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Sono mite e umile di cuore

Siamo molti a vivere sottoposti a un duro ritmo di lavoro che ci va logorando con l'andare dei mesi. Per questo, all'ar¬≠rivo dell'estate, tutti cerchiamo in un modo o in un altro un tempo di riposo che ci aiuti a liberarci dalla tensione. Ma che significa riposare? È sufficiente recuperare le no¬≠stre forze fisiche, prendendo il sole per ore e ore su qual¬≠che spiaggia?


Sono mite e umile di cuore

da Teologo Borèl

del 25 giugno 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

¬´Ges√π disse:

Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, per­ché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nel­la tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno co­nosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e impara­te da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ri­storo per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Matteo 11,25-30).

 

Dio si rivela ai semplici 

          Un giorno, Gesù sorprese tutti rendendo grazie a Dio per il suo successo con la gente semplice di Galilea e per il suo fal­limento tra i maestri della legge, scribi e sacerdoti. «Ti ren­do lode, Padre... perché hai nascosto queste cose ai sapien­ti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Gesù sembra conten­to. «Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza». E questo il modo con cui Dio rivela le sue «cose».

          I piccoli, la gente semplice e ignorante, quelli che non han­no accesso alle grandi conoscenze, quelli che non contano nella religione del tempio, si stanno aprendo a Dio con cuo­re puro. Sono disposti a lasciarsi istruire da Gesù. Per suo mezzo il Padre sta rivelando loro il suo amore. Capiscono Gesù come nessun altro.

          Tuttavia, i «sapienti e i dotti» non capiscono nulla. Hanno la propria visione dotta di Dio e della religione. Credono di sapere tutto. Non imparano nulla di nuovo da Gesù. La lo­ro visione chiusa e il loro cuore indurito impediscono loro di aprirsi alla rivelazione del Padre attraverso il Figlio.

          Gesù termina la sua preghiera, ma continua a pensare ai «piccoli». Vivono oppressi dai potenti e non trovano confor­to nella religione del tempio. La loro vita è dura e la dot­trina offerta loro dagli «esperti» la rende ancora più dura e difficile. Gesù fa loro tre appelli.

          «Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi». È il primo appello. E' diretto a tutti coloro che sentono la religione come un peso e a quelli che vivono oppressi da norme e dot­trine che impediscono loro di percepire la gioia della salvez­za. Se si incontrano in modo vitale con Gesù, sperimente­ranno un ristoro immediato: «E io vi darò ristoro».

          «Prendete il mio giogo sopra di voi... poiché è dolce e il mio peso leggero». È il secondo appello. Bisogna cambia­re giogo. Abbandonare quello de «i sapienti e i dotti», per­ché non è leggero, e prendere quello di Gesù, che rende la vita più sopportabile. Non perché Gesù sia meno esigente. Esige di più, ma in modo diverso. Esige l'essenziale: l'amo­re che libera e fa vivere.

          «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». È il ter­zo appello. Si deve imparare a compiere la legge e vivere la religione col suo spirito. Gesù non «complica» la vita, la rende più semplice e umile. Non opprime, aiuta a vivere in modo più degno e umano. Incontrarsi con lui è un «ri­storo per la vita».

Imparare dai semplici 

          Gesù non ebbe problemi con la gente semplice del popo­lo. Sapeva che lo capivano. Ciò che lo preoccupava era se un giorno i capi religiosi, gli esperti della legge, i grandi maestri di Israele, sarebbero arrivati a cogliere il suo mes­saggio. Ogni giorno era più chiaro: quello che riempiva di gioia il popolo, lasciava indifferenti loro.

          Quei contadini che vivevano difendendosi dalla fame e dai grandi latifondisti lo comprendevano molto bene: Dio li vo­leva vedere felici, senza fame né oppressori. I malati si fi­davano di lui e, incoraggiati dalla loro fede, tornavano a credere nel Dio della vita. Le donne che osavano uscire di casa per ascoltarlo, intuivano che Dio doveva amare come diceva Gesù: con tenerezza di madre. I piccoli, la gente semplice del popolo, erano in sintonia con lui. Il Dio che annunciava loro, era quello cui anelavano e di cui aveva­no bisogno.

          L'atteggiamento dei «dotti» era diverso. Caifa e i sacerdo­ti di Gerusalemme lo vedevano come un pericolo. I mae­stri della legge non capivano come mai si preoccupasse tanto della sofferenza della gente, dimenticandosi delle esigenze della religione. Per questo, tra i seguaci più inti­mi di Gesù non ci furono sacerdoti, scribi o maestri della legge.

