfetto avveramento del sogno - Don Cagliero Giovanni conosceva il segreto di D. Bosco - - D. Bosco rallegra i giovani con ameni discorsi: il cane grigio talora a lui solo visibile - Predica di D. Bosco nella Domenica in Albis.


Capitolo 14

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

 Proseguiamo colla Cronaca di D. Bonetti. “ Il 20 aprile giorno della SS. Pasqua D. Bosco stette molto male e non poteva più reggersi in piedi. Sentendosi lo stomaco rotto, a stento riusciva a proferir le parole. Nondimeno discese in Chiesa e confessò i giovani dalle 6 ½  sino alle g. Gli facemmo notare che era in obbligo di conservarsi e non lavorar tanto. Egli ci rispose: - Oh! miei cari, è ora il tempo di lavorare; quando non ci sarò più io, vi saranno altri che faranno meglio di me. La gran quantità di giovani forestieri che ieri mattina mi circondavano, mi faceva venire alla memoria quando dodici o quattordici anni fa avevo alle volte intorno 150 e più giovani dell'Oratorio festivo, che tutti volevano confessarsi da me. Quanto mi amavano e quanto bene si potea far loro! - ­

” Quindi prese a parlare del gran frutto che producono i catechismi nella quaresima, dando a noi chierici alcune regole da seguirsi nel trattare di certi argomenti. In quanto alla bestemmia ci diceva, che usassimo grande cautela parlando coi giovani, non ripetendo mai gli epititi orrendi aggiunti al nome santo di Dio; sebbene negli avvisi o catechismi ci paresse doverli pronunciare per avere o dare uno schiarimento o una riprensione.

” E quasi colle lagrime agli occhi ci assicurava: - Mi fa più pena il sentire una di tali bestemmie, che il ricevere un forte schiaffo: ed anche nello ascoltare le confessioni, dopo avere udito due o tre di questi peccati, io mi sento il cuore talmente oppresso, che non ne posso più. -

” Noi gli abbiamo fatto osservare come il Teologo Borel sul pulpito non di rado, quando parlava delle bestemmie, le proferiva nel modo che usa il popolaccio.

” D. Bosco alle nostre osservazioni, rispose: - Il Teol. Borel è zelantissimo ed è innegabile essere innumerevoli le conversioni, che egli produce colle sue prediche, ricche di racconti e dialoghi vivacissimi. Tuttavia io non reggo nell'udirlo pronunciare quelle frasi. Più volte l'ho avvisato, anzi pregato, che procurasse di emendarsi di un tale difetto, ma si vede che l'abitudine e la foga nel dire talvolta non glielo permettono ”. Fin qui D. Bonetti.

A questo punto della Cronaca noi leggiamo la seguente nota.

“ 21 aprile. Questa quaresima per essere stati molto occupati chi da una parte, chi dall'altra nel fare i catechismi ed in diverse incombenze, non abbiamo più potuto nè scrivere, nè radunarci in Commissione. Ora intraprendiamo di bel nuovo per la gloria di Dio l'opera nostra, rubando i ritagli di tempo per iscrivere quelle cose, che ci paiono più rimarchevoli nella vita di D. Bosco. E incominciamo subito dal notare l'avveramento del sogno ”.

Queste poche parole ci assicurano che la Commissione, formatasi per raccogliere i fatti della vita di D. Bosco, aveva ne' due anni scorsi continuato a compiere il suo ufficio, esaminando, approvando o correggendo quanto era stato scritto da Bonetti, da Ruffino e da qualche altro de' suoi membri.

D. Bonetti adunque riempiute nella Cronaca le lacune dei mesi di marzo e aprile, ripiglia le sue narrazioni col notare l'avveramento della predizione fatta col sogno del 21 marzo.

“ Dall'annunzio di quella era trascorso un mese e andava scemando in alcuni l'apprensione salutare prodotta dalle parole di D. Bosco. Molti però andavano ripetendo: - Chi morrà? Quando morrà? - La festa di Pasqua, il primo P è passato!

