Il Vangelo di Luca ci narra, in questa domenica, dell'incontro di due madri che si incontrano, ciascuna portando dentro di sé una vita fecondata in modo straordinario. Elisabetta e Maria, così diverse per età e per maternità, si trovano unite a celebrare il trionfo della vita.
Letture: Michea 5, 1-4 Ebrei 10, 5-10 Luca 1, 39-48
Il ritratto che Luca oggi ci consegna di Maria e della sua ‘missione’ fa di lei il modello perfetto dell’evangelizzazione a cui tutta l’umanità e ciascuno di noi deve guardare. Maria è l’icona della prontezza e della disponibilità incondizionata alla missione, nel suo andare presso la parente Elisabetta. Salendo sulla montagna di Giuda per raggiungere la cugina, porta con sé il Cristo e dona così il “Vangelo”, la lieta notizia, al popolo che attende la visita del Signore.
Il Vangelo di Luca ci narra, in questa domenica, dell’incontro di due madri che si incontrano, ciascuna portando dentro di sé una vita fecondata in modo straordinario. Elisabetta e Maria, così diverse per età e per maternità, si trovano unite a celebrare il trionfo della vita. Le due donne, proprio perché destinatarie di un prodigio, rimandano alla vera causa del soggetto teologico del brano, a Dio, che con imprevedibile fantasia e con misteriosa potenza continua ad operare il miracolo della vita, primo fra tutti quello dell’Incarnazione del suo Figlio.
Dopo la stupenda esperienza di Nazareth (l’Annunciazione) che la promuoveva “Madre di Dio”, Maria non appare una creatura beata in se stessa, bensì una donna concreta, sensibile e disponibile. Una donna che ha fretta. In Maria, la fretta rivela l’attenzione e la fiducia verso la presenza di Dio, la spinta forte ad agire in risposta ad un evento che cambia la vita!
«Si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa». Maria lascia la tranquillità della sua casa. Si muove e va là dove la chiama l’urgenza di un bisogno. In fretta esprime la sollecitudine di recare aiuto all’anziana parente. Il muoversi fisico mostra la sensibilità interiore di Maria, che non è chiusa a contemplare in modo privato ed intimistico il mistero della divina maternità che si compie in lei, ma è proiettata sul sentiero della carità. Maria si muove per portare aiuto alla sua anziana cugina. L’amore per il prossimo diventa - anche per noi - la prova che certifica l’autenticità dell’amore a Dio. Certamente questa fretta di Maria dice con quanta prontezza Dio, ancora nel grembo della vergine, non teme di percorrere le strade degli uomini e di avvicinarsi a loro! Appena concepito Dio non sopporta indugi, la sua volontà di salvezza non si ferma. Maria ha fretta di servire Dio, ma in realtà è la fretta di Dio, di rendersi utile, cioè di salvare l’umanità intera. Maria si mette in cammino. Grazie a lei anche Gesù, ancora prima di nascere, è in movimento verso gli altri. Insieme con Maria, portato in grembo, Gesù si muove con la Madre. C’è - potremmo dire - un bisogno, una esigenza di comunione: estendere agli altri quel fascio di luce che ha investito Maria. Sentite S. Ambrogio come commenta questa ‘fretta’: «Maria si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula nella profezia o incerta dell’annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia…La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze». Il saluto di Maria produce in Elisabetta un effetto non sperato, la madre, prima di rispondere, sente un sussulto del figlio non ancora nato. Giovanni riconosce a suo modo la madre del Messia. Appena Maria entra in casa e saluta Elisabetta, il piccolo Giovanni ha un sussulto. Secondo alcuni il sussulto non è paragonabile agli spostamenti del feto, sperimentati da ogni donna incinta. Luca usa un verbo greco particolare che significa propriamente 'saltare'. Volendo interpretare il verbo, un po' liberamente, lo si può indicare con 'danzare'. Qualcuno ha pensato che quella 'danza' la si potrebbe considerare una forma di 'omaggio' che Giovanni rende a Gesù, inaugurando, non ancora nato, quell'atteggiamento di rispetto e di sudditanza che caratterizzerà la sua vita: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale non sono degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali» (Mc 1,7). Un giorno lo stesso Giovanni testimonierà «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30). Così commenta ancora s. Ambrogio: «Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia». Due madri, dunque, che portano un figlio nel grembo e anziché parlare di sé, parlano di Dio, della sua grandezza, dei suoi interventi prodigiosi. Sono madri capaci di lodare, di ringraziare, di esultare. Proprio per questo le due madri sono: “arche sante”, “ostensori sacri” di due esseri destinati l’uno a indicare la via, l’altro ad essere lui stesso la Via. «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». Queste parole di Elisabetta documentano il fatto che la benedizione è un dono e la ricchezza fondamentale della benedizione è appunto quella della vita e della fecondità. «Benedetto il frutto del tuo grembo». Maria viene celebrata proprio per la sua maternità. E poi Maria non è una creatura che sa, ma una creatura che crede! Beata perché credente. Maria è una creatura che crede, perché si è fidata di una Parola che lei ha rivestito col suo «sì» di amore. Ora Elisabetta le riconosce questo servizio d'amore, identificandola «benedetta come madre e beata come credente». Le parole di Elisabetta che seguono, dono dello Spirito, pubblicizzano a noi il mistero che Maria pensava affidato alla segretezza della sua intimità. «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?». Non esiste un rapporto autentico con Dio che non abbia la possibilità di diventare “pubblico”. Così l’incontro con due madri in attesa, diventa l’incontro del frutto che hanno in grembo; Giovanni percepisce la presenza del suo Signore ed esulta, esprimendo con il suo sussultare la gioia a contatto con la salvezza, quella che Maria potrà esprimere nel canto del Magnificat. Maria così ci offre uno spunto importante: come Lei siamo chiamati ad una fede dagli occhi aperti, una fede che cerca di rendersi conto di ciò che Dio opera nella storia degli uomini e di ciascuno di noi. La fede non è mai un situazione statica, ma è una realtà viva: o essa cresce e porta frutto o va verso il declino! Come Maria che esulta nel canto del Magnificat, così ogni cristiano deve essere invaso da questo spirito “eucaristico”, cioè il rendimento di grazie, la confessione di lode. Dio per primo ci è venuto incontro e di questo dobbiamo esserne certi. Questa quarta domenica di Avvento, così prossima al Natale, sembra invitarci a crescere proprio in questo atteggiamento interiore, cioè nell’attitudine di sapere, prima di ogni altra cosa, ringraziare e lodare Dio per i doni ricevuti. Maria ed Elisabetta sono due donne particolari: la vergine e la sterile! Loro annunciano con la loro maternità impossibile ed imprevista che Dio opera in modo miracoloso nella nostra esistenza, al di là di ogni ragionevole comprensione. Da queste due donne noi impariamo ad essere attenti all’azione di Dio nei nostri confronti e a diventare come loro capaci di annuncio. Come sarebbe bello che anche i nostri incontri, nella vita quotidiana, diventassero simili a questo! Come sarebbe bello se, invece di cedere al bisogno irrefrenabile della chiacchiera avessimo il coraggio di riconoscere ognuno quello che Dio sta facendo nella nostra vita e ce lo comunicassimo per raddoppiare la nostra gioia e la nostra speranza! Come sarebbe bello se, nel linguaggio semplice di ogni giorno, noi dessimo voce alla gratitudine di un popolo che vede i segni di Dio nella sua storia! Saremo capaci anche noi, a Natale, di dare vita ad incontri di questo genere? E concludo con le parole che Benedetto XVI ha detto agli Studenti Universitari di Roma: «Cari amici, entriamo nel mistero del Natale, ormai vicino, attraverso la 'porta' dell'Eucaristia: nella grotta di Betlemme adoriamo lo stesso Signore che nel Sacramento eucaristico ha voluto farsi nostro alimento spirituale, per trasformare il mondo dall'interno, a partire dal cuore dell'uomo. Ponetevi alla scuola della Vergine Maria, la prima che ha contemplato l'umanità del Verbo incarnato. Nel Bambino Gesù, col quale intrecciava infiniti e silenziosi colloqui, Ella riconosceva il Volto umano di Dio, così che la misteriosa Sapienza del Figlio si è impressa nella mente e nel cuore della Madre». Sia così per ciascuno di noi! Buon Natale!
Don Carlo Maria Zanotti
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