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I giovani nella prima metà del Novecento

E' solo nel corso del Novecento che i giovani iniziano a diventare una realtà dotata di un'ampia autonomia e specificità sul piano culturale, sociale ed economico.


I giovani nella prima metà del Novecento

Il concetto di giovinezza          

Che cosa si deve intendere con il concetto di “giovani” e di “generazioni giovanili”? Si potrebbe, ad esempio, concordare che i giovani sono persone di età non avanzata e tuttavia bisogna definire quale è il suo confine. Da quale età e fino a quale età si è (o si può essere considerati) giovani? Dai 14 ai 19 anni, oppure dai 16 ai 25 anni o altro ancora? Può essere abbastanza facile definire quando la condizione giovanile “inizia”, ma non quando “termina”.

Un aiuto per stabilire il punto di partenza della giovinezza ci viene dal riferimento agli aspetti biologici e psicologici connessi alla crescita di ciascun essere umano, che passa per l’appunto attraverso la fase iniziale dell’infanzia (dalla nascita fino a 3 anni), della fanciullezza o puerizia (dai 3 agli 8 anni), della preadolescenza (dai 9 anni fino alla maturazione sessuale); meno definibile - se non in forma convenzionale - è invece il confine tra l’adolescenza (dai 14 ai 16 anni?) e la giovinezza in senso proprio (oltre i 16 anni?), un confine che può essere occultato dall’uso del termine inglese teenager, che in senso letterale include i ragazzi e le ragazze dai 13 (thirteen) ai 19 anni (nineteen). Vi sono state (e tuttora esistono) società nelle quali il passaggio dalla preadolescenza alla condizione adulta risulta quasi immediato; nelle società industriali avanzate, come quelle in cui viviamo, si presenta però da tempo un problema inverso, legato al prolungamento della condizione giovanile fino alla soglia dei trent’anni e talora oltre, tanto che le attuali ricerche sui “giovani” includono soggetti compresi tra i 15-29-34 anni.

Un modo tutt’affatto diverso per definire chi è giovane e chi non lo è deriva da un approccio più speculativo ed esistenziale: la giovinezza può in effetti essere intesa come una condizione dell’animo che trascende i confini dell’età; si può essere anagraficamente anziani e tuttavia rimanere “giovani di spirito”, vale a dire creativi, indomiti, innovativi. Basti pensare a quanto è stato scritto sul papa Karol Wojtyla allorché da ottantenne ha incontrato i giovani di tutto il mondo in occasione del Giubileo del 2000. Molto felicemente qualcuno ha detto che “la giovinezza è quel tempo della vita in cui le esigenze fondamentali non hanno ancora avuto il tempo di rassegnarsi”. Che cosa è la gioventù

Dal punto di vista empirico, la giovinezza è una fase della vita personale e collettiva dai confini mobili, cambia in rapporto al contesto di riferimento, va definita in relazione a qualcosa d’altro: la durata media della vita, la condizione adulta, l’organizzazione economica, le culture e gli stili di vita presenti in una determinata società.

In quanto individui appartenenti a determinate fasce di età, i giovani sono ovviamente sempre esistiti ed hanno sempre rappresentato una fondamentale risorsa per la sopravvivenza di ogni società umana; tuttavia, per secoli e secoli, il passaggio dalla vita infantile-adolescenziale alla vita adulta è stato assai brusco e rapido. Si diventava, per così dire, adulti molto in fretta, specialmente se si era di sesso femminile. Le ragazze si sposavano in età precoce ed altrettanto precocemente diventavano madri e nonne. I ragazzi, dal canto loro, venivano avviati rapidamente a tutti quei lavori extradomestici (caccia, pesca, coltivazione) che richiedevano forza fisica ed erano impegnati nelle attività belliche, nell’ambito dei clan, delle tribù, degli stati-nazione di cui facevano parte. Quella che oggi chiamiamo condizione giovanile aveva in sintesi una durata assai breve nella vita di ogni singolo individuo, costretto ad assumersi responsabilità lavorative e familiari non appena le forze glielo consentivano e talora anche prima, a giudicare dalla cronica piaga del lavoro minorile che ha accompagnato (e tuttora accompagna) la storia dei paesi europei ed extraeuropei.

È solo nel corso del Novecento che i giovani iniziano a diventare una realtà dotata di un’ampia autonomia e specificità sul piano culturale, sociale ed economico, specialmente dopo la seconda guerra mondiale in concomitanza con l’avvento della scolarizzazione di massa.
 

