Ragazzo, dico a te, alzati

Capitolo 3

In questa seconda parte, composta da 4 capitoli, vi sono i grandi orientamenti in vista dell'azione educativa e pastorale nelle nostre realtà salesiane a partire dalla fede e dallo spirito missionario. Oggi vediamo il terzo capitolo: Ragazzo, dico a te, alzati.

Elijah Grimm Elijah Grimm

«Se hai perso il vigore interiore, i sogni, l’entusiasmo, la speranza e la generosità,
davanti a te si presenta Gesù come si presentò davanti al figlio morto della vedova, e con tutta la sua potenza di Risorto il Signore ti esorta: “Ragazzo, dico a te, alzati!”» (FRANCESCO, Christus vivit, n. 20)

Cosa significa oggi riscoprire la fede ed essere missionari tra i giovani?
Cosa vuol dire per un educatore, un animatore, un prete, un genitore portare la fede dentro la vita di ogni giorno?
Sono domande che non si possono evitare, perché toccano il cuore del nostro essere cristiani. Non basta “avere” la fede: bisogna lasciarla agire, farla diventare testimonianza, incontro, missione.

Papa Francesco lo ha detto chiaramente: «Cari giovani, tutti voi siete chiamati ad essere missionari, a portare il Vangelo con la forza della giovinezza, con passione, senza paura, anche quando la vita è difficile».

La fede che si fa voce e movimento

La fede non è un fatto privato o un’opinione personale. È ascolto, accoglienza, annuncio che genera vita. Come ricorda la Lumen fidei, «la fede non è una concezione individualistica, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio».
È una luce che ti cambia lo sguardo, una forza che ti mette in cammino.

Il primo annuncio della fede, quello che ogni persona ha il diritto di ascoltare nei nostri ambienti salesiani, è semplice e diretto: Dio ti vede, ti ama, ti rialza.

Gesù davanti al dolore: il Dio che si commuove

Nel Vangelo di Luca troviamo una scena che racchiude in poche righe tutto il cuore del Vangelo (Lc 7,11-17): Gesù entra a Nain, incontra una vedova che ha perso il suo unico figlio e, «vedendola, fu preso da grande compassione».
Le dice «Non piangere!», poi tocca la bara e comanda: «Ragazzo, dico a te, alzati!».

È un incontro che cambia tutto: la morte si trasforma in vita, la disperazione in speranza, il pianto in lode. Gesù non ha paura di toccare la sofferenza, di avvicinarsi, di contaminarsi. La sua parola non consola soltanto: rialza.

E proprio lì, in quella parola – “Àlzati!” – c’è la sintesi di tutto il Vangelo. È l’invito che Gesù fa a ciascuno di noi: rialzati, riprendi a camminare, torna a parlare, vivi di nuovo!
Papa Francesco lo spiega così: «Gesù parla a te, a me, a ognuno di noi, e dice: “Alzati!”. Solo chi non cammina non cade, ma non va nemmeno avanti».

La fede è accettare di alzarsi. È fidarsi che Dio non solo ti perdona, ma ti restituisce la vita.

I segni del Regno: la fede che agisce

Quando Giovanni Battista manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se è davvero il Messia, Gesù risponde con i fatti: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia» (Lc 7,22).

Non parole, ma gesti. Non teorie, ma opere concrete di liberazione.
Il primo annuncio non è un discorso: è un atto d’amore che cambia la vita di qualcuno. È presenza, vicinanza, fiducia.

Anche la Chiesa, come Gesù, è chiamata ad annunciare con le mani e con il cuore: rialzare chi è caduto, accompagnare chi non ce la fa, ascoltare chi non ha voce. È una missione che nasce dalla fede e la rende visibile.

La Lumen fidei ci ricorda la potenza di questa esperienza: «La fede era per i primi cristiani una madre, perché li faceva venire alla luce, generava in essi la vita divina, una nuova visione dell’esistenza».

Una pastorale che rialza

L’episodio di Nain ci parla oggi come Chiesa e come famiglia salesiana. Il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, lo ha scritto con parole forti: «Scopriamo in questo brano un bellissimo itinerario di Gesù, pieno di compassione davanti alla morte di un giovane, alla disgregazione di una famiglia e alla solitudine di una madre. Alla luce di questo, la nostra pastorale giovanile è chiamata ad essere familiare e sociale, capace di restituire dignità e libertà».

Significa che ogni ambiente salesiano – oratorio, scuola, casa – è chiamato a diventare un luogo dove si sperimenta questo “alzati!”. Dove si ridona fiducia, si crea vita, si genera speranza.

Evangelizzare: irradiare la luce che portiamo dentro

Essere missionari oggi vuol dire rimettere al centro l’evangelizzazione. Non come compito riservato a pochi, ma come vocazione di tutti. Papa Francesco lo ricorda nell’Evangelii gaudium: «Ogni battezzato è un discepolo missionario. Sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da pochi, mentre il resto del popolo rimane solo recettivo».

Evangelizzare non è convincere, ma illuminare e riscaldare. Non è parlare di Dio, ma lasciarlo passare attraverso la propria vita.
Quando una persona è felice, vera, coerente, contagia. La fede diventa luce che si espande, calore che scalda, gioia che si diffonde.

Ecco la sfida: vivere in modo che chi ci incontra possa dire – anche senza parole – “Dio ha visitato il suo popolo”.

“Alzati!”: la parola per ogni giovane

Alla fine, tutto si riassume in quella parola che attraversa i secoli e parla al cuore di ogni giovane: “Alzati!”
Alzati dalla paura, dal disimpegno, dal “tanto non serve a niente”.
Alzati dalla stanchezza e dalle cadute, e lascia che la fede diventi movimento, relazione, dono.

È questa la vera missione: credere che la vita vale, e che Dio la vuole piena, libera e felice.
E quando lo credi davvero, non puoi non desiderare di raccontarlo con la tua vita.


SOGNI MISSIONARI E ANNUNZIO DEL VANGELO
Leggi il primo sogno missionario (cfr. Memorie Biografiche di don Bosco, volume X, pagg. 53-56)

«Conobbi missionari di vari Ordini. Costoro si avvicinarono per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo [...] Dopo d’essere stato ad osservare quelli orribili macelli, dissi tra me: “Come fare a convertire questa gente così brutale?”. Intanto vedo in lontananza un drappello di altri missionari che si avvicinano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti. Io tremavo pensando: “Vengono a farsi uccidere”. E mi avvicinai a loro: erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per i nostri Salesiani».

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