          Un giorno Gesù svelò a tutti ciò che sentiva nel suo cuore. Pieno di gioia, pregò Dio così: «Ti rendo lode, Padre, Si­gnore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste co­se ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli».

          È proprio così. Lo sguardo dei piccoli, della gente sempli­ce è, ordinariamente, più puro. Nel loro cuore non c'è tan­to interesse disonesto. Vanno all'essenziale. Sanno che si­gnifica soffrire, sentirsi male e vivere senza sicurezza. So­no i primi a comprendere il vangelo.

          Questi piccoli, questa gente semplice, sono la cosa miglio­re che abbiamo nella Chiesa. Da loro dobbiamo imparare noi vescovi, teologi, moralisti ed esperti in religione. A lo­ro Dio svela qualcosa che a noi sfugge. Noi ecclesiastici corriamo il rischio di razionalizzare, teorizzare e «com­plicare» eccessivamente la fede. Solo due domande: per­ché c'è tanta distanza tra la nostra parola e la vita della gente? Perché il nostro messaggio risulta quasi sempre più oscuro e complicato di quello di Gesù?

Dio è per la gente semplice 

          Molti anni fa, all'École Biblique di Gerusalemme, un mae­stro di esegesi ci iniziava alla difficile arte di sviscerare il vangelo di Matteo. Tutto sembrava insufficiente a com­prendere il senso ultimo del testo: critica testuale, analisi letteraria, struttura del passo. Un giorno arrivammo a que­sti versetti in cui Gesù esclama: «Ti rendo lode, Padre, Si­gnore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste co­se ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Il pro­fessore fece un lungo silenzio. Poi ci disse molto lenta­mente: «Non dimenticate mai queste parole. Tutto il resto lo potete dimenticare». Fu probabilmente la migliore le­zione di esegesi che avessi mai ricevuto. In seguito, nel cor­so degli anni, ho potuto constatare che è così.

          Quando ho avuto l'impressione di trovarmi accanto a una persona vicina a Dio, si trattava sempre di qualcuno dal cuore semplice. A volte una persona senza grandi cono­scenze, in altri casi qualcuno di cultura notevole, ma sem­pre un uomo o una donna dall'animo umile e puro.

          In più di un'occasione ho potuto verificare che non basta parlare di Dio per far sorgere la fede. Per molta gente, al­cuni concetti religiosi sono molto logori, e anche se si cer­ca di farne emergere tutto il vigore e il sapore che aveva­no in origine, Dio continua a rimanere come «fossilizza­to» nelle loro coscienze. Tuttavia, ho incontrato persone semplici che non sembrano aver bisogno di grandi idee né di grandi ragionamenti. Intuiscono subito che Dio è «un Dio nascosto», e dal loro cuore nasce spontanea un'invo­cazione: «Signore, mostrami il tuo. volto».

          Ho incontrato anche persone che si muovono sempre sul terreno del loro utile. Alcune abbandonano Dio perché ri­sulta loro perfettamente inutile; altre lo accettano e gli ren­dono culto perché serve a loro. Tuttavia, ho potuto cono­scere persone semplici che vivono rendendo grazie a Dio. Godono quello che di buono c'è nella vita, sopportano con pazienza i mali; sanno vivere e far vivere. Non so come ci riescano, ma dal loro cuore sembra che sgorghi sempre la lode al Creatore. La loro vita è riuscita.

          Molte volte ho esposto temi religiosi e ho parlato di Dio davanti a persone molto diverse. In alcune occasioni ho in­contrato persone che ponevano domande su domande so­pra ogni tipo di questioni teologiche, senza mostrare il mi­nimo interesse a incontrarsi con Dio. Ma ho visto anche gente semplice i cui occhi brillavano in modo speciale quan­do leggevo testi come questo del profeta Isaia: «Io sono il Signore, tuo Dio... Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo... Non temere, perché io so­no con te» (Isaia 43,3-5); o quando pronunciavo il Salmo 103: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (Sal­mo 103,13-14). Sì, Dio si rivela a gente semplice. 

L'arte di riposarsi 

          Siamo molti a vivere sottoposti a un duro ritmo di lavoro che ci va logorando con l'andare dei mesi. Per questo, all'ar­rivo dell'estate, tutti cerchiamo in un modo o in un altro un tempo di riposo che ci aiuti a liberarci dalla tensione, dalla fatica e dal logorio che abbiamo accumulato nel cor­so dei giorni.

