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Guardare a Cristo nell'anno della fede

La dichiarazione di “ateismo scientifico” è una pretesa insensata, contraddittoria. Per sua natura la questione di Dio non può venir logicamente costretta nei confini della ricerca scientifica, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile.


Guardare a Cristo nell’anno della fede

L’agnosticismo è una via d’uscita?

La struttura “assiologica” della fede naturale apre verso la fede religiosa. Immediatamente c’è una obiezione grave e importante. Può essere vero che nella vita sociale dell’uomo sia impossibile che ognuno possa “sapere” tutto l’utile e necessario alla vita e che il nostro agire si fondi quindi sulla “fede” nel “sapere” di altri. Ma con questo noi rimaniamo nel campo del sapere umano che in linea di principio tutti possono acquisire.

Invece, con la fede nella Rivelazione, noi superiamo i confini del sapere propriamente umano. Anche se l’apertura originaria al Donatore divino di ogni essere dono che viene all’esistenza cioè l’esistenza dell’Essere tutto in atto fondamento di tutto ciò che viene all’esistenza, chiamato Dio, può forse diventare un “sapere”, la rivelazione di Dio che si coinvolge con ogni essere umano, che assume un volto umano, che ci ama sino alla fine ogni singolo e l’umanità nel suo insieme, che non costringe ma è inquieto in attesa di una libera risposta d’amore, che non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte, con il suo perdono ci rialziamo, che ci ama non perché siamo buoni ma per farci diventare suoi amici, per salvarci, sta al di là di quanto è possibile al nostro sapere. Aristotele e Platone ritengono inutile la preghiera perché l’Essere Assoluto, Onnipotente non si interessa di quello che avviene nella storia. Qui non esiste nessun riferimento al sapere specializzato di alcuni a cui potersi affidare, perché conoscono immediatamente le cose in base alla propria ricerca aperta all’esigenza del Creatore di ciò che viene all’esistenza,ma non al sapere chi è e quale la relazione con noi.

Questa specie di fede è conciliabile con la moderna coscienza critica? Non sarebbe più conforme all’uomo del nostro tempo astenersi dal giudizio su queste materie e aspettare il momento in cui la scienza avrà in mano risposte definitive anche per questo genere di questioni?

L’atteggiamento che si esprime in simili domande corrisponde indubbiamente alla coscienza media di un universitario oggi. L’onestà del pensiero e l’umiltà davanti all’ignoto sembrano raccomandare l’agnosticismo, mentre l’ateismo dichiarato pretende nuovamente di sapere troppo e porta in sé chiaramente già un elemento dogmatico. Nessuno può affermare di “sapere” in senso proprio, logico, dimostrativo che Dio non esiste. Si può lavorare con l’ipotesi che Dio non esista e cercare a partire di qui di spiegarsi l’universo, la storia. La moderna scienza della natura sta fondamentalmente sotto questo presupposto. Dove il metodo rispetta i suoi limiti, è però chiaro che nel caso non può venir superato il campo dell’ipotetico e che perfino una spiegazione ateistica in apparenza coerente dell’universo non conduce a una certezza scientifica della non esistenza di Dio. Nessuno può afferrare sperimentalmente la totalità dell’Essere, ragione, fondamento per tutto quello che è venuto e viene all’esistenza e le sue condizioni. In questo punto noi raggiungiamo semplicemente i limiti della “condizione umana”, della possibilità conoscitiva umana in quanto tale pur aperta alla realtà in tutti gli ambiti o verità, e ciò non solo in rapporto alle sue condizioni presenti, ma essenzialmente, insuperabilmente.