” Ed ecco il 25 aprile, morire all'improvviso, colpito d'apoplessia, Maestro Vittorio di anni 13, nativo di Viora, Mondovì. Era un giovane di specchiata virtù, che si comunicava più volte la settimana. Fino al giorno della predizione aveva goduta una perfetta sanità; ma ora da due settimane affliggevalo un po' di male agli occhi, e alla sera gli si offuscava la vista; da due o tre giorni sentivasi anche qualche leggero dolore allo stomaco. Il medico gli ordinò che al mattino non si alzasse cogli altri dal letto, ma che riposasse fino ad ora più tarda.

” D. Bosco un mattino incontratolo per le scale aveagli domandato: - Vuoi andare in paradiso ?

” - Sì, sì; rispose Maestro.

” - Dunque preparati! soggiunse D. Bosco. - Il giovane lo fissò con un po' di turbamento, ma credendo che quella parola fosse detta per facezia, subito si ricompose. - D. Bosco per altro, standogli attorno per alcuni giorni, lo andava, preparando con prudenti avvisi e lo induceva a fare la confessione generale, della quale Maestro rimase contentissimo.

” Il 24 aprile un giovanetto, visto Maestro seduto sul poggiolo dell'infermeria, ebbe una singolare idea e si avvicinò a D. Bosco, dicendogli: - È vero che colui che vuol morire è Maestro? - Che cosa ne so io! rispose D. Bosco; domandalo a lui!

” Il giovanetto salì al poggiolo ed interrogò Maestro: Maestro si mise a ridere e andò a pregare D. Bosco, perchè gli permettesse di passare alcun tempo in famiglia. - Volentieri, gli rispose D. Bosco; prima però di partire fatti fare un certificato dal medico della tua infermità - Questa risposta consolò molto il giovane, il quale così ragionava: Uno deve morire nell'Oratorio. Se vado a casa è segno che non sono io; farò le vacanze più lunghe e ritornerò guarito.

” Il 25 venerdì Maestro, levatosi al mattino cogli altri e ascoltata la S. Messa, ritornava in camerata; e, sentendosi molto stanco, si rimetteva a letto, manifestando ai compagni il piacere che provava di andare a casa.

” Intanto alle 9 suonava il campanello della scuola e i compagni, salutato Maestro e augurategli le buone vacanze e il felice ritorno, andarono nella propria classe ed egli restò solo nel dormitorio. Verso le 10 l'infermiere passò avvertendo Maestro che il Dottore sarebbe giunto fra brevi istanti e che perciò si alzasse e venisse nell'infermeria a parlargli e a chiedere il biglietto convenuto con D. Bosco.

” Poco dopo ecco il segnale della venuta del medico e un giovane della camerata attigua, anch'egli indisposto, si mise all'uscio del dormitorio di Maestro, e disse forte: - Maestro, Maestro, è tempo che andiamo alla visita. - Lo chiama una volta, lo chiama due e Maestro non risponde. Il compagno credette che si fosse addormentato. Allora si accosta al letto lo prende per un braccio, lo chiama, lo scuote, e l'altro immobile. Non si può spiegare lo spavento di quel compagno; mandò fuori il grido: - Maestro è morto! - - Corse tosto a dar novella e per primo s'imbattè in D. Rua, il quale affrettandosi arrivò per assolverlo mentre mandava l'ultimo respiro. Fu subito avvertito D. Alasonatti, ed io (Bonetti) chiamai D. Bosco.

” La notizia di quella morte si sparse come un lampo nelle scuole e ne' laboratorii. Molti accorsero e si inginocchiarono pregando per l'anima del defunto. Alcuni speravano che Maestro fosse ancor vivo e vennero intorno al letto con scaldaletti e liquori forti. Ma tutto fu inutile. Sopraggiunto D. Bosco, subito che lo vide perdette ogni speranza: la vita era spenta. Il cuore di tutti fu pieno di rincrescimento, specialmente perchè Maestro era partito da questo mondo senza avere neanco un amico vicino al letto. D. Bosco vedendo i giovani costernati li assicurò della salute eterna di Maestro. Egli aveva fatta la sua comunione mercoledì; e specialmente dalla festa di Ognissanti fino a quel giorno, aveva tenuta una condotta tale da essere disposto e preparato alla morte. I chierici e i giovani si succedettero nell'andare a vedere l'estinto e, compiangendolo, riconoscevano colla sua morte avverato il sogno.

