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Educazione: è davvero un'emergenza?

Dove va l'educazione del nostro tempo? Quali possono essere le bussole capaci di orientare l'azione dei genitori, insegnanti, educatori in una società nella quale si assiste ad una profonda trasformazione dei valori di riferimento?


Educazione: è davvero un’emergenza?

da Quaderni Cannibali

del 19 ottobre 2007

Dove va l’educazione del nostro tempo? Quali possono essere le bussole capaci di orientare l’azione dei genitori, insegnanti, educatori in una società nella quale si assiste ad una profonda  trasformazione dei valori di riferimento? Intorno a questi argomenti si sono raccolti a Torino, a partire da ieri e per tre giorni, intellettuali di varia formazione:

 

Filosofi come Mauro Ceruti e Enrico Berti, storici come Giovanni De Luna, sociologi e economisti come Lorenzo Caselli, Luciano Gallino e Sergio Manghi, filosofi come Costantino Esposito e Massimo Mori, pedagogisti e psicologi come Roberto Sani, Anna Mariani, Guglielmo Malizia, Concepciòn Naval e Gianpiero Quaglino.

 

«Il tema dell’educazione - spiega uno degli organizzatori, Annamaria Poggi, preside della Facoltà - non è infatti materia per pochi specialisti e non coinvolge soltanto genitori e insegnanti, ma intercetta interessi ad ampio spettro dalle profonde e delicate questioni sul senso della vita fino ai problemi dell’inserimento nel mondo del lavoro e dell’autonomia personale. Insomma se si vuole parlare di educazione bisogna avere il coraggio di mettersi tutti in gioco».

 

Il convegno si è aperto ieri mattina nella splendida cornice settecentesca del salone del Mappamondo dell’Acca­demia delle Scienze di Torino con un’ampia riflessione suòla proposta educativa di don Luigi Giussani. Domani e dopodomani sarà la volta di altre due 'icone' dell’educazione contemporanea: Edgar Morin, l’autore del bestseller La testa ben fatta (e ispiratore dei recenti nuovi programmi scolastici del ministro Fioroni) e Alasdair MacIntyre, il filosofo statunitense che ha legato il proprio nome al rilancio della comunità, della tradizione e della narrazione di storie quali veicoli strategici per l’educazione del futuro. Intorno a Giussani hanno discusso ieri Concepciòn Na­val, studiosa spagnola che ha fatto conoscere il volume Il rischio educativo in Spagna, Roberto Sani, Giovanni De Luca, Lorenzo Caselli e Gianpiero Quaglino. Secondo la Naval «spetta agli educatori costruire una cornice all’interno della quale l’alunno possa scoprire a mano a mano le regole di base della socialità che gli consentano di agire da solo, permettendo che gli altri facciano lo stesso e cogliendo il carattere profondamente solidale di quei due processi. È così che 'si fa' la libertà, con l’ausilio di un’educazione che rifugge tanto dalla paura dell’azione quanto dall’ubriacatura dell’autonomia ».

 

Roberto Sani, rettore dell’Università di Macerata, ha approfondito il tema del recupero dell’autorevolezza educativa degli adulti che spesso, ha detto, «non si presentano più come autorità consapevoli del proprio valore». I giovani, invece, hanno bisogno «dell’autorità di adulti che li guidino e li sostengano, che rappresentino dei modelli, che pongano loro degli obiettivi elevati, che stabiliscano dei limiti ma che al tempo stesso li incoraggino a oltrepassarli: se nel momento della definizione e della scoperta di se stessi, i giovani non incontrano nessuna autorità con cui potersi confrontare, il processo educativo fallisce». In parte più critica la lettura dello storico Giovanni De Lu­na. Rispetto alla visione educativa di don Giussani, segnata dalla temperie storica in cui essa si sviluppò e si consolidò (anni ’60-’70), l’era di Internet, del consumismo, della televisione diffusa, secondo De Luna, segnano «un drastico mutamento nelle gerarchie degli schemi percettivi degli studenti» nonché una vera e propria trasforma­zione della «funzione sociale della scuola» sempre meno incisiva nella vita giovanile.

 

A parere ancora della Naval, «introdurre alla libertà e viverla in modo critico e costruttivo è la vera sfida del nostro tempo che Giussani ha saputo tracciare nella sua esperienza educativa».

Marco Bonatti

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