del 04 maggio 2006
Noi siamo circondati da persone con le quali abbiamo a volte rapporti difficili. Quante volte aspettiamo che sia l’altro a pentirsi, a chiedere perdono, ad abbassarsi dinanzi a noi!
 
Forse riusciremmo a perdonarlo se sentissimo che si è abbassato a tal punto che perdonare è un gioco da ragazzi.
 
Ma non bisogna perdonare al nostro prossimo per il fatto che egli lo merita.
 
Possiamo forse attenderci da Dio un perdono meritato?
 
Quando andiamo a Dio e gli diciamo: «Signore, salva! Signore, perdona! Signore, abbi pietà!», possiamo davvero aggiungere «perché me lo merito»? Mai e poi mai!
 
Noi contiamo sul fatto di essere perdonati da Dio nel suo amore puro, sacrificale, quello di Cristo sulla croce.
 
Ma proprio questo è l’amore che il Signore attende anche da noi nelle relazioni con il prossimo; non dobbiamo perdonare a qualcuno per il fatto che lo merita, ma perché noi siamo di Cristo, perché proprio nel nome del Dio vivente e del Cristo crocifisso ci è dato di perdonare.
 
A volte ci sembra che se solo riuscissimo a dimenticare l’offesa, allora perdoneremmo, ma dimenticare è fuori della nostra portata: «Signore, accordaci l’oblio!».
 
Ma non è la stessa cosa del perdono; dimenticare non equivale a perdonare.
 
Perdonare significa guardare un uomo così com’è, con il suo peccato e il suo lato insopportabile, con tutta la pesantezza del suo essere e dire: «Ti porterò, come una croce. Ti porterò fino al regno di Dio, che tu lo voglia o no. Che tu sia buono o cattivo, io ti porterò sulle mie spalle, ti condurrò al Signore e dirò: «Signore, ho portato quest’uomo per tutta la mia vita, perché avevo paura che perisse. Ora tocca a te perdonarlo, in nome del mio perdono!».
 
Come sarebbe bello se potessimo in questo modo portare i pesi gli uni degli altri e sostenerci reciprocamente; senza cercare di dimenticare, ma al contrario custodendo il ricordo.
 
Ricordarsi della debolezza di uno, del peccato di un altro, ricordarsi di quello al quale le cose vanno male, e nel far questo non permettere che soccomba alla tentazione, ma proteggerlo, per impedirgli di cedere a ciò che appunto potrebbe farlo soccombere.
 
Ah, se potessimo comportarci così gli uni con gli altri! Se noi circondassimo chi è debole di un amore vigilante e tenero, quanti uomini riuscirebbero a ritrovare se stessi, quanti diventerebbero degni di un perdono dato loro gratuitamente!
 
È questo il cammino del pentimento: anzitutto rientrare in se stessi, mettersi alla presenza di Dio, vedersi condannati senza meritare né perdono né misericordia, come Caino fuggire davanti al volto di Dio, e ciò nonostante volgersi verso il Signore e dire: «Io credo, Signore, nel tuo amore, credo nella croce di tuo Figlio, “credo, vieni in aiuto alla mia mancanza di fede” (Mc_9,24)».
 
Seguire poi la via di Cristo: accettare tutto dalle mani di Dio, in tutto dare il frutto del pentimento e dell’amore, e prima di ogni altra cosa perdonare al fratello senza aspettare che lui si corregga, portarlo come una croce, lasciarsi crocifiggere per lui se necessario, e come Cristo dire: «Padre, perdonalo, perché non sa quello che fa».
 
Allora il Signore stesso – colui che ci ha detto «Con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc_6,38), «Perdonate, come anche il Padre vostro che è nei cieli perdona»(cf. Mc_11,25) – non sarà da meno: egli perdonerà, rialzerà, salverà, e fin da questa vita ci donerà la gioia del cielo, come a dei santi.
 
Così sia. Ciascuno di noi possa fare oggi stesso, senza perdere un istante, non foss’altro che i primi passi sulla via del pentimento, poiché esso è già il preludio del regno di Dio. Amen.
 
 
da Anthony Bloom, Ritornare a Dio, Qiqajon/Bose 2002
Anthony Bloom
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