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Santa Camilla Battista, storia di una Principessa Santa

Un'anima eletta dal Cielo, un'angelica sposa di Cristo, il cui purissimo cuore conosce mille modi per dimostrarsi all'Amato: donazione di sé, sacrificio totale, zelo per la Chiesa e la salvezza delle anime. Questo solo conta per la sposa divina, questo è il vero Amore a Lui...


Santa Camilla Battista, storia di una Principessa Santa

           Camilla Battista, che già aveva fatto evidenti progressi nella vita spirituale, anche per le spiccate qualità di mente e di cuore di cui era stata dotata dalla natura, avanzò instancabilmente nella via della perfezione. In lei rifulse un’eroica carità verso Dio, per quanto nelle sue opere affermi che l’uomo è talmente incapace di corrispondere all’infinita carità di Dio, tanto che nemmeno la Vergine Maria e tutti i santi e tutti gli angeli insieme possono «degnamente ringraziare Dio per il più piccolo fiore creato a nostra utilità e molto più per l’immensa e singolare carità con cui Egli ci ha amato, da dare il suo Figlio Unigenito per noi vilissimi peccatori». Aveva scritto queste parole dopo aver ricevuto una luce soprannaturale circa l’incommensurabile santità divina e l’amore infinito con cui Dio si china verso le creature; allora la Clarissa tornata in sé aveva esclamato: «O pazzia, o pazzia! Nessun vocabolo mi pareva più vero e conveniente a tanto amore». Di conseguenza lei stessa si stimava degna dell’inferno e di essere posta sotto i piedi di Giuda, ma con un evidente paradosso aggiungeva: «Purché là ti ami, mio Dio!».

           Nutriva anche un ardente amore verso la Santissima Eucaristia, presenza sacramentale del suo Sposo. A lei, e forse anche alle consorelle, in tempi in cui ai fedeli era concesso di comunicarsi raramente ed era comandata solo la Comunione pasquale, fu dato il privilegio della Comunione settimanale, che suscitava in Camilla Battista desideri sempre più vivi: «Per due anni quasi continui avevo potuto ricevere l’Eucaristia ogni domenica, ma il mio appetito era, se fosse stato possibile, di comunicarmi ogni giorno. E quando pensavo di esserne privata oltre otto giorni, mi sembrava dovessi svenire». Una volta avvenne un fatto straordinario che lei racconta: «Mentre entravo in chiesa per la celebrazione del vespro, guardai verso il Santo Sacramento e mi parve che da quello ne uscisse una saetta che mi ferì il cuore di amore divino».

           Coltivò pure una totale speranza nella Provvidenza e l’amore alla più alta povertà, sempre temperante nell’uso delle cose terrene, nel cibo e nelle bevande. Si mostrò inoltre umile in ogni circostanza, paziente nelle malattie, obbediente ai superiori.

           Il suo nascondimento fu interrotto proprio dall’obbedienza a papa Giulio II che la inviò a fondare il Monastero delle Clarisse di Fermo, dove restò quasi due anni (1505-1506). Inoltre, a cavallo tra il 1521 e il 1522, si fermò per circa dieci mesi nella città di San Severino (Marche) dove, secondo una fondata ipotesi, si adoperò per plasmare la nuova comunità di Clarisse. Più volte nel suo Monastero, oltre che vicaria, fu eletta abbadessa dalle consorelle che, per le sue virtù, specie la prudenza, la mansuetudine e la carità, la stimavano e l’amavano. Tra i suoi scritti figurano lettere e poesie che attestano la sua attività di maestra di perfezione. Il suo spirito di carità, dunque, la fece serva del prossimo in diversi modi. Primariamente verso le consorelle «delle quali pensava sempre bene e ne scusava i difetti», come scrive il testimone Antonio da Segovia che aggiunge: «Molte volte bacia la terra dove le sorelle pongono i piedi». Il monaco olivetano riporta questa preghiera di Camilla Battista: «Quando sentirò di avere questa grazia, cioè fare del bene con perfetto cuore a chi mi fa male, dire bene e lodare senza ipocrisia chi so che dice male di me e a torto mi biasima, allora Padre dolcissimo mi riterrò tua vera figlia per la reale conformità fra me e il tuo dolcissimo figlio Cristo Gesù crocifisso, unico bene dell’anima mia».

           Non dimenticò le persone che vivevano fuori delle mura del Monastero, perciò, oltre ad includerli nella preghiera, fu aperta verso quanti le chiedevano un consiglio, come si deduce dalle poche lettere rimaste, scritte per incoraggiare o consigliare, per chiedere la grazia alla municipalità di San Severino in favore di due cittadini camerti condannati a morte, per pregare il cognato Muzio Colonna perché con i suoi soldati non danneggiasse gli abitanti di Treia benefattori del Monastero di San Severino o di Camerino.

