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La notte del Signore

C'è un abisso tra volere e fare, tra volere la morte, la propria morte, e anche la morte degli altri, e passarvi...


La notte del Signore

 

  LA DIVINA INDECISIONE 

 

Tutto era pronto. La vita di famiglia, trent'anni, aveva avuto luogo. La vita pubblica, tre anni, aveva avuto luogo. La vita di casa, il banco di lavoro e la morsa, la sega e la pialla, era finito, questo era stato fatto. La vita di popolo, la montagna e la pianura, e il lago di Tiberiade, la predicazione e le similitudini, la curva delle parabole, lungo le strade, era finita; questo era stato fatto. Tutto era pronto. Il coronamento stava per cominciare. Il coronamento stava per aver luogo. Tutto era pronto. Tutte le virtù private e pubbliche, tutte le virtù eroiche dei trenta e tre anni stavano per culminare nel sacrificio supremo.  Durante anni e anni l'albero della croce, pazienza vegetale, senza miracolo aveva preparato la durezza del suo legno. In qualche palude del Giordano la canna era spuntata, lo scettro di derisione, una canna era spuntata, la canna unica e una spina, senza miracolo, una santa spina era spuntata in qualche macchia giudea, in qualche macchia ebraica. Una spina nera, una spina purpurea, forse un semplice rovo, una grossa spina di quei paesi. Tutti erano chiamati in servizio; gli uomini erano chiamati in servizio; gli attrezzi eterni erano pronti, gli strumenti della salvazione del mondo.  Giuda era pronto e il bacio saliva alle labbra di Giuda. Il bacio che attendeva dai secoli dei secoli. Il bacio che nei secoli dei secoli in seguito si ripercuoterà eternamente. Il bacio annunciato, il bacio che si ripercuote da tutta l'eternità.  E in una camerata in basso, appoggiata al terzo affardellamento, la lancia, la lancia per il Fianco, aspettava.  Tutto era pronto, lui solo, lui solo non lo era. Tutta la creazione era convocata, era stata convocata. r.:appello era fatto; non soltanto l'appello di quella prima decuria, e della sinistra di quella seconda, e di Malco: l'appello della creazione intera.  E come la lancia era pronta, anche gli angeli erano pronti. Come la lancia era pronta all'equipaggiamento del Romano, nello stesso modo gli angeli si preparavano. Sorpresi di dover raccogliere un sangue d'uomo, un sangue di Dio, un sangue d'uomo di Dio.  Lui stesso era preparato, la sua preparazione era fatta. La sua volontà era decisa da tutta l'eternità. Aveva deciso questo. Nessuno gli forzava la mano. Chi del resto, chi poi gli avrebbe forzato la mano. Niente lo forzava, niente gli forzava la mano, e ad occuparsi di quell'affare, niente se non un amore immenso, niente se non il suo immenso amore infinito, niente l'aveva trascinato in quell'affare se non un amore immenso, il suo infinito amore eterno. Da tutta l'eternità si era imbarcato in quell'affare.  Da tutta l'eternità la sua decisione era presa. Adesso poteva fermare tutto, disdire Giuda e disdire Barabba, disdire Pilato e disdire Caifa, disdire Malco. L’eternità stessa attendeva, figlio mio, lei che non attende mai, che non attende affatto. Leternità stessa era sospesa.  E lui stesso attendeva come il suo coronamento, da tutta l'eternità sapeva, da tutta l'eternità attendeva questo coronamento. Singolare. Sapere, amico mio, come si vedeva bene, su quest'esempio eminente, su quest'esempio singolare, che c'è un abisso tra sapere e fare, tra sapere la morte (la propria morte) e passarvi. Lui stesso il suo amore attendeva. Da tutta l'eternità il suo amore infinito, il suo amore eterno attendeva. E che c'è un abisso tra volere e fare, tra volere la morte, la propria morte, e anche la morte degli altri, e passarvi.  