Visioni di Cielo

A don Bosco parve di trovarsi in una pianura che si estendeva a vista d'occhio. In essa un numero sterminato di grosse pecore, divise in greggi, pascolavano in vasti prati. Don Bosco rivolse varie domande al pastore.

Visioni di Cielo

da Don Bosco

del 30 gennaio 2006

Sul finire del maggio 1867 Don Bosco fece un sogno, nel quale ebbe la gioia di godere visioni di cielo.

Gli parve di trovarsi in una pianura che si estendeva a vista d’occhio. In essa un numero sterminato di grosse pecore, divise in greggi, pascolavano in vasti prati. Don Bosco rivolse varie domande al pastore, che rispose:

 

— Tu non sei destinato per loro; ti condurrò io a vedere il gregge del quale devi prenderti cura.

 

— Ma tu chi sei? — chiese Don Bosco.

 

— Sono il Padrone; vieni con me.

 

E lo condusse in un altro punto della pianura dove erano migliaia e migliaia di agnellini, così magri che camminavano a stento. Il prato era secco, arido e sabbioso, senza un filo d’erba fresca, senza un ruscello. Ogni pascolo era stato interamente distrutto dagli stessi agnelli. Si vedeva a prima vista che quei poveri agnelli, coperti di piaghe, avevano molto sofferto e soffrivano ancora. Don Bosco chiese spiegazione, e il Pastore lo compiacque e disse:

 

— Ascolta e saprai tutto. Quella pianura è il mondo. I pascoli verdi la Parola di Dio e la grazia. I luoghi sterili e aridi sono quelli in cui non si ascolta la Parola di Dio e si cercano i piaceri del mondo. Le pecore sono gli uomini fatti, gli agnellini sono i giovani, e per questi Dio ha mandato Don Bosco. Questo luogo così arido figura lo stato di peccato.

 

Don Bosco continua: « Mentre io ascoltavo e osservavo ogni cosa, ecco nuova meraviglia. Tutti quegli agnelli cambiarono aspetto. Alzatisi sulle gambe posteriori, tutti presero la forma di altrettanti giovanetti. Io mi avvicinai per vedere se ne conoscessi alcuno. Erano tutti giovani dell’Oratorio. Moltissimi io non li avevo mai veduti, ma tutti si dichiaravano figli del nostro Oratorio.

 

Mentre con pena osservavo quella moltitudine, il Pastore mi disse:

 

— Vieni con me e vedrai altre cose.

 

E mi condusse in un angolo remoto della valle, circondato da collinette, cinto da una siepe di piante rigogliose, con un grande prato verdeggiante, ripieno di ogni sorta di erbe odorose, sparso di fiori campestri, con freschi boschetti e correnti di limpide acque. Qui trovai un altro grandissimo numero di giovani, tutti allegri, i quali con i fiori del prato si erano formati una vaghissima veste.

 

— Almeno hai costoro che ti danno grandissima consolazione.

 

— E chi sono? — interrogai.

 

— Sono quelli che si trovano in grazia di Dio.

 

Ah! Io posso dire di non avere mai veduto persone così belle e splendenti, né mai avrei potuto immaginare tali splendori.

 

Mi era però riservato uno spettacolo assai più sorprendente.

 

— Vieni, vieni con me — mi disse la Guida — e ti farò vedere una scena che ti darà una gioia e una consolazione maggiore. E mi condusse in un altro prato smaltato di fiori più vaghi e più odorosi dei già veduti. Aveva l’aspetto di un giardino princi pesco. Qui si scorgeva un numero di giovani non tanto grande, ma che erano di così straordinaria bellezza e splendore da far scom parire quelli da me ammirati poc’anzi. Alcuni sono già qui all’Oratorio, altri verranno più tardi.

 

— Costoro — mi disse il Pastore — sono quelli che conservano il bel giglio della purezza. Questi sono ancora vestiti della stola dell’innocenza.

