Siamo amati di amore eterno

Quando è veramente dentro di noi, è l'amore stesso a farci scuola, a insegnarci come vivere-ricambiare l'amore col quale Dio che è Amore «ci sta amando» attimo per attimo. «Il debito d'amore comincia dunque quando all'amore che Dio ha per noi cominciamo a rispondere in modo lacunoso e svogliato; e a darci la realistica misura di quale poi tale amore di risposta debba essere è la misura stessa con la quale Dio ci ama a insegnarcelo».

Siamo amati di amore eterno

da Teologo Borèl

del 15 gennaio 2006

Poiché l’amore non è moneta, a noi può sembrare strano, o impalpabile e dunque molto generico, un debito d’amore; ma non è così. Infatti, dire debito è un altro modo di dire dovere, con una specificazione precisa; e dicendo dovere noi ci impegniamo di fatto con qualcuno, ossia rinunciamo a reputarci indipendenti da chiunque, a crederci dei piccoli assoluti.

 

In questo caso preciso e unico, l’Altro è Dio, e Dio amore. Ne viene che proprio noi suoi riguardi sorge e rimane nel nostro intimo e spirituale io l’impegno fondamentale di attualizzare nei suoi riguardi la relazione dell’amore.

 

Se egli fosse, infatti, un Dio immobile, o indifferente, un supremo principio, potremmo accontentarci di ossequiarlo (se poi c’interessasse davvero) con pensieri metafisici; ma poiché egli è amore che sta amandoci (come l’amore fa), allora l’impegno di riamarlo diviene prioritario in modo assoluto, tanto quanto è assoluto Dio stesso.

 

Per i cristiani che conoscono tutto ciò, il comando divino «Non avere altri dei di fronte a me» (Dt 5,7) equivale a «non avere altro amore che ti domini», ossia che ti sostenga, ti motivi per vivere e per morire, e dia significato a ogni altro amore.

 

Quando Gesù ci ha avvertiti: «Non potete servire a due padroni, Dio e la ricchezza» (Mt 6,24) ha ripreso lo stesso percorso: infatti egli ha parlato di odiare e amare, dunque della ricchezza come oggetto di assoluto amore. Non ci ha detto che non possiamo servire Dio e il demonio, perché quest’ultimo non è per noi oggetto ordinario di amore: la ricchezza sì.

 

Il debito d’amore comincia dunque quando all’amore che Dio ha per noi cominciamo a rispondere in modo lacunoso e svogliato; e a darci la realistica misura di quale poi tale amore di risposta debba essere è la misura stessa con la quale Dio ci ama a insegnarcelo.

 

Provi dunque il cristiano, che conosce bene questo segreto, a interrogare Dio, provi a domandargli: «Tu, mio amatore, quando mi ami? Quanto? Come?» e si adegui, se intende restare nella verità, alle risposte che riceve.

 

«Ti ho amato di amore eterno» (Ger 31,3). Ed eterno, poiché noi viviamo nel tempo, non significa lontano o sopra di te e fuori di te, ma all’opposto contemporaneo: l’amore che attimo per attimo segue, accompagna, respira al fianco.

 

«Sono io che ho amato voi e ho mandato il mio Figlio come vittima di espiazione per i vostri peccati» (1Gv 4,10). Prorompente iniziativa. «Non ho risparmiato il mio proprio Figlio» (Rm 8,32). Sono le risposte a noi notissime e che conservano il potere di sconvolgere la nostra pacatezza terrena. Sono appunto la scuola pratica di come vivere-ricambiare l’amore.

 

Pare perfino strano dover tanto ragionare sull’amore, come se non ci facesse scuola da solo quando è veramente in noi. Dal punto di vista psicologico è persino incerto, nella nostra esperienza, se siamo noi a condurre l’amore oppure l’amore a condurre noi.

 

Esso conosce da sé il suo oggetto, lo brama, trova le vie per raggiungerlo, quando lo ha raggiunto lo afferra per non abbandonarlo, se deve allontanarsi da lui non si risolve mai a farlo, e avendolo fatto comincia a patire solitudine e nuovo desiderio di incontro.

 

Non è diverso l’amore che ci lega nello Spirito a Dio, solo è più forte. Infatti, l’amore divino non si appoggia sulla nostra sentimentalità, pur svegliandola: esso è radicato nel nostro spirito e di lì domina tutta la vita personale perché la volge completamente verso Dio: «Sei tu la mia sorte» (Sal 142,6) gli dice, «senza di te non ho alcun bene» (Sal 16,2), e perciò «il tuo volto io cerco» (Sal 27,8).

 

Che cosa diventa allora una vita, sotto la pressione di tale spinta che la invade? È evidente che essa non può più essere costituita di esperienze disperse, di separati obiettivi tutti più o meno equivalenti, di soddisfacimenti finiti nello spazio e nel tempo.

 

Gradatamente essa cerca un’altra esperienza di fondo, perché tende con sicurezza a «conservarsi nell’amore».

 

 

 

Giuseppe Pollano

da Per una nuova cultura di carità, Studium-Roma 2003

mons. Giuseppe Pollano

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