           Ma nel suo cuore, ricolmo di amore divino, trovarono posto tutti gli uomini, come risulta da una lettera di una sua consorella: «Suor Battista è talmente assorta dallo zelo delle anime che si sente ardere e non ha altra consolazione né altro pasto se non questo e quando parla della salvezza delle anime sembra che languisca». Ugualmente rifulse di amore singolare per tutta la Chiesa di Cristo per la quale pregò e soffrì, come attesta la stessa consorella: «Spesso arde talmente per il desiderio di rinnovamento della Chiesa che non può dormire o mangiare né ascoltare chi le parla, in modo che alle volte per questo si ammala gravemente». Camilla Battista infatti visse nel tempo in cui un grave rilassamento di costumi aveva intaccato la Chiesa di Dio e, oltre a evidenti difetti o carenze di tanti ecclesiastici, la ferivano le notizie che dal 1517 giungevano dalla Germania, dove il monaco agostiniano Martin Lutero propugnava il distacco dalla Chiesa Romana: queste notizie la facevano ammalare fisicamente, tanto era l’assillo per la salvezza delle anime e «il desiderio di rinnovamento della Chiesa» [...].

           «Ma Dio, con somma e stabile provvidenza, lascia che avvengano queste cose che non tocca a noi poveri uomini giudicare. Non per questo dobbiamo smettere di onorare tali prelati, anzi dobbiamo frequentemente pregare per loro [...] e l’orazione per loro tornerà a beneficio proprio». I santi vedono ma non giudicano, amano sempre, come Dio.

           Raggiunta l’età di sessantasei anni, Camilla Battista aveva ancor più conseguito quell’ideale di “purità del cuore” descritto nell’omonimo trattato, cioè la libertà dall’egoismo e da giudizi sul prossimo, crocifiggendo la propria persona interiore per cercare solo la gloria di Dio, nei piccoli e grandi impegni quotidiani. Tutta la sua vita spirituale è qui, anche se iniziata col voto della lacrima per compiangere il Cristo, ma che pian piano l’aveva condotta ad aspirare all’unione con Cristo.

           Chi mai desidera morire e chi non si rattrista al pensiero della morte? Solo i santi fanno eccezione, specie se hanno avuto un assaggio della Vita eterna. Camilla Battista aveva desiderato di morire per essere con Cristo, in particolare dopo l’illuminazione estatica sulla grandezza di Dio e la pochezza umana, come racconta nell’Autobiografia: «Rimase nella mia anima un fuoco tanto grande che durò più di tre mesi ed era un desiderio di uscire dal carcere di questo corpo per essere con Cristo. Questo desiderio era tanto cocente ed infiammato che restare nel corpo mi sembrava di provare le pene infernali, anzi le pene dell’inferno mi sembravano un refrigerio rispetto alla pena che io provavo e che non vorrei mai più provare se non quando dovessi morire, perché morendo con quel desiderio non sarà morte, ma un andare a nozze al suono degli organi». Una volta – racconta ancora – mentre piangeva e pregava che Gesù la prendesse con sé, il Signore con un braccio la strinse al petto e con l’altra mano le asciugò le lacrime che uscirono più abbondanti, insieme alla supplica accorata della suora. A questo punto Gesù le disse: «“Non posso, non posso ancora”. E mi mostrò le sue potentissime mani strettamente legate dicendomi: “Queste sono le orazioni delle suore e dei frati che mi rivolgono perché tu non muoia”». Potenza della preghiera!

           Ma anche l’amore delle consorelle e dei confratelli dovette arrestarsi di fronte al momento in cui il Signore volle chiamare la sposa diletta alle nozze eterne. Era il 31 maggio 1524 quando durante un’epidemia di peste Camilla Battista, forse nella solitudine di una cella, entrò nella gloria, dopo quarantatré anni trascorsi nell’intimità del chiostro. Il duca Giovanni Maria Da Varano, insieme alla corte e al popolo, andò a venerare la spoglia mortale della santa sorella. Il 2 giugno il cortile del palazzo paterno, che aveva contenuto l’allegria della giovane principessa, ne accolse la scarna spoglia per la liturgia funebre, durante la quale frate Paolo Corimbo da Fossombrone ne tessé l’elogio; poi il venerato corpo fu sepolto in Monastero al centro del coro intarsiato, testimone di estatici incontri della Clarissa con il suo Signore.

           La fama di santità, per cui Camilla Battista Da Varano brillò in vita, non venne meno dopo la sua morte. Benedetto XVI nel 2010 ha coronato i voti dei tanti devoti e discepoli di Camilla Battista Da Varano con il solenne rito della sua canonizzazione.

Silvano Bracci

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