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Beato Karl Leisner, sacerdote e martire

Karl Leisner fu ordinato sacerdote nel lager di Dachau da un altro prigioniero, il vescovo di Clermont-Ferrand, Gabriel Piguet. Il campo era stato appena liberato dagli americani. Ma la gioia durò pochi mesi. Minato nel fisico, morì trentenne il 12 agosto del 1945.


Beato Karl Leisner, sacerdote e martire

Il cielo è basso in quel 17 dicembre 1944. Solo il fumo acre viene a bucare il triste biancore del cielo di Dachau e a ricordare agli uomini l’inesorabile opera di morte che va compiendosi, giorno dopo giorno. Al Block 26, nella cappella della baracca dei sacerdoti, è appena entrata la matricola 22356. Volto emaciato, tosse cavernosa, riesce a malapena a camminare.

Karl Leisner è all’ultimo stadio della tubercolosi.

Quest’uomo, divorato dalla malattia e dalle privazioni, è nato ventinove anni prima in Renania, eppure è già senza età. Da parecchi giorni il moribondo non lascia più il sinistro Revier del campo di Dachau, anticamera della morte, dove vengono ammassati ammalati e moribondi e da cui alcuni sacerdoti tedeschi sono venuti a sottrarlo in gran segreto. Perché oggi, dopo cinque anni di desiderio mai sopito, Karl Leisner, ordinato diacono da monsignor von Galen, arcivescovo di Münster, nel marzo 1939, e poi arrestato dalla Gestapo, sta per essere ordinato sacerdote da monsignor Piguet, vescovo di Clermont-Ferrand, anch’egli deportato.
I prigionieri osservano con le lacrime agli occhi il lento ingresso del diacono nella cappella del campo. Impossibile dimenticare la sorte che i nazisti riservano alla debolezza estrema. I sacerdoti della diocesi di Münster, i seminaristi e i numerosi sacerdoti di diverse nazioni che attorniano monsignor Piguet per la cerimonia guardano preoccupati la fragile figura del giovane diacono tedesco. In quel luogo, attanagliati dall’emozione, sorge, imperiosa, l’evidenza: sotto l’abito del giovane diacono, quel terribile vestito da deportato, su cui è cucita grossolanamente una X, è un altro quello che sta andando verso di loro, è il Cristo, il corpo spezzato dalla Passione, quello stesso cui tutti hanno dato la propria vita. Sul volto di Karl Leisner, come illuminato dall’interno, è la loro libertà che prorompe alla luce, quella inestirpabile libertà interiore, esperita da tanti deportati nei campi, e di cui gli occupanti del Block 26 sanno, in quanto sacerdoti, che essa non è mai così grande come quando è associata al Cristo in croce.
Nessun laico assiste a questa cerimonia dalla strana solennità. Solo i religiosi hanno il diritto di varcare la soglia della cappella di Dachau per la messa quotidiana, anche se Edmond Michelet e alcuni altri laici riescono a entrarvi senza farsi notare. Il fatto di tollerare la cappella costituisce una sorprendente eccezione alla logica inumana del campo. Non per questo le difficoltà materiali sono ridotte. Per celebrare l’Eucarestia si trova sempre un po’ di pane, ma, per il vino, si è ridotti a far macerare dell’uva passa, a volte contenuta nei rari pacchi che la Croce Rossa riesce a far arrivare al campo. Questo 17 dicembre 1944, quarta domenica di Avvento, tocca a monsignor Piguet, unico vescovo del campo, celebrare l’Eucarestia. Non solo perché si tratta della messa solenne e perché, dal momento del suo arrivo a Dachau, tre mesi prima, i sacerdoti tedeschi, in maggioranza al Block 26, gli lasciano con grande naturalezza l’onore di celebrarla, ma anche perché, grazie alla delega concessagli da monsignor Faulhaber, cardinale arcivescovo di Monaco, tra qualche istante monsignor Piguet darà un nuovo sacerdote alla Chiesa.
Il vescovo di Clermont-Ferrand osserva sconvolto il giovane. Quando il reverendo padre De Conninck, un Gesuita, è venuto a trovarlo per chiedergli se avrebbe accettato di ordinare Karl Leisner, monsignor Piguet ha risposto: «Un vescovo non può sottrarsi quando si tratta di amministrare il sacerdozio e io non esiterò un istante a compiere questa ordinazione. Tuttavia vi sono condizioni da rispettare che lei conosce quanto me: l’autorizzazione del vescovo da cui dipende il seminarista, l’autorizzazione dell’arcivescovo di Monaco, nella cui diocesi avverrà l’ordinazione». Che impegno, che tesori d’astuzia per consentire che, come ebbe a dire monsignor Piguet, prenda corpo questo «segno di vittoria del sacerdozio sul nazismo»! Qualche settimana dopo, monsignor Piguet leggeva la lettera scritta da una sorella di Karl Leisner, una missiva ordinaria improvvisamente interrotta da un cambiamento di scrittura, che proteggeva come uno scrigno queste parole preziose: «Autorizzo le cerimonie richieste a due condizioni: che la procedura sia valida e che rimanga una prova materiale certa». A mo’ di firma soltanto un nome: Clemens August. Monsignor von Galen, le cui omelie del 1941 hanno scatenato la collera dei nazisti, ha preso le sue precauzioni.
Tutti hanno sfidato il pericolo per far sì che la vittoria della luce sulle tenebre fosse la più splendente possibile. Ora il vescovo di Clermont-Ferrand percorre attentamente con lo sguardo tutti gli elementi della liturgia portati all’appuntamento: il pontificale, il Sacro Crisma e persino le tunicelle e i guanti: «Niente fu trascurato neppure dei minimi riti previsti» scriverà in seguito. «Mi sembrava di essere nella mia cattedrale».