          Ma che significa riposare? È sufficiente recuperare le no­stre forze fisiche, prendendo il sole per ore e ore su qual­che spiaggia? È sufficiente dimenticare i nostri problemi e conflitti sommergendoci nel fracasso delle nostre feste e sagre? Al ritorno dalle vacanze, più di uno avverte inte­riormente di averle perse. Il fatto è che anche nelle vacan­ze possiamo cadere nella tirannia dell'agitazione, del chias­so, della superficialità e dell'ansia del godimento facile ed estenuante. Non tutti sanno riposare. E forse l'uomo mo­derno ha urgente bisogno di essere iniziato all'arte del ve­ro riposo.

          Abbiamo bisogno, anzitutto, di incontrarci in modo più profondo con noi stessi e di cercare quel silenzio, quella calma e quella serenità che tante volte ci mancano duran­te l'anno, per ascoltare il meglio che si trova in noi e in­torno a noi.

          Abbiamo bisogno di ricordare che una vita intensa non si­gnifica una vita agitata. Vogliamo avere tutto, accaparrar­ci e godere tutto. E ci circondiamo di mille cose superflue e inutili che soffocano la nostra libertà e spontaneità.

          Dobbiamo riscoprire la natura, contemplare la vita che pro­rompe accanto a noi, fermarci davanti alle piccole cose e alle persone semplici e buone. Sperimentare che la felicità ha poco a che fare con la ricchezza, i successi e il piacere facile.

          Abbiamo bisogno di ricordare che il senso ultimo della vi­ta non si esaurisce nello sforzo, nel lavoro e nella lotta. Al contrario, si rivela più chiaramente nella festa, nella gioia condivisa, nell'amicizia e nella convivenza fraterna.

          Abbiamo però bisogno, inoltre, di radicare la nostra vita in questo Dio «amico della vita», fonte del vero e definiti­vo riposo. Può riposare il cuore dell'essere umano senza incontrarsi con Dio? Ascoltiamo con fede le parole di Ge­sù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». 

Non ci basta un po' di vacanza 

          Vi sono stanchezze proprie della società attuale che non scompaiono col semplice fatto di andare a riposare per qualche giorno. La ragione è semplice. Le vacanze possono aiutare a rifarci un po', ma non possono darci quel riposo interiore, quella pace del cuore e quella tranquillità dello spirito di cui abbiamo bi­sogno.

          Una prima fonte di stanchezza è l'attivismo estenuante. Non rispettiamo i ritmi naturali della vita. Facciamo sempre più cose in sempre meno tempo. Viviamo accelerati, nel logorio permanente, distruggendoci ogni giorno un po' di più. Poi arriveranno le vacanze per «ricaricare le pile».

          È un errore. Le vacanze non servono a eliminare questa stanchezza. Non basta «sconnettersi» da tutto. Al ritorno dalle vacanze tutto tornerà uguale. Non abbiamo bisogno di accelerare ancora di più la nostra vita, ma di imparare un ritmo più umano, smettere di fare alcune cose, vivere più lentamente e in modo più rilassato.

          C'è un altro tipo di stanchezza che nasce dalla saturazio­ne. Viviamo un eccesso di attività, relazioni, appuntamen­ti, incontri, pranzi e cene. D'altra parte, la segreteria te­lefonica, l'auto, il computer o la posta elettronica facilita­no il nostro lavoro, introducendo però nella nostra vita una saturazione. Siamo sempre localizzabili ovunque, sempre «connessi». Poi arriveranno le vacanze per «scomparire» e «sconnettersi».

          E un errore. Ciò di cui abbiamo bisogno è imparare a «met­tere ordine» nella nostra vita: curare ciò che è importan­te, relativizzare quello che è secondario, dedicare più tem­po a quanto ci dà pace interiore e tranquillità.

          Vi è anche un'altra stanchezza più diffusa, difficile da pre­cisare. Viviamo stanchi di noi stessi, stufi della nostra me­diocrità, senza trovare quello a cui in fondo aspira il nostro cuore. Come potranno curarci delle vacanze? Per questo non è superfluo ascoltare le parole di Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Esiste un riposo che si può trovare solo nel mistero di Dio accolto nel nostro cuore seguendo i passi di Gesù.

José Antonio Pagola

http://www.notedipastoralegiovanile.it

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