Perché infine questa volontà che egli diceva altra, di un altro, questa volontà che diceva estranea, alienam, questa volontà che chiamava la volontà di suo padre, non la sua, verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu, infine questa volontà non era soltanto la volontà di suo padre; era anche la sua; da tutta l'eternità era propriamente la sua.  Lui stesso aveva messo l'ultima mano alla sua istituzione, alla fondazione della sua città. La Chiesa era fondata. Pietro era investito. Il pane era stato cambiato in corpo e il vino era stato cambiato in sangue, il vino dell'uva della vite. Cosa dev'essere mai la morte, figlio mio, perché in quel momento egli abbia avuto un'esitazione, perché un'esitazione atroce l'abbia fatto un istante tentennare. Lui stesso l'ultimo dei profeti, il principe dei profeti, aveva tre e quattro volte profetizzato la sua propria morte, aveva appena profetizzato la sua passione e la sua morte.  Ed ecco che non solo stava per smentire tutti gli altri profeti. Ma stava per smentire se stesso profeta. Cosa dev'essere mai la morte, amico mio, figlio mio, perché il solo avvicinarsi, perché la sola attesa, perché la sola apprensione della morte l'abbia messo in un tale stato, in quello stato. Perché non ci si deve ingannare, amico mio, e non dissimulatevelo, era questo, e questo soltanto, che era nel cuore del supplizio, che era il midollo e il cuore della passione!  In questo senso non vi sfugge che la sua passione e soprattutto che la sua morte era come un compimento e nello stesso tempo come una prova e un controllo, una verifica, quasi una concentrazione, una realizzazione suprema della sua incarnazione.  Chi moriva come uomo, a quel punto come uomo, era dunque bene uomo, era dunque ben stato incarnato uomo. Era come una prova per mezzo del limite. Avrebbe dovuto subire la morte, la morte ordinaria, la morte comune, figlio mio, la morte come in Villon, la morte di ogni uomo, la morte di tutti quanti, la sorte comune, la morte comune a tutti quanti, la morte di cui vostro padre è morto, figlio mio, e il padre di vostro padre.  Quale deve essere, figlio mio, quale bisogna che sia questa morte, perché egli abbia preso giustamente questo tempo, in cui immensi preparativi, a cui immense promesse facevano capo, per segnare questo tempo di sosta, questo tempo di spavento, questo tempo di stupore, diciamo la parola, questo tempo di vacillamento, diciamo la parola, questo tempo di arretramento. Questo tempo di sbigottimento.  Per tirar fuori infine questa spaventosa preghiera. Questa atroce preghiera di un'ansietà carnale, di un'ansietà come eterna, quest'atroce preghiera di un'angoscia infinita. Transeat a me Pater mi, si POSSIBILE EST, transeat a me calix iste. Testo niente affatto commovente, come è stato detto migliaia di volte, in tutti i romanticismi, laici, ecclesiastici, antichi, moderni, cristiani, atei. Ma testo letteralmente spaventoso, molto precisamente spaventoso.  Tutti i testi vanno nello stesso senso, i profeti, i santi, e lui profeta e santo. Tutti i testi vanno nello stesso senso che è il senso del compimento della salvezza. E un solo testo contrasta. Un solo testo respinge. Ed è precisamente il testo dell'apprensione della morte.  E fu precisamente il tempo che egli prese, quando tutto attendeva, quando la creazione era sospesa alle labbra del suo Dio, fu precisamente il tempo che prese per darci, per lasciarci questo testo: il testo dell'apprensione della morte per non entrare in tentazione. Perché lo spirito è pronto, ma la carne è debole. Parole spaventose, che non si vogliono affatto intendere nel loro senso, spaventoso.  