Per sua natura la questione di Dio non può venir logicamente costretta nei confini della ricerca scientifica, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile. In questo senso la dichiarazione di “ateismo scientifico” è una pretesa insensata, contraddittoria, ieri come oggi e domani. Tanto più però si impone il problema di sapere se la questione di Dio non superi i limiti delle possibilità umane e in questo senso l’agnosticismo sembra sia l’unico giusto atteggiamento dell’uomo: realistico, leale, anzi “pio” nel senso più profondo della parola: riconoscimento di dove finiscono la nostra presa e il nostro campo visivo, sperimentabile, rispetto di ciò che non ci è accessibile. La nuova religiosità del pensiero non dovrebbe forse consistere nel lasciare l’imperscrutabile e accontentarsi di ciò che è dato a noi? Sul piano della prassi conseguente la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio né negato né affermato rimane escluso dalla cultura secolarizzata e dalla vita pubblica, estraneo e superfluo. Di conseguenzaviene una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. L’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso.

Di fronte a questa forma agnostica di umiltà e di religiosità, si impone subito l’obiezione: come spiegare la sete di infinito con le domande fonda,mentali sul senso e sulla direzione della vita che appartengono alla stessa natura di ogni uomo, anzi alla sua essenza. Il suo limite può essere unicamente l’illimitato o realtà in tutti gli ambiti cioè la verità che lo rende libero e i confini della scienza sperimentabile, calcolabile non possono venire per principio scambiati con i confini della nostra esistenza. Questo sarebbe un’incomprensione tanto della scienza come dell’uomo. Là dove la scienza innalza la pretesa di esaurire i limiti della conoscenza umana sconfinerebbe nel non scientifico. Dovremmo esaminare pazientemente l’ipotesi dell’agnosticismo nella sua portata per verificare se essa possa avere consistenza non solo nella scienza, ma nella vita umana. La domanda giustamente posta all’agnosticismo suona così: Il suo proposito è veramente realizzabile? Come uomini possiamo semplicemente lasciar da parte la domanda su Dio, cioè la questione della nostra origine, del nostro destino finale, chi ci libera dal male,chi ci offre un al di là anche del corpo e del cosmo? Possiamo vivere in modo unicamente ipotetico “come se Dio non esistesse”, anche se forse esiste, capovolgendo il punto di partenza della la cultura moderna cioè la centralità di ogni uomo e della sua libertà, della sua responsabilità, escludendo ogni principio morale che sia valido per se stesso? La questione di Dio non è per l’uomo un problema teoretico, come ad esempio la domanda se nel sistema periodico degli elementi ci possono essere altri elementi ignoti e così via. Al contrario, la domanda di Dio è una questione eminentemente pratica, che ha conseguenze in tutti i campi della nostra vita.

Se io dunque in teoria faccio valere l’agnosticismo, nella pratica devo decidermi tra due possibilità: - vivere come se Dio non ci fosse riconducendo l’etica entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo; - oppure vivere come se Dio ci fosse e come se egli fosse la realtà normativa per la mia vita, con principi morali validi e vincolanti per se stessi.

Se scelgo la prima, ho adottato una posizione atea e messo a base di tutta la mia vita un’ipotesi che potrebbe anche essere falsa. Se mi decido per la seconda possibilità, rimango anche qui in una fede puramente soggettiva, e viene subito in mente Pascal, la cui battaglia filosofica all’inizio dell’età moderna si muoveva intorno a questa costellazione speculativa. Ma poiché alla fine capì che la questione non si poteva sciogliere di fatto nel puro pensiero, egli raccomandò agli agnostici di osare con la scelta seconda e di vivere come se Dio ci fosse per un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza. Nel corso dell’esperimento e solo in questo sarebbe arrivato alla conclusione di aver scelto giustamente. Comunque sia, la soluzione agnostica a un esame più attento non regge. Come pura teoria sembra molto brillante, ma l’agnosticismo è per sua natura più che una teoria: è in gioco la pratica della vita. E quando si tenta di “praticarlo” nella sua vera portata, esso sfugge come una bolla di sapone; si scioglie, perché non può sfuggire alla scelta che esso vorrebbe evitare perché non può rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della vita. Davanti alla questione di Dio non si dà neutralità per l’uomo. Questi può dire sì o no, e questo inoltre con tutte le conseguenze fin nelle vicende più piccole della vita.

Don Gino Oliosi

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