I giovani nella prima metà del Novecento

Lo sviluppo delle bande          

Un fenomeno giovanile tipico dei grossi centri urbani fin dall'inizio del Novecento è stato il formarsi di "bande" di quartiere, appartenenti agli strati più poveri; fra queste ricordiamo le street gangs inglesi e le Wilde Cliquen, "bande selvagge" berlinesi - nel periodo della grande depressione - le quali si opponevano ai gruppi giovanili politicizzati (sia nazionalsocialisti sia del partito cristiano sia le organizzazioni operaie). In generale l'identità delle bande è data dall'avere un nemico, che appare tale o perché abita nel quartiere vicino, o perché appartiene ad un'altra etnia o perché è un possibile concorrente nella ricerca di lavoro: nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale a Manchester, per esempio, la presenza di ebrei russi e di polacchi rendeva lo scontro più virulento. Per queste bande il momento dello scontro fisico è fondamentale per dar prova di forza, coraggio, virilità ed acquisire la stima degli altri e fare carriera nel gruppo (da gregario ad aiutante del capo, a capo). Il momento della lotta, dello scontro è fondamentale per queste esperienze di gruppo che sottolineano fortemente la forza come segno della virilità e quindi sono dei seguaci accaniti degli sport che la esaltano: la boxe e la lotta (per essere ammessi in un gruppo bisogna proprio dare prova delle proprie qualità fisiche: forza, coraggio, destrezza, ecc.)

La scelta del nome è momento importante del processo di identificazione del gruppo: si pensi, ad esempio, ai nomi delle streets gangs inglesi: "Bengal Tigers", "Black hand Gang", "Redskins", "Cowboys", "Hell Hounds", "Bell and Pistol Club". Anche un certo tipo di abbigliamento, l'uso di un proprio linguaggio, di una propria bandiera o, addirittura, di una divisa sono elementi per rafforzare l'identità del gruppo. Frequente è l'uso di: tatuaggi che segnano in modo indelebile l'appartenenza ad un certo gruppo e sono considerati un tipico attributo virile perché l'incisione è considerata una prova di coraggio; orecchini, che sono segno dell'abbandono della famiglia, in quanto ricordano la vita indipendente degli zingari e dei corsari.

Nella banda vige un ordinamento gerarchico, un preciso codice di comportamento e d'onore. Le bande di strada sono fortemente caratterizzate da un machismo [comportamento teso a ostentare la propria virilità, la propria forza e la propria capacità di dominio nei confronti in particolare delle donne]: le ragazze in genere non hanno un ruolo nella banda se non in quanto oggetti sessuali. Associazionismo giovanile

Si sviluppa in ambito borghese ai primi del Novecento: le associazioni giovanili laiche sono rigorosamente riservate ai maschi, legate al mondo degli studenti e con specifiche finalità (musicali, sportive, ecc), molte volte caratterizzate politicamente, e non di rado promosse da adulti. Un posto specifico spetta all'associazionismo religioso, che vanta una vasta partecipazione femminile. In diversi Paesi europei le associazioni giovanili ricevono appositi finanziamenti statali.          

Emblematico il caso della Germania dove l'assistenza statale alla gioventù sovvenzionò in particolare associazioni tese a incrementare la forza militare: con la scuola dell'obbligo e la leva militare obbligatoria lo Stato aveva due importanti strumenti di educazione della gioventù maschile a cui si aggiungeva la funzione svolta da certe associazioni in cui insegnanti e ufficiali avevano un ruolo formativo fondamentale. Contro l'influenza dello Stato e per garantire un'esperienza autonoma si diffuse una libera associazione di giovani la Jugendbewegung diretta da capi scelti tra i giovani stessi: essa si diffuse soprattutto fra gli studenti della scuola secondaria superiore ("i ginnasiali"). Fra le sue molteplici attività c'erano le escursioni con relativi accampamenti o rifugi vissuti come luoghi autonomi ed alternativi all'ambito familiare. In parallelo nasce a Berlino l'"Associazione degli apprendisti e dei giovani operai" (Verein der Lehrlinge und Jugendlichen Arbeiter) finalizzata alla solidarietà per fini politici e per la tutela o la ricerca del posto di lavoro. Il tempo libero andava prima conquistato e poi si sarebbe posto il problema di gestirlo. Questa associazione ammette fin dai suoi inizi (1904) le ragazze.          

Il principio dell'autonomia caratterizza anche i boy scouts fondati nel 1908 dal generale Baden-Powell. Dall'Inghilterra si diffondono con un ramo maschile e poi femminile.

Ferrante Mariella

http://www.culturacattolica.it

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