Testo spaventoso che non si vuole affatto leggere, che si venera, che non si vuole leggere, che si venera per non leggerlo. Parole spaventose, che si venerano per non intenderle. Le si intende, le si legge, come un rimprovero, a quei bambini che siamo, sarebbe come un biasimo, conosciuto, abituale, registrato, dunque senza importanza, digerito, come un ammonimento, una sgridata. Gesù, in questa versione, in questa lettura, Gesù riprenderebbe Pietro come dall'alto, come uno che sa correggerebbe, riprenderebbe uno che non sa, come uno che può riprenderebbe uno che non può.  Amico mio, è tutto il contrario, diametralmente il contrario. Nel momento in cui insegna a quei disgraziati la tentazione e di vegliare e di pregare per non entrare nella tentazione, e che lo spirito è pronto e che la carne è debole, quale riflessione, quale conversione non doveva operare su se stesso, quale marcia indietro non doveva fare su se stesso (sulla sua anima) e sulla sua propria carne.  Era tra il suo primo e il suo secondo, dobbiamo dirlo, mancamento, era tra la sua prima e la sua seconda preghiera di supplica; dopo la prima, prima della seconda. Aveva appena provato, in se stesso, aveva appena conosciuto, istantaneamente aveva conosciuto cosa sia quell'angoscia spaventosa e nella sua propria carne aveva conosciuto cosa sia la debolezza della carne, l'infermità di ogni carne.  Ecco, sembrava dire [era soltanto il fratello, che aveva appena parlato al padre, al Padre comune, era il fratello che (se ne) tornava verso i suoi fratelli, verso uno, verso tre fratelli più giovani, verso tutti i cristiani suoi fratelli (più giovani) e che sembrava dire loro]: Vedete cosa è la nostra carne, e la nostra tentazione. Bisogna vegliare. Bisogna pregare. Non si è mai tranquilli. Per la seconda volta se ne andò, e pregò, dicendo: Padre mio, se questo calice non può passare senza che io ne beva, sia fatta la tua volontà.  Iterum secundo, per la seconda volta se ne va, per la seconda volta prega, per la seconda volta dice: Si non potest, come riprende, come ripete il si possibile est della prima volta, del primo ritiro, della prima solitudine, della prima preghiera. Ma si arrende, si sottomette. E già al negativo: Si non potest; si non possibile est. Nisi bibam illum: si rappresenta già di berlo. Fiat voluntas tua, come riprende il sicut tu. Ma in negativo anche, al contrario, il sicut ego volo (voluntas mea) scompare anch'esso qui.  E per un meraviglioso accordo interiore come risuscita qui, come rianima, come rinnova, come richiama, come rimemora la preghiera (orans, et dicens; oravit, dicens) , come ritrova qui la preghiera che ha lui stesso insegnato agli uomini, lui stesso inventato al tempo della sua predicazione, lui stesso concepito, ricevuto, in un colpo di santità, la preghiera che aveva lui stesso deciso, trovato, insegnato sulla montagna, nel sermone, nel discorso sulla montagna. Cioè in questo culmine del suo sgomento, nel momento stesso in cui, uomo, aveva più bisogno di preghiera, in cui aveva un bisogno maximum di preghiera, un bisogno culminante, lui stesso come uomo, lui stesso uomo ritrova questa preghiera, questa stessa preghiera, perché anche a se stesso, a se stesso uomo, anche a sé se l'era insegnata.  Perché se l'era insegnata a lui stesso, a lui uomo, come a noi; e in quella notte tragica fu quella preghiera che gli risalì alle labbra, la formula stessa di quella preghiera; ma non più nella sua continuità sulla montagna, in quella bella continuità del suo sermone: Pater noster, qui es in coelis, sanctificetur nomen tuum; adveniat regnum tuum; fiat voluntas tua. Non più quel bel ritmo di fiume e quella continuità, ma una preghiera spezzata, rotta, atroce, in quella notte tragica, la stessa preghiera frammentaria, spezzata dalla tragicità di quella notte. Pater mi, si non potest hic calix transire nisi bibam illum, fiat voluntas tua.  