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5. A Chieri tre classi in un anno

La prima persona che conobbi fu don Eustachio Valimberti, un prete che ricordo con riconoscenza. Mi invitava a servirgli la Messa, e approfittava di quei momenti per darmi ottimi consigli sul modo di comportarmi e di tenermi lontano dai pericoli della città...


5. A Chieri tre classi in un anno

da Don Bosco

del 08 gennaio 2007Ricominciare da capo

Avevo perso tanto tempo. Per non perderne dell'altro, decidemmo il mio trasferimento a Chieri. Là mi sarei applicato seriamente allo studio. Era il 1831.

Chi è cresciuto tra i boschi, e ha visto soltanto qualche piccolo paese di provincia, prova grande impressione al vedere una città.

Fui preso a pensione nella casa di Lucia Matta, nostra compaesana. Era vedova e aveva un figlio solo. Si era trasferita a Chieri per assisterlo e aiutarlo durante gli studi.

La prima persona che conobbi fu don Eustachio Valimberti, un prete che ricordo con riconoscenza. Mi invitava a servirgli la Messa, e approfittava di quei momenti per darmi ottimi consigli sul modo di comportarmi e di tenermi lontano dai pericoli della città. Mi condusse egli stesso dal Delegato governativo agli studi. Mi presentò pure ai vari professori.

Siccome gli studi fatti fin allora erano un po' di tutto, cioè un po' di niente, fui consigliato a iscrivermi alla sesta classe (una specie di prima media).

Dell'insegnante, il teologo Pugnetti, ho un ottimo ricordo. Mi trattò con molta gentilezza. Vedendo la mia età e la mia buona volontà, mi aiutava a scuola, mi invitava a casa sua, non risparmiava fatica per farmi riguadagnare il tempo perduto. Per la mia età (16 anni compiuti) e la mia statura, tra gli alunni piccolini sembravo un pilastro. Era una situazione che mi avviliva. Dopo appena due mesi, avendo ottenuto una splendida pagella, fui ammesso all'esame per passare in quinta. (L'ordine delle classi era decrescente. dalla quinta si passava alla quarta, alla terza, ecc.).

Entrai volentieri nella nuova classe, perché gli alunni erano un po' più grandi, e il professore era il mio caro amico don Valimberti.

Passati altri due mesi, ottenni nuovamente splendidi voti. In via eccezionale fui ammesso a un altro esame e promosso alla quarta.

In questa classe era professore Vincenzo Cima, uomo severo, che teneva in classe la massima disciplina: Al vedersi comparire in scuola, a metà anno, un alunno grande e grosso come lui, disse scherzando:

- Costui o è una grossa talpa o un grande ingegno. Un po' spaventato da quell'uomo severo dissi:

- Qualcosa di mezzo. Sono un povero giovane che ha buona volontà di fare il suo dovere e di progredire negli studi. Quelle parole gli piacquero, e con insolita amabilità soggiunse:

- Se hai buona volontà, sei in buone mani. Non ti lascerò a perdere il tempo. Fatti coraggio. Quando incontri qualche difficoltà, dimmelo immediatamente, e ti aiuterò.

Lo ringraziai di cuore.

Quando si dimentica un libro

Ero da circa due mesi nella quarta classe, quando un piccolo incidente fece parlare di me. Il professore di latino spiegava la vita di Agesilao scritta da Cornelio Nepote. Quel giorno avevo dimenticato a casa il libro. Perché il professore non se ne accorgesse, tenevo spalancato davanti un altro libro, la grammatica.

I compagni se ne accorsero. Uno diede di gomito al vicino, un altro si mise a ridere, la classe cominciò ad agitarsi.

- Che cosa c'è? - domandò il professore - Che cosa capita? Voglio saperlo immediatamente!

Vedendo che molti guardavano nella mia direzione, mi comandò di rileggere il testo e di ripetere la sua spiegazione. Mi alzai in piedi tenendo in mano la grammatica, e ripetei a memoria il testo e la spiegazione. I compagni, quasi istintivamente, fecero un « oh » di meraviglia e batterono le mani.

Il professore andò su tutte le furie: era la prima volta - gridava - che non riusciva a ottenere ordine e silenzio. Mi diede uno scappellotto, che riuscii a scansare piegando la testa. Poi, mettendo una mano sulla mia grammatica, si fece spiegare dai vicini la causa di « quel disordine ».

- Bosco non ha il Cornelio Nepote. Tiene in mano la grammatica. Eppure ha letto e spiegato come se avesse sotto gli occhi il libro di Cornelio.

Il professore guardò allora il libro su cui aveva appoggiato la mano, e volle che continuassi la « lettura » del Cornelio ancora per due periodi. Poi mi disse:

- Ti perdono per la tua felice memoria. Sei fortunato. Procura di servirtene sempre bene.

Alla fine dell'anno scolastico fui promosso alla terza classe.

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