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La generosità è dei buoni o dei buonisti?

Possiamo dire che l'egoismo è ragionevole, la generosità non lo è...


La generosità è dei buoni o dei buonisti?

 

I buoni sono generosi. Credo che questo sia abbastanza assodato. Generosi, cioè abbondanti nel donare e nel ricompensare. Ma è meglio non cercare definizioni troppo precise alla parola generosità, che spesso si manifesta come una reazione immediata ad un incontro o ad una situazione che ci interpellano. Più ci pensiamo su, valutiamo, ponderiamo, più scopriamo che essere generosi non conviene e abbiamo ottime motivazioni per difendere i nostri interessi (o quelli della nostra famiglia, o della nostra comunità, o del nostro paese...). Possiamo dire che l'egoismo è ragionevole, la generosità non lo è.

 

Certo non ha perso tempo in valutazioni e controvalutazioni Anatolij Korov, che l'estate scorsa stava finendo di fare la spesa, quando si è accorto che nel supermercato era in corso una rapina ed è intervenuto per sventarla, rimettendoci la vita. Una reazione istintiva che dimostra che, fondamentalmente, non è vero che l'uomo è egoista di natura: lo diventa quando ci pensa su. Una reazione che, comunque, implica avere, oltre che molta generosità, anche una buona dose di coraggio. E di istinto di protezione.

Eppure sono sicura che, nel coro di lodi che si è alzato nei confronti di Korov, molte voci sono rimaste silenti. Quelle in sintonia con il proverbio, secondo il quale «la generosità è più lodata che imitata». Per questo dare il buon esempio è importante, ma non basta. Anzi, più il buon esempio è radicale, meno trascina. Tutti amano la figura di S. Francesco, per esempio, ma ben pochi prendono in considerazione la possibilità di imitarlo: dare tutto ciò che abbiamo ai poveri certamente non è ragionevole per dei laici che, oltre alla propria vita da gestire, hanno impegni con la propria famiglia e con la società.

 

E d'altra parte non possiamo negare che l'eccesso di generosità, nella vita quotidiana, infastidisce, o preoccupa. Suscita sospetto. Esagerare nella generosità, nell'impegno per gli altri, nel farsi paladini delle cause perse può essere sintomo di una forma di narcisimo: ti fa apparire sempre migliore degli altri, più forte. In qualche modo dice a tutti che puoi permettertelo, di essere così generoso, e fa scomparire l'obolo delle vedova. Cioè il dono piccolo, umile, quotidiano, che però per chi lo dà rappresenta il massimo della generosità. E che, soprattutto, dimostra che anche i poveri hanno qualcosa da donare, non solo i ricchi.

Nelle società moderne, la generosità non viene considerata come indispensabile per la sopravvivenza. Tant'è vero che la cosiddetta "regola d'oro" - «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te» - non invita al dono, ma solo al rispetto. È la regola che permette di convivere con gli altri pur perseguendo i propri interessi. Rintracciabile con poche varianti nelle principali religioni e correnti filosofiche, è alla base della cosiddetta "etica della reciprocità": ciascuno assume il dovere di rispettare i diritti dell'altro, e questa assunzione di responsabilità permette alla società di trovare un equilibrio e di ricomporre i conflitti.

 

Ma la regola d'oro ha anche una formulazione positiva, molto più impegnativa: «fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te». Che poi è la formulazione del Levitico: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti». Decisamente un salto di qualità, che apre spazio alla generosità: non basta non fare il male. Bisogna fare il bene. E il bene non ha confini. Non certo quelli del nostro interesse.

Del resto, i Vangeli riprendono più volte la regola del Levitico, ma ci spingono ancora più in là, ricordando che Gesù ne ha indicata una ancora più importante: il più grande comandamento è «ama il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Il secondo è ugualmente importante: «ama il tuo prossimo come te stesso. Tutta la legge di Mosè e tutto l'insegnamento dei profeti dipendono da questi due comandamenti» (Mt. 22, 37-40).

E per chi non volesse capire, c'è anche Giovanni: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.» (Gv 15, 12-13).

 

Non c'è scampo: la misura dell'amore non è l'uomo ("quello che vorresti fosse fatto a te"), ma Dio.

 

È questo che ci apre alla generosità: la scelta di vivere non in base ai nostri limiti, ma in base al nostro amore. Ed è questo che ci rende imprudenti, esagerati a volte. Come Madre Teresa o come i martiri come gli altri che hanno davvero dato tutto e senza narcisismo. Perché in fondo la generosità o è esagerata o non è.

 

 

Paola Springhetti

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