E questa forma come ritirata, come serrata, quest'invocazione come ritirata a sé, Pater mi invece di Pater noster, che attira, che attrae, che riavvicina suo Padre a sé; che fa, che dà una tale fusione, una tale penetrazione delle sue due persone che dicendo questa preghiera d'uomo non si sa di colpo fino a che punto non parli di colpo, molto specialmente, particolarmente, quasi professionalmente, come tecnicamente, da figlio di Dio, bisogna credere che questa inaudita, che questa avocazione incredibile, eco della tripla preghiera, non dicesse niente, non volesse dir nulla, non significasse nient'altro che la morte carnale e la paura della morte carnale: Mio Dio, mio Dio, ut quid dereliquisti me?  Perché mi avete abbandonato?, che questa strana, che quest'incredibile avocazione non mascheri, non sveli, non nasconda un'altra paura e un'altra morte, che non denunci affatto, che non riveli affatto un altro mistero, un mistero mistico, un mistero infinitamente più profondo. Mettiamo che avesse un corpo, e che il suo corpo si fosse ben difeso. Il suo corpo si era rivoltato, il suo corpo si era ribellato davanti alla morte, davanti alla morte del corpo.  E lui stesso seguì il suo corpo, in un certo senso (come noialtri peccatori e come così spesso i santi), seguì come un pover'uomo il suo corpo, l'indicazione del suo corpo, l'invocazione del suo corpo, l'avocazione del suo corpo. Compiendo così, con un coronamento meraviglioso, compiendo la sua incarnazione nella sua redenzione.  Fiat lux, et lux fuit; lux facta. Verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu. Fiat voluntas tua; et voluntas ejus fuit; voluntas facta. A cinquanta secoli di distanza, da prima di Adamo, fino al nuovo Adamo, fino a quel nuovo Adamo, secondo lo stesso ritmo a titolo di eco fedele questa stessa parola, quest'eco risuonò. E a un intervallo di più di cinquanta secoli di distanza il grido della seconda creazione rispose alla parola della prima creazione.  Nella prima, all'inizio, alle soglie della prima (un) Dio attivo, (un) Dio di comando e d'inizio aveva pronunciato (gloriosamente) una parola di comando, una parola d'autorità, una parola di creazione, una parola attiva, effettiva, efficace. Nella seconda, all'inizio, alle soglie della seconda (un) Dio umile, (un) Dio sottomesso, (un) Dio ritirato, aveva pronunciato fedelmente, in tutta fedeltà, da eco fedele, (un) Dio umile aveva pronunciato umilmente, sottomesso, un'umile parola d'umiltà, di sottomissione. Di passione.  Ecco, cristiani, ecco il vostro progresso; ecco qual è il progresso per voi, il vostro reale, il vostro religioso progresso. Più di cinquanta secoli di progresso, di un progresso, del vostro progresso, portano a questo, a questo secondo inizio: un Dio caduto in avanti sulla faccia, procidit in faciem suam, un Dio prostrato sulla faccia della terra, un Dio lo stesso, un Dio umile, un Dio sottomesso, in tutto lo sconforto e più che in tutta l'umiltà dell'uomo.  Fiat lux,fiat voluntas, un'eco lontana risponde alla parola prima, alla parola di creazione, un'eco fedele: un secondo inizio risponde al primo; una seconda creazione risponde alla prima; e questo secondo comandamento.  E come la prima creazione era la creazione di tutto il mondo, la creazione dell'universo, totius orbis universi, di tutta la creazione questa seconda creazione, questa eco fedele, questa fedeltà non è altro, non sta per essere altro propriamente che la creazione dello spirituale, che essere la propria creazione propria, ritardata più di cinquanta secoli, del mondo spirituale.   