La cerimonia ha inizio. Karl Leisner ha chiuso gli occhi, sta pregando con tutto il cuore. «Cristo, ardo di passione per Te» scriveva nel suo diario di liceale. Avrebbe dovuto essere ordinato sacerdote nel 1939, ma l’orrore nazista glielo aveva impedito. Oggi, dopo cinque anni di interminabile attesa, dopo l’arresto, la deportazione, la malattia, malgrado la sofferenza, malgrado le privazioni, malgrado le stimmate della tubercolosi, tutto il suo essere non è altro che un immenso ringraziamento rivolto al Cristo che sta per venire a lui, in questo luogo desolato in cui lo scherniscono continuamente.
«È stato giudicato degno?...». Monsignor Piguet pone la solenne domanda che ogni vescovo deve rivolgere a ogni ordinazione. In qualsiasi altra circostanza questa domanda di rito, mediante la quale il vescovo si assicura che il futuro sacerdote sia in grado di assolvere alla missione, è già impressionante per la gravità. Ma nella gelida baracca, in quel campo di Dachau in cui sembra essersi raccolta tutta la sofferenza del mondo, queste parole, all’improvviso, assumono tutto il loro significato. In quel giorno Karl Leisner, vacillante tra gli altri deportati che anch’essi barcollano sotto la morsa del freddo, delle privazioni, dell’umiliazione, non potrebbe essere più degno di diventare la figura del Salvatore che, pur sotto gli sputi, ha rappresentato la dignità stessa. Sminuito, ferito, in comunicazione con il dramma della Passione attraverso la propria carne, Karl non è forse degno più che mai di consacrare il pane e il vino, in memoria di Lui?
Ed ecco che ora viene il tempo della promessa. Come tutti i vescovi del mondo, monsignor Piguet lo sa: l’obbedienza che il futuro sacerdote promette a uno dei successori degli apostoli è una promessa al Cristo stesso per suo tramite. Gli occhi del vescovo si annebbiano: il Cristo! L’ebreo per eccellenza, colui che è venuto quando i tempi furono compiuti, per realizzare in prima persona la promessa fatta al suo popolo – quel popolo oggi calpestato, disprezzato, martirizzato, vilipeso dalla terrificante bestemmia nazista… Sono l’uno di fronte all’altro, il giovane e colui che accetta come padre, e i loro sguardi si incrociano intensamente. «Lo prometto». La promessa da uomo libero in catene: quale rivincita dell’amore umiliato, quale vittoria del sacerdozio!
«Mio Dio! Donare questo a me…». Ora Karl Leisner è steso in tutta la sua lunghezza sul pavimento della baracca, la faccia a terra, mentre risuona la litania dei santi. Umiliarsi… Questo volontario umiliarsi, il Cristo vi si è sottoposto per primo e solo Dio ha il diritto di chiederlo agli uomini che ama. Dio, che solleva colui che si umilia. Karl Leisner è raggiante, mentre viene aiutato ad alzarsi. Uno a uno, tutti i sacerdoti presenti seguono il vescovo nell’imposizione delle mani. Ormai sul volto del giovane prete coloro che lo circondano non leggono più la sofferenza né l’angoscia della morte. Il volto di Karl Leisner è trasfigurato, attorno a lui regna un silenzio colmo di fervore. Tutti sanno che il Cristo, il Salvatore dell’umanità, è presente nel cuore stesso dell’orrore, nel cuore stesso di Dachau.
Quel 17 dicembre 1944, mentre la cerimonia dell’ordinazione sta finendo, il campo di Dachau vive ancora l’agonia. Quando i sacerdoti escono dalla baracca nel freddo dell’inverno, a qualche decina di metri da loro vedono il camino del crematorio che sputa giorno e notte il suo fumo inesorabile. Annientamento dell’uomo, negazione diabolica dell’immagine di Dio in ogni persona umana… Sotto l’oltraggio ricevuto ancora una volta in pieno viso, Karl si raddrizza impercettibilmente. Ora è un sacerdote, davanti a Dio e davanti agli uomini. Rappresenta il Cristo. E il Cristo, Figlio di Dio, ha voluto essere figlio di Israele. Con il cuore stretto ma colto da intima fierezza, il giovane sa che, dedicandosi al sacerdozio, cammina sulle tracce del popolo di Israele, il popolo dell’Alleanza, istituito da Dio, e per l’eternità «sacerdote, profeta e re».
Troppo debole per dire la sua prima messa il giorno seguente, Karl Leisner celebra per la prima volta l’Eucarestia il 26 dicembre, nel giorno della festività di Santo Stefano, primo martire della Chiesa. Il 4 maggio 1945, cinque giorni dopo la liberazione del campo a opera degli americani, sarà trasportato in Baviera, dove morirà il 12 agosto. Le ultime parole del suo diario sono parole di luce: «Dio Altissimo, accorda il tuo Amore, il tuo perdono, la tua Benedizione anche ai miei nemici». Il 23 giugno 1996, papa Giovanni Paolo II lo beatificherà a Berlino, nella capitale dell’ex Reich. Monsignor Piguet è sopravvissuto al campo di sterminio. Nel maggio 1945 tutta la città di Clermont-Ferrand in festa celebra il ritorno del suo vescovo. Nel 1997, il comitato Yad Wa-Shem gli assegna la «medaglia dei Giusti» per aver salvato decine di ragazze ebree nascondendole nel convento Sainte-Marguerite di Clermont.

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