 

Io li guardavo estatico. Quasi tutti portavano in capo una corona di fiori di indescrivibile bellezza. Questi fiori erano composti di altri piccolissimi fiorellini di una gentilezza sorprendente e i loro colori erano di una vivezza e varietà che incantavano. Più di mille colori in un sol fiore, e in un sol fiore si vedevano più di mille fiori. Scendeva ai loro piedi una veste di una bianchezza smagliante, anch’essa tutta intrecciata di ghirlande di fiori, simili a quelli della corona. La luce incantevole che partiva da quei fiori rivestiva tutta la persona e specchiava in essa la propria gaiezza.

 

I fiori si riflettevano l’uno negli altri, e quelli delle corone in quelli delle ghirlande, riverberando ciascuno i raggi che erano emessi dagli altri. Un raggio di un colore, rifrangendosi con un raggio di un altro colore, formava raggi nuovi, diversi, scintillanti; quindi a ogni raggio si riproducevano sempre nuovi raggi, sicché io non avrei mai potuto credere esservi in paradiso un incanto così molteplice. Ciò non è tutto. I raggi e i fiori della corona degli uni si specchiavano nei raggi e nei fiori della corona di tutti gli altri; così pure le ghirlande e la ricchezza della veste degli uni si riflettevano nelle ghirlande e nelle vesti degli altri. Gli splendori poi del viso di un giovane, rimbalzando, si fondevano con quelli del volto dei compagni e, riverberandosi centuplicati su tutte quelle innocenti e rotonde faccine, producevano tanta luce da abbagliare la vista e impedire di fissarvi lo sguardo.

 

Così in uno solo si accumulavano le bellezze di tutti i compagni con un’armonia di luce ineffabile. Era la gloria dei santi.

 

Non vi è nessuna immagine umana per descrivere anche languida mente quanto divenisse bello ciascuno di quei giovani in mezzo a quell’oceano di splendori. Fra questi ne osservai alcuni in parti colare che adesso sono qui nell’Oratorio, e sono certo che se po tessero vedere almeno la decima parte della loro attuale bellezza, sarebbero pronti a soffrire il fuoco, a lasciarsi tagliare a pezzi, ad andare insomma incontro a qualunque più atroce martirio, piuttosto che perderla.

 

Appena potei riavermi alquanto da quel celeste spettacolo, mi volsi al Pastore e gli dissi:

 

— Ma dunque, fra tanti miei giovani, sono così pochi gli innocenti? Sono così pochi coloro che non hanno mai perduto la grazia di Dio?

 

Mi rispose:

 

— Non ti pare abbastanza grande questo numero? Del resto quelli che hanno avuto la disgrazia di perdere il bel giglio della purezza, e con questo l’innocenza, possono ancora seguire i loro compagni nella penitenza. Vedi là? In quel prato si trovano ancora molti fiori; ebbene essi possono tessersi una corona, una veste bellissima e se guire gli innocenti nella gloria.

 

— Suggeriscimi ancora — io soggiunsi — qualche cosa da dire ai miei giovani.

 

— Ripeti ai tuoi giovani che se essi conoscessero quanto sono preziose e belle agli occhi di Dio l’innocenza e la purezza, sarebbero disposti a fare qualunque sacrificio per conservarle. Di’ loro che si facciano coraggio a praticare questa candida virtù, perché i casti sono quelli che crescunt tanquam lilia in conspectu Domini (crescono come gigli al cospetto di Dio)».

 

Don Bosco conclude il suo racconto dicendo che, attratto dallo splendore di quei giovani, volle slanciarsi in mezzo a loro, ma inciampò nel terreno e si svegliò. Due giorni dopo, tornò a parlare del sogno e, tra l’altro, disse:

 

«Uno mi domandò se era fra gli innocenti, e io gli dissi di no. Mi domandò ancora se aveva delle piaghe e io gli dissi di sì.

 

— E cosa significano quelle piaghe? — egli soggiunse.

 

— Non temere — risposi —, sono rimarginate, spariranno; queste piaghe ora non sono più disonorevoli, come non sono disonorevoli le cicatrici di un combattente, il quale, malgrado le tante ferite e l’incalzare del nemico, seppe vincere e riportare vittoria. Sono dunque cicatrici onorevoli!.... Ma è più onorevole chi, combattendo valorosamente in mezzo ai nemici, non riporta nessuna ferita. La sua incolumità eccita la meraviglia di tutti»

san Giovanni Bosco

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