  IL GALLO  

Una volta. Una volta, due volte, tre volte. E il gallo cantò. Ma per noi è la millesima, è la centomillesima, è la centesima di millesime volte che lo consegniamo; che l'abbandoniamo, che lo tradiamo; che lo disconosciamo, che lo rinneghiamo. Popolo ingrato, popolo ingrato, ma anche rinnegato. Migliaia e centinaia di migliaia di volte che lo rinneghiamo nello smarrimento del peccato.  Quante volte, migliaia e centinaia di migliaia di volte i galli delle fattorie, di tutte le fattorie hanno cantato dopo che noi l'abbiamo rinnegato tre volte; sui nostri semplici, sui nostri doppi, sui nostri tripli rinnegamenti. I galli sui pagliai. Sui letamai delle fattorie.  È buffo, si parla sempre di quel gallo, è celebre, del gallo che si trovò lì per cantare, per suonare, per registrare il rinnegamento di Pietro. È per cambiare, per distogliere la conversazione. È per dare il cambio. Ci sono stati galli dopo. Ci sono galli nei nostri paesi. E non sono inoperosi. N ai non li lasciamo inoperosi. Si direbbe che non ci siano galli nei nostri paesi. Non si parla mai dei galli dei nostri paesi. Ahimè, ahimè non c'è gallo in una fattoria che non abbia cantato, che non abbia suonato, che non abbia annunciato al sole nascente, che non abbia registrato, ogni giorno, ogni sole, rinnegamenti peggiori.  Rinnegamenti più che tripli. Che non abbia proclamato la turpitudine dell'uomo. Il gallo canta all'alba. Quello che il gallo canta all'alba, a tutte le albe; dritti sul letamaio di tutte le fattorie; dritti sui loro speroni, quello che vantano, che celebrano, che proclamano, quello che annunciano sono i nostri rinnegamenti senza numero. Come si può sentire al mattino il canto del gallo, come si può sentire cantare il gallo, cantare un gallo, al mattino, e ricominciano tutti i giorni, e quante volte ogni giorno, senza pensare subito al triplo rinnegamento, senza piangere subito il triplo rinnegamento, e i nostri rinnegamenti, che sono più che tripli.  Ogni giorno. Un gallo ha cantato per Pietro; quanti galli cantano per noi; la razza non si è perduta. La razza dei galli non è perduta. Solo che noi non li sentiamo, quelli, non li vogliamo sentire. Ahimè, ahimè, deve cominciare a esserci abituato. Gliene abbiamo dato l'abitudine; un'abitudine proprio a lui; ce l'abbiamo abituato. Gli abbiamo dato questa singolare abitudine: di essere rinnegato. Gli abbiamo fatto prendere quest'abitudine. La stessa storia succede sempre. Grazie alla presenza reale, alla presenza di Gesù, la stessa storia succede sempre.  Ma quei santi di cui parli così leggermente; e non tu soltanto; tutti, dappertutto se ne parla leggermente; quel Pietro, nostro fondatore, del quale parli alla leggera; che tutti prendono in giro; il padrone delle chiavi. Essi furono gli apostoli investiti. Furono i primi discepoli.  Gesù perdonò, e istantaneamente, in anticipo aveva perdonato il rinnegamento di Pietro. Dio voglia che ci abbia preso l'abitudine; e che parimenti perdoni anche i nostri rinnegamenti innumerevoli.  Dio voglia che Dio abbia preso l'abitudine. Dio voglia aver preso l'abitudine. Anche quell'abitudine. [...] Essi furono i primi. Furono i discepoli. Furono gli apostoli. Furono i martiri. Pietro ottenne l'onore supremo di essere crocifisso. Crocifisso come Gesù! Che segno. Che onore; unico. Degno della sua destinazione. Soltanto fu crocifisso con la testa in giù, per spirito d'umiltà, perché naturalmente nessuno può essere crocifisso esattamente come Gesù.  Gesù era la testa e lui è la base. Gesù era la testa e lui i piedi. Il piede. E Andrea, suo fratello Andrea fu crocifisso a una croce di sant'Andrea. Quando avremo pagato come loro, quanto loro, i nostri rinnegamenti, i nostri propri rinnegamenti, allora, bambina mia, potremo parlare. Quando avremo avuto quell'onore, quando saremo morti per lui, come loro, allora, bambina, potremo forse dire una parola, potremo dire la nostra. (Quasi ridendo dentro di sé).  Ma allora, bambina, è allora che non diremo nulla. Perché è allora che non avremmo nulla da dire. Perché saremmo nel regno. Nel regno dove non si dice più nulla, dove non c'è più nulla da dire. Perché staremo condividendo con loro la beatitudine eterna.   

 

 

Charles Peguy

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