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Per essere persone di preghiera non bastano le Lodi e i Vespri

Il problema sta nel non riservare del tempo per la preghiera personale, che costituisce l'anima delle preghiere e di tutta la vita. Quello che non si può accettare è che le Lodi e i Vespri si considerino “la” preghiera della Chiesa, l'unica valida...


Per essere persone di preghiera non bastano le Lodi e i Vespri

da Teologo Borèl

del 08 luglio 2006

Siamo o non siamo persone di preghiera? Se lo chiede p. Carlos Palmés in un articolo pubblicato sulla rivista CLAR della Confederazione latino-americana dei religiosi nel numero di gennaio-marzo 2006. Non è difficile saperlo. Il segno caratteristico che lo sta a indicare è se la preghiera ha prodotto oppure no nella nostra vita una “conversione affettiva”, quella che nella vita spirituale è chiamata la seconda conversione.

 

Lo si può osservare mettendo a confronto due categorie di persone. Anzitutto quelle che da anni continuano a comportarsi secondo criteri puramente umani e forse persino mondani, che giudicano tutto in base al proprio interesse personale o di gruppo, anziché con i criteri del Regno. Questi comportamenti si manifestano in una grande sensibilità per tutto ciò che tocca la propria immagine e il proprio benessere materiale, in una noia per la preghiera fatta a tu per tu con il Signore, nell’avversione per l’abnegazione che è l’altra faccia dell’amore, nella suscettibilità e nell’individualismo nei rapporti con gli altri. A volte ci può essere un’attività “apostolica” febbrile, ma senza tempo per una preghiera tranquilla né per la vita di comunità e senza chiarezza di motivazioni. In definitiva a dominare la situazione è l’egoismo più o meno scoperto.

 

L’altra categoria è invece quella delle persone che coltivano una vita spirituale solida e progressiva, che sanno relativizzare molte cose non essenziali; per quanto riguarda la stima personale sanno accettare le contrarietà della vita con spirito di fede; praticano abitualmente una preghiera personale gioiosa che le gratifica interiormente e fa loro scoprire la presenza amorosa di Dio in tutte le cose; sono persone che amano coloro con cui convivono o con quelle che incontrano nella loro attività pastorale. Il loro lavoro apostolico è integrato nell’insieme della loro vita consacrata. In una parola sono persone e che hanno giocato tutto per il Regno.

 

La differenza tra queste due categorie di persone dipende tutto dalla loro vita di preghiera, dal fatto cioè se uno è stato oppure no conquistato dal Signore.

 

 

Quando la preghiera si riduce alle strutture

 

La vita di preghiera rischia di essere vanificata quando si riduce unicamente alle strutture. Ciò avviene, scrive p. Palmés, con le preghiere vocali quando queste si considerano come il modo privilegiato e quasi unico della preghiera della Chiesa, come avviene con le preghiere tradizionali di un istituto e anche con le Ore canoniche. Ci sono dei religiosi e religiose e congregazioni intere che a causa delle urgenze “apostoliche” hanno quasi ridotto la loro preghiera alla recita delle Lodi e dei Vespri. Si è potuto giungere fino a degli estremi caricaturali come quando si recitava il breviario per imposizione canonica e alcuni sacerdoti intraprendevano “la corsa contro il peccato mortale”, recitando in un quarto d’ora tutti i salmi prima dello scadere della mezzanotte.

 

Le recite di preghiere si traducono a volte in parole oziose che non toccano la vita se non sono accompagnate da una preghiera personale, prolungata, a tu per tu con il Signore. La preghiera che ha valore non è quella che si fa per adempiere a ciò che è prescritto, ma quella che sgorga dal cuore e fa crescere nella fede e nell’amore.

 

Senza offendere nessuno, credo di poter affermare che la recita di alcune Ore canoniche come unica preghiera ufficiale e sufficiente, sia stata deleteria per la Chiesa e per la vita consacrata attiva. Oggi sono molti i sacerdoti diocesani, i religiosi e le religiose di vita attiva che non hanno quasi altro nutrimento spirituale e che si adagiano in una mediocrità deplorevole, con una grande fragilità vocazionale, con problemi affettivi e relazione di ogni genere. La cosa più dolorosa è che esperimentano un vuoto affettivo che li fa sentire infecondi. All’inizio forse l’attività apostolica produce soddisfazioni gratificanti. Ma se l’attività apostolica non viene accompagnata da una profonda vita di preghiera, con l’andare del tempo si perde la motivazione e il fervore e si vanno a cercare compensazioni altrove. L’unico apostolato autentico è quello che scaturisce dall’esperienza di Dio: «ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo anche a voi» (1Gv 1,1).

 

Ci sono degli usi e delle abitudini, sottolinea ancora p. Palmés, del tutto insoddisfacenti. La prima è quando si recitano le Lodi e i Vespri come unica preghiera. Le altre preghiere sono considerate secondarie e condizionate al lavoro. Ma se la preghiera si riduce a recitare alcuni salmi senza averli prima gustati nella preghiera personale, si traduce tutto in un atto che non tocca la vita.

 

È frequente anche tra religiosi e religiose iniziare la mattina con la recita delle Lodi lasciando poi una pausa di tempo in attesa che arrivi il sacerdote per la messa. Durante questo spazio non c’è il tempo né l’ambiente per entrare in una preghiera tranquilla e assaporare la Parola di Dio. Tutto rimane in superficie. Poi già preme la voragine dell’attività nel collegio o in ufficio o in clinica che assorbe tutte le ore della giornata.

 

Il peccato non sta nel recitare le Lