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II. Nel Getsemani

Seconda Parte. «Andiamo, ecco colui che mi tradisce è vicino» (Matteo 26.46). L'agonia si chiude col bacio di Giuda.


II. Nel Getsemani

da L'autore

del 01 gennaio 2002

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«Questo parlare è duro: chi lo può ascoltare?». (Giovanni 5,2.60)

Ogni parola del vangelo è dura. Chi se ne meraviglia, non s'è mai provato ad attuarne una sola. Gli è bastato leggerla scritta e l'ha ripetuta, senza vedere se passava, e come passava, attraverso il suo cuore.

C'è una «durezza» disumana: c'è una «durezza» che fa uomini.

Il mondo conosce la prima: Cristo ci offre la seconda.

Verso il mondo quasi nessuno si ribella: verso Cristo pare un dovere la rivolta.

E chi non gli si mette contro apertamente, fa peggio: diminuisce la parola. - Diminutae sunt veritates a filiis hominum.

Lo sforzo d'assottigliare il vangelo è storia vecchia. Il nostro tempo vi si è posto d'impegno e lo fa radicalmente. In confronto, gli uomini del passato son ingenui falsari. Si fermano ai particolari: fanno questione per un accento o per uno iota. Eresiarchi più che negatori, glossatori imperiti o troppo esperti di cose inutili.

lo... conservo tutti gli accenti, rispetto tutti gli iota... e svuoto il vangelo. E per giustificarmi, dico: - Mi allineo, mi metto al passo, mi conformo al tempo, ascolto le voci...

Perché mi fa paura la durezza della Parola, mi provo a levigarla. Una pietra levigata non è più la «pietra d'angolo». Il Costrutto re non la riconosce per sua, e la rigetta.

«Perché trasgredite il comandamento di Dio per la vostra tradizione?» (Matteo 15,3).

Ma io rinnego il vangelo, per qualche cosa di ancor meno importante della «tradizione dei maggiori». Ogni tradizione ha una sua verità, mentre in certe «novità» è difficile ravvisare anche l'ombra del rispetto alla tradizione.

I «vecchi idoli» rimessi a nuovo sono ancor meno venerabili.

Gesù mi dice: «Vuoi andartene anche tu?».

Tra il rimanere senza fedeltà e l'andarsene con sincerità, è

più dignitoso l'andare. La chiesa ne guadagna. Tra un «senza Dio» e un «idolatra» non so chi sia più lontano dal Regno.

Le anime deserte sono più visibili delle ingombre.

II

«Poiché neppure i suoi parenti credevano in lui». (Giovanni 7,5).

Nel racconto di san Giovanni la frase è senza rilievo, come ogni vera e grande agonia.

Il fatto non ci sorprende dopo le parole dell'inizio dello stesso vangelo.

«Egli ha dato il diritto di diventare figliuoli di Dio a coloro che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà d'uomo...».

Il sangue non conta nulla.

La volontà della carne non conta nulla.

La volontà dell'uomo non conta nulla.

La fede soltanto conta per la «nuova nascita».

Lo dice Uno che non mente e che soffre fino all'agonia l'incredulità dei suoi.

Chi ci è vicino lo vorremmo con noi, nella fede.

«Va' in Giudea, maniféstati».

La vanità dei parenti vince l'affetto: il desiderio di star bene uccide lo spirito.

Tra tante «manifestazioni» di grandezza, l'umiltà del Cristo par che offuschi i suoi, che continuano a ripetergli: «Palésati al mondo... Niuno fa cosa alcuna nel segreto quando cerca d'essere riconosciuto pubblicamente» (Giovanni 7,4).

La pretesa dei «parenti» non è del tutto sbagliata. Chi non ha fede, ha il dovere di sollecitare, spingere, compromettere Cristo tra le «glorie» degli uomini.

I segni del riconoscimento, eccoli:

Una corona d'oro, in luogo della corona di spine.

Uno scettro d'oro, in luogo della canna.

Una porpora a strascico, in luogo dello straccio rosso del Pretorio.

Eppure, i soldati romani, vestendolo a quel modo, ebbero l'intuizione dei voleri divini e ne crearono il simbolo sconcertante. La regalità di Cristo è inconfondibile.

lo, che capisco meno degli uomini della coorte, vorrei spingerlo a provvedersi dei titoli che servono per la mia «gloria» .

Poiché immagino che se lui è ben trattato quaggiù, se si porta bene, o alla sua destra o alla sua sinistra, un posto ci sarà anche per me.

«Chi parla di suo, cerca la propria gloria: ma chi cerca la gloria di colui che l'ha mandato, egli è verace e non v'è ingiustizia in lui» (Giovanni 7,18).

La parola è dura.

Se non cerco «la gloria di colui che mi ha mandato» non sono né verace, né giusto.