” D. Bosco alla sera fece una commovente parlata che trasse a tutti le lagrime. Fece notare come Iddio ci avesse tolti due compagni nello spazio di nove o dieci giorni e senza che nè l'uno ne l'altro avessero potuto ricevere gli ultimi conforti di nostra santa Religione! - Quanto sono mai ingannati, esclamava, quelli che dicono di voler aspettare ad aggiustare le cose della loro coscienza al fine della vita! Ma ringraziamo il Signore che con siffatta morte ha chiamati all'eternità due compagni, i quali, siamo sicuri, essersi trovati in buono stato di anima. Quanto maggiore dolore sarebbe il nostro, se il Signore avesse permesso che ci fossero stati tolti altri, i quali nella casa tengono una condotta poco soddisfacente!

” Questa morte fu una benedizione del Signore. Al mattino ed alla sera del sabato i giovani in gran numero domandavano di fare la confessione generale. D. Bosco con due sole parole li metteva in pace. Disse poi francamente: - Maestro è quegli che ho visto nel sogno ricevere quel tal biglietto. Ciò che molto mi consola si è che egli, come vari mi assicurano, erasi accostato ai SS. Sacramenti eziandio nello stesso mattino del venerdì, sicchè la sua morte fu bensì repentina, ma non improvvisa.

” Nelle ore antimeridiane della Domenica 27 aprile fu portato al cimitero il cadavere di Maestro. Si notò una circostanza per la quale appuntino si verificava la profezia di quella morte. Quando D. Bosco sognò quel personaggio o spettro presentare il biglietto a Maestro, lo vide sotto il porticato in faccia all'androne che mette agli orti. Da quel luogo egli indicò al giovane la cassa, che si trovava sotto l'androne, pochi passi da lui distante.

” Venuti i becchini, passando per la scala centrale, trasportarono la bara sotto i portici all'entrata dell'androne e domandate delle sedie sovra queste la deposero, aspettando il prete e gli alunni che dovevano accompagnarla al Campo Santo. ”

Dobbiamo ancora aggiungere che D. Cagliero Giovanni sopraggiunto, visto il feretro in quel sito, mentre usavasi negli altri funerali porlo all'estremità dei portici presso la porta della scala vicina alla Chiesa, provò rincrescimento per quella novità; e tanto più quando seppe che gli stessi becchini avevano fatto quivi trasportare le sedie già preparate nel solito posto. Quindi insistette perchè la cassa fosse portata nel luogo consueto; ma i becchini brontolarono stizziti e non vollero rimuoverla.

In quel mentre D. Bosco usciva dalla Chiesa e osservando commosso questa bara: - Guardate! disse a D. Francesia e ad altri, che gli erano vicini; combinazione!…… nel sogno l'ho veduta proprio qui.

Questi fatti furono anche descritti in una relazione di D. Secondo Merlone.

Ma se nessuno degli alunni era giunto a conoscere che Maestro fosse il morituro, vi erano due della casa che ne conoscevano il nome e avevano saputo anche qualche cosa di pi√π.

Sulla fine di febbraio era morto un alunno, da qualche tempo uscito dall'Oratorio. Due chierici anziani già in sacris, uno de' quali D. Cagliero Giovanni, avutane notizia, un mattino salendo le scale avevano incontrato D. Bosco, che discendeva nel cortile, e gli annunziarono questa perdita per lui sempre dolorosa. D. Bosco rispose: - Non sarà il solo; prima che passino due mesi, altri due dovranno morire. - E loro ne palesava il nome. Non di raro il Servo di Dio faceva simili confidenze e sotto segreto, a chi egli conosceva fornito di grande saviezza, perchè, senza che i giovani indicati se ne addassero, fossero da lui animati amichevolmente a tener buona condotta, a frequentare i sacramenti; e nello stesso tempo li sorvegliasse per tenerli lontani da ogni pericolo dell'anima.

