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Pretendere. Lamentarsi

Esiste una diffusa tendenza a lamentarsi degli altri, perché pretendiamo che si comportino secondo le nostre aspettative, cioè il nostro modo di vedere le cose. L'aspetto che qui merita particolare attenzione non è, però, la lamentela, quanto il nostro “pretendere”. A volte siamo esigenti nei confronti di noi stessi e perciò esigiamo molto dagli altri...


Pretendere. Lamentarsi

da Quaderni Cannibali

del 02 luglio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Esiste, né può essere diversamente, un’etica del rispetto che troppo spesso è sottostimata e dunque elusa.

          Esiste una diffusa tendenza a lamentarsi degli altri, perché pretendiamo che si comportino secondo le nostre aspettative, cioè il nostro modo di vedere le cose, i nostri modelli di pensiero, le nostre convinzioni sociali, politiche, religiose. L’aspetto che qui merita particolare attenzione non è, però, la lamentela, quanto il nostro “pretendere”. A volte siamo esigenti nei confronti di noi stessi e perciò esigiamo molto dagli altri, oppure abbiamo una scarsa stima di noi stessi e facciamo pressione sugli altri perché siano e facciano quello che vorremmo essere e saper fare noi stessi. Le aspettative nei confronti di noi stessi, diventate “pretese” nei confronti degli altri, sono motivo di stress, di incomprensioni e dissapori, a volte di veri bisticci tra famiglie. Dagli altri pretendiamo che siano come sogniamo di essere noi: più giusti, precisi, osservanti. Ma l’altro è precisamente “un altro”, è come è, come desidera o ha programmato di essere, o come cerca di essere. Ci aspettiamo più dagli altri che da noi stessi. E’ buffo! Il che vuol dire che non è corretto… “Pretendere” dagli altri non è mai corretto anche se si crede di aver dato molto e dunque di avere il diritto al “ritorno”, al contraccambio. Il nucleo etico della questione è il seguente: non tutto ciò che gira intorno a noi deve conformarsi al nostro mondo, ai nostri desideri, alla nostra visione delle cose.

L’ETICA DELLA GRATUITÀ E DEL RISPETTO

          Omologare gli altri ai nostri schemi è una mancanza fondamentale di rispetto. Pretendere e lamentarsi è segno che il nostro agire non è all’insegna della gratuità e del rispetto. Il credente fa del bene senza aspettarsi necessariamente di essere ricambiato, anzi spesso è chiamato a farlo nel segreto, e solo il Padre che vede nel segreto lo ricompenserà (Mt 6,4). La logica cristiana dell’attesa dagli altri è quella del dono d’amore: diamo, diamo generosamente, seminiamo largamente, consapevoli che se seminiamo il bene presto germoglierà. La logica cristiana dell’attesa è anche quella del rispetto, ad imitazione di quello paziente di Dio, che aspetta anche quando la nostra libertà sceglie diversamente.L’etica della gratuità e del rispetto è un’etica incentrata sul dono. Tutto il cristianesimo è incentrato sull’idea di dono: quello che Dio ci fa, dando suo Figlio in pura gratuità, senza prospettiva di guadagno, contro ogni logica di equivalenza, contro ogni calcolo. Soprattutto, però, esso rimanda a un compimento finale in cui giustizia e dono saranno una cosa sola (G. Savagnone).

LA LOGICA DEL “DO UT DES”

          Pretendere e lamentarsi è segno che la relazione è problematica, che non c’è reciprocità, che la sincerità è malata e che il rapporto è superficiale. Infatti, la logica del do ut des è la logica di un rapporto di convenienza. Altre volte può essere una logica di dominio, per esercitare un ruolo, per influire autoritariamente sugli altri. Così molte lamentele nascono dal pretendere dall’altro in condizione asimmetrica rispetto a noi, più fragile. Più che il pretendere, molte volte ci si attende il bene, semplicemente perché abbiamo dato del bene. È vero, l’attesa dagli altri in questo caso è un atto “giusto”. Per il cristiano, esigere giustizia comporta perdonare, anche perché spesso chi ci deve qualcosa o chi dovrebbe ricambiarci qualcosa, non vi riesce, o per situazioni in cui sono coinvolti altri, o per debolezza, o per negligenza, o per mille altri motivi. Il giudizio del credente non è di condanna, di lamentela, di giudizio severo, ma di comprensione, consapevoli dell’insegnamento del Maestro: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Come insegna Benedetto XVI nella Spe salvi, la giustizia che il credente si aspetta dagli altri deve essere impregnata di grazia: “Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Ambedue – giustizia e grazia – devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore” (44).

LA “FAIDA” DEI REGALI

          Il rapporto asimmetrico del do ut des, induce nel ricevente un bisogno di parità sicché il dono diventa un modo per innescare un rapporto di scambio seppure differito. Infatti il dono, anche se si propone vestito di generosità gratuita, in realtà risulta spesso un tentativo di estendere il proprio “potere” sull’altro inducendogli vissuti di gratitudine e dipendenza. Non a caso al ricevere deve sempre seguire un dare: chi riceve percepisce nel dono ricevuto una sorta di possibile ricatto, un pericolo da esorcizzare e non potendo rifiutarlo occorre almeno restituirlo e più bello. La logica del ricatto, la “faida” dei regali che “chiedono” altri regali forse non ci è così estranea. Sarebbe bene interrogarsi quanto siamo liberi nel regalo, quanto ci interessa sul serio regalare, per esempio, ai nipotini il tal giocattolo, o quanto non siano, essi stessi bambini, oggetti mediatori attraverso cui far giungere informazioni precise ai “grandi”, ai genitori (A. Cortese).La logica del do ut des e la logica dei regali portano a una logica delle attese e delle pretese, a una logica del lamentarsi perché il mondo gira diversamente da come noi ce lo attendiamo. Tutto questo comporta una responsabilità etica. È un problema morale aspettarsi che gli altri rispondano alle nostre sollecitudini, senza considerare che probabilmente mal tollerano la nostra iniziativa, non la condividono, non vogliono essere coinvolti, oppure non accettano i nostri metodi e i modi di realizzarla.

Valori in questione

          Le aspettative nei confronti di noi stessi, diventate “pretese” dagli altri, sono motivo di stress, incomprensioni e discordie familiari.

Omologare gli altri ai nostri schemi è una mancanza fondamentale di rispetto. Pretendere è segno che il nostro agire non è all’insegna della gratuità e del rispetto.

La logica cristiana dell’attesa dagli altri è quella del dono d’amore.

Il do ut des induce nel ricevente un bisogno di parità; il dono spesso diventa un modo di estendere il proprio “potere” sull’altro, inducendogli vissuti di dipendenza da noi.

Giovanni Russo

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