III

«Non siete capaci di vigilar meco un'ora sola?". (Matteo 26,40)

Non chiede molto l'Agonizzante: un'ora sola di vigilanza con lui.

Non pretende che lo difendano.

«Riponi la tua spada, perché tutti quelli che prendon la spada periscono di spada. Credi tu forse ch'io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in quest'istante più di dodici legioni d'angeli?» (Matteo 26,52-53).

Chi difende la religione coi mezzi degli uomini, la diminuisce.

C'è ancora qualcuno che cerca di piegare la chiesa con le minacce di Pilato.

«Non mi parli? Non sai che ho potestà di liberarti e potestà di crocifiggerti?».

La chiesa gli può rispondere imperturbata: «Tu non avresti potestà alcuna contro di me, se ciò non ti fosse stato dato dall'alto» (Giovanni 19,11).

Anche Pilato entra in un disegno divino. Chi perseguita il Cristo, chi ne ordina la crocifissione è un subordinato. Fa del male, tanto male; ma la sua non è l'ultima parola. È contro, ma lavora per lui; nella sua ribellione lo serve.

Anche il no dell'uomo - pover'uomo! - nell'osanna della creazione, diviene un consenso.

I re della terra trionfano soggiogando: Cristo, liberando.

* * *

Se non ha bisogno di spade, perché mi rimprovera di non aver vigilato?

Il Vigilante non ha bisogno del mio vigilare. Chi «è andato più innanzi e si è gettato con la faccia a terra» non ha più oscurità terrena.

La tentazione è per me. Se non vigilo sulla divina Agonia che attraversa e porta i secoli: se non capisco «ch'egli deve soffrire per entrare nella gloria», il tentatore mi ghermisce.

«O insensati e duri di cuore a credere... ».

Chi vigila, ha nello sguardo le aurore che si aprono su quest'ora di tenebra.

Chi vigila, vede nell'Agonizzante la gloria del Risorto.

Chi vigila porta nel cuore anche l'alleluia di questa pasqua.

 

Per la tua ineffabile agonia...

«Ed essendo in agonia, egli pregava più intensamente: ed il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadeano in terra». (Luca 22,14)

Mi metto in ginocchio e guardo con gli occhi di Pietro, di Giacomo, di Giovanni, «gravati da tristezza» l'agonia di Gesù.

Io cerco, Signore, l'ineffabile della tua agonia.

* * *

Mi si dice: nessuno ebbe un'agonia come lui. «C'è forse un dolore simile al mio?». Ne sono certo: però, quando sono straziato dal male, grido, bestemmiando: neppur lui ha sofferto così!

Una bestemmia. L'ho detta: forse la dirò ancora, perché il soffrire è duro e l'uomo sotto «il frantoio» non sa quel che si dice.

«Padre, perdona loro: essi non sanno... ».

Mi si dice: «Egli, l'Innocente, vedi come lo trattano!». Allora argomento col buon ladrone: «Per noi è cosa giusta perché riceviamo la pena condegna dei nostri fatti: ma questi non ha operato nulla di male» (Luca 23,40).

Eppure, mi fu anche detto, e mi pare una gran cosa, che quando uno è tranquillo nella propria coscienza lo stesso soffrire perde molto della sua acerbità.

L'ineffabile della tua agonia, Signore, è ancora più in alto.

* * *

Quaggiù ogni vita è un'agonia: l'agonia è il retaggio di ognuno.

Tutto è conquista, tutto domanda sforzo e dolore: dall'aria al pane, dal sapere alla bontà.

La vita dev'essere una gran cosa se bisogna pagarla così. Ma questo, o Signore, non è la tua agonia!

* * *

Se uno vuole più di quanto gli spetta, nell'illusione di trovare la felicità: se agogna i primi posti, deve naturalmente lottare. Incidendo sui diritti altrui, è naturale che gli altri gli si oppongano. Tale agonia non manca di una certa grandezza. La storia lo documenta perfino in modo esagerato. Così si lodasse la virtù!

Ma l'agonia dell'orgoglio e della concupiscenza, non è la tua agonia, Signore! Tu non soffri per avere o per portar via: tu muori per guadagnarti il diritto di dare, d'amare l'inamabile.

Rivedo certe mie esperienze, se voglio capire qualche cosa.

Quand'è che più veramente soffrii? Allor che vidi perduto un guadagno o rintuzzata una mia ambizione? No; quando nessuno ha badato al mio amore che amava d'amare.

Chi accetta la vita come urto d'egoismi non può sottrarsi alla lotta. L'agonia in tal caso è legge; ci ha un suo gusto.

Chi invece la sente come devozione è portato a credere la logica degli uomini tende a sopravvivere anche fuori del mondo degli uomini - che gli altri lo lasceranno fare, accogliendo ne il dono con lieto e grato volto.

Invece è più facile fare accettare il male che il bene. Ecco lo scandalo: lo scandalo dell'amore.

