Esilarante circolare di una preside agli studenti di un liceo romano sul modo di vestire a scuola...
Non è certo una Rottermeier la preside Galloni: donna sagace, questo sì. Sottile come un filo d’erba. Avrà forse ridacchiato stilando la circolare da far pervenire agli alunni del suo liceo, l’Augusto Righi di Roma, sul codice d’abbigliamento consono all’istituzione scuola, la cui “primaria funzione” parole sue “è educare. Educare, nello specifico, all’eleganza.”
“Non siamo mica a scuola di danza classica, prof”, avrà sbuffato qualcuno, sostenuto dal popolo degli Accaldati. Originaria delle più roventi aree di Sorella Africa, questa popolazione percepisce una certa umidità relativa già dagli ultimi di aprile; a maggio è infastidita dalla calura, a giugno “soffoca”: da qui la perdita di strati di vestiario, uno alla volta, come alberi in autunno, ché “Non si può stare”.
Gli Accaldati s’aggrappano al battente della finestra aperta nella speranza che un soffio d’aria li accarezzi, propongono all’assemblea di classe l’acquisto di un ventilatore, indossano, inutile dirlo, canottiere e jeans corti, infradito e occhiali da sole; baratterebbero volentieri con una borsa da mare il loro zaino, ma chissà che esso non contenga per davvero molluschi e conchiglie.
Con nel cuore il solo inno del “Fa caldo”, ciondolano imperlati di sudore per i corridoi, finché non s’imbattono/sbattono nel sarcasmo della preside, sarcasmo di madre che snobba l’abbandono dei calzini sporchi da parte dei figli.
“A Scuola, far vedere le ascelle non è elegante. Dal dottore, magari, sì. A Scuola, mostrare le proprie mutande mentre si cammina per i corridoi non è elegante. Se si dovesse diventare testimonial di qualcuno, magari, sì. A Scuola, un pantalone corto (con eventuali peli sulle gambe, di varia lunghezza, annessi) non è elegante. E non lo è da nessun’altra parte. “
Esilarante l’uso del maiuscolo per restituire all’istruzione la sua dignità, assordante la pacata determinazione del ripetuto “magari sì”, strepitoso il dettare in termini spicci (evitando fini scorciatoie come braccia, biancheria, pelurie) un dress code suggerito dal decoro, spiegando senza giri di parole che siamo ciò che mostriamo, e ciò che mostriamo dev’essere bello, non comodo, non semplice, bello. Per citare la Galloni, elegante.
Quell’eleganza che non è il papillon o il tubino del sabato sera, quell’eleganza che è un modo di essere che si esplica attraverso un modo di fare, è un saper essere opportuni.
Rincaseremo appiccicosi come francobolli, ma torneremo con qualcosa di più importante del dotto nozionismo; ché se imparassimo a memoria i 14.233 versi della Divina Commedia e non avessimo con noi la semplicità, vano sarebbe l’andare a scuola, potrebbe essa richiudersi trascinando con sé le sue mille sagome, come un libro pop-up.
Ha ragione l’Accaldato: la scuola dev’essere corso di danza classica. Insegnarci a tener dritta la schiena, a non curvarla sotto il peso della stanchezza, del caldo, dei libroni; deve insegnarci il garbo e la raffinatezza, non infilarci magliette lunghe con un tragico “ma copriti”, deve farci scegliere e preferire mille volte la bellezza, quella vera, cosicché né ci sembrerà scialba né correremo a casa a spogliarci di una superflua convenzione; affinché la nostra prole non abbia il piercing a dieci anni.
Suderemo, sì, ma la liberazione delle vacanze sarà più intensa, fresca come una secchiata di ghiaccio.
La scioglieranno i saluti (appositamente) “calorosi” della Galloni.
Sabrina Sapienza
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