I due chierici assunsero volentieri quell'ufficio da angelo custode, ma intanto presa una carta vi scrissero la profezia, la data del giorno nel quale D. Bosco l'aveva annunciata, i due nomi e la firmarono. Quindi recatisi in Prefettura e appostivi i sigilli, ivi la depositarono perchè fosse gelosamente custodita.

Mons. Cagliero dopo quaranta sette anni trascorsi da quel giorno, conferma quanto abbiam descritto e rammenta ancora la compassione che provava nel vedere que' due giovanetti correre allegramente su e giù pel cortile e giuocare, senza pensiero al mondo della sorte, benchè non infelice, che loro sovrastava; il compimento della profezia nel tempo fissato; e la commozione provata anche dal Prefetto quando fu dissigillato il biglietto scritto due mesi prima.

“ In que' giorni, continua D. Bonetti, gli alunni, che avevano bisogno di divertire la propria mente dalle idee funebri, presero a parlare a D. Bosco di quel cane misterioso, che in varii incontri avealo salvato da tante aggressioni dei malvagi. E D. Bosco con molte lepidezze, dopo aver raccontato varii episodii della sua vita, venne a descrivere la valentia del famoso cane grigio, sicchè gli alunni ne erano entusiasmati e ridevano saporitamente.

” Gli domandarono se fosse lungo tempo da che non l'avea più veduto ed ei rispose, che lo vide e fu da lui accompagnato solamente l'anno scorso, una sera molto avanzata, trovandosi egli senza compagno.

” - Una volta, proseguì, me lo vidi innanzi all'improvviso sulla strada da Buttigliera a Moncucco, essendo già tarda la sera e mi difese da grossi cani, che, usciti da una prossima cascina, mi erano venuti incontro poco garbatamente.”

Possiamo ben dire che la storia di questo cane è qualche cosa di ben curioso ed insieme di sovrumano, tanto più che a quel che sembra talora appariva visibile al solo D. Bosco.

Infatti ci scrisse D. Garino Giovanni. “ Nel 1862, un sabato dopo pranzo verso le ore 2, D. Bosco mi chiamò con sè, perchè lo accompagnassi in Torino. Giunto alla porteria fa per mettere il piede sulla soglia, ma io che gli era dietro, vedeva che stentava ad uscire e per quanto cercasse e da una parte e dall'altra, non riusciva ad incamminarsi. A un tratto si volge indietro e dice: - Non posso uscire; il Grigio non me lo permette! - E non potendo superare quell'insistente impedimento, tornò indietro e per quel giorno non uscì.

L'indomani io sentiva essersi sparsa una voce come il giorno prima alcuno stesse in agguato per fare su D. Bosco qualche brutto tiro ”.

Colla comunione generale e colla sepoltura di Maestro veniva adunque nell'Oratorio osservata santamente la Domenica in Albis. “ Alla sera, narra la cronaca, mancò il predicatore e dovette perciò salire in pulpito D. Bosco. La sua fu predica da santo. Gli cadevano dagli occhi le lagrime e trasse le nostre. Parlò delle feste che anticamente facevansi e si dicevano feste Pasquali, essendo tutti gli otto giorni feste di precetto. Poscia spiegò perchè questa Domenica si chiami in albis, cioè perchè in questa i catecumeni, stati vestiti di bianco nel giorno del battesimo, deponevano la veste candida. Quindi passò a narrare dell'apparizione di Gesù agli Apostoli, dell'istituzione del Sacramento della penitenza. Per conclusione prese quel saluto di Gesù: Pax vobis. Disse di essere tempo di far pace col Signore, esaltò la misericordia di Dio, che offeso ci offre pel primo la pace, mentre a noi toccherebbe offrirla a lui, anzi con calde lagrime a lui domandarla. - Saravvi alcuno in questa chiesa, disse, che vedendo un Dio da lui oltraggiato offrirgli pel primo la pace, voglia nondimeno intimargli la guerra? Suvvia, miei cari giovani, accettiamo questa pace. Verrà il fine della nostra vita e se noi avremo fatto pace con Dio in questo giorno, Gesù Cristo, in quel punto tremendo della morte, ci farà risuonare all'orecchio questo bel saluto: Pax vobis. Sarà poi una pace eterna ”.

 

 

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