L'Amore non è amato.

L'Amore non è capito.

L'Amore è calpestato.

«Egli è venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto».

«La Luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato le tenebre più che la Luce».

«Colui col quale ho spezzato il pane, ha levato il calcagno contro di me».

Non c'è tentazione più grande di questa. Chi può uscirne col cuore aperto? Vidi anime nobilissime irrigidirsi. Quante agonie risolte tragicamente! Quante mani chiuse col seme già pronto per esser gettato!

La terra fredda fa paura. Eppure, se il grano non marcisce...

Aver fede quanto un granello di senape forse vuol dire «lasciarsi morire». Ma la fede non esclude lo strazio degli occhi che vedono l'amarezza del calice. «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale... E si gettò con la faccia a terra pregando e dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Matteo 26,38-39).

Adesso mi par di comprendere qualche cosa.

Il dare è cosa difficile poiché non si sa dove porre il proprio cuore.

Se io rinuncio a star bene per voler bene... son proprio coloro che non mi capiscono o mi capiscono male, che mi giudicano un ambizioso, un arruffapopolo... Poi m'insultano, mi denunciano, mi rinnegano, mi condannano, mi crocifiggono. ..

Vorrei difendermi.

- È il mio amore, capite. Non colpitemi la faccia. Ecco l'ora delle tenebre: lo scandalo dell'amore.

Gesù è passato nel fondo di questa valle.

Il Getsemani o Frantoio è l'ora cruciale d'un'agonia per nulla paragonabile a quella del deserto.

Il deserto fu la tentazione della mente e dell'orientamento: il Getsemani gli prende il cuore.

Nel calice presentatogli c'è dentro: il tuo amore non sarà ricambiato; il tuo amore non sarà capito; il tuo amore sarà rifiutato; il tuo amore sarà crocifisso.

- Da chi?

- Da me: da tutti.

Dai discepoli che s'addormentano, mentre tu sudi sangue: da colui che poco fa metteva la sua mano nel tuo piatto; da colui che giurava d'esser pronto a morire per te: da colui che ha riposato sul tuo cuore... Ognun ti fugge. Ti lascian solo come un lebbroso... Hai la lebbra dell'amore!

- Da me: da tutti.

Son secoli e secoli che gridiamo contro l'agonizzante:

Non vogliamo che egli regni su di noi.

Schiavi di tutte le tirannie degli uomini piuttosto che «amici dello Sposo».

È troppo.

Per ben tre volte anche il Figlio dell'Uomo domanda che il calice passi.

L'umano ha le sue ripugnanze.

«Poi Gesù si alza, viene di nuovo ai discepoli e dice loro: Dormite pure, ormai, e riposatevi! Ecco, l'ora è giunta» (Matte o 26,45). Quasi dicesse: non vi chiedo più nulla. Il mio amore ormai è di là di ogni visuale umana. Non pretendo più nulla da nessuno. Posso lasciarmi prendere da tutte le cattiverie degli uomini, senza che il mio amore s'offuschi.

«Levatevi, andiamo».

Va ad offrirsi, ad immolarsi per noi. «Vos fugam capietis, et ego vadam immolari pro vobis».

Si è offerto perché ha voluto.

Si è dato a noi fin sulla croce, perché ha voluto.

Chi non riesce a superare il momento crudele della tentazione della carità, non sarà mai un cristiano sereno, un donato lieto, un salvatore. Si lamenterà sempre, si lamenterà di tutto: patteggerà con tutti, camminerà come un condannato, invocherà fuoco dal cielo...

* * *

Orto degli Ulivi... follia della croce, follia dell'amore. Non vedete che Erode lo veste da pazzo? «Quella volpe» è un furbo e ci vede.

In questo mondo troppo saggio, che non vuol spendere l'amore senza un tornaconto, non c'è posto per l'Uomo del Getsemani.

- Toglilo via!

I violenti dell'amore sono un pericolo sociale, l'unico pericolo subito avvertito.

Rare volte gli uomini sono riusciti a colpire gli operatori d'iniquità: hanno però sempre saputo colpire con pugno duro i veri loro benefattori. Le catene, l'esilio, i roghi, i patiboli sono reliquie della carità. La croce li riassume tutti: dà luce e santità a tutti.

* * *

«Andiamo, ecco colui che mi tradisce è vicino» (Matteo 26.46).

L'agonia si chiude col bacio di Giuda.

- Ave, Maestro... e gli dette un lungo bacio.

- Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell'Uomo?

La prova suprema è vinta: l'ora delle tenebre cede alla nuova giornata, la quale non avrà tramonto, poiché il Figlio dell'Uomo ha saputo sopportare il bacio del mio tradimento senza negarmi la sua amicizia.

Signore, per l'ineffabile tua agonia posso credere all'amore.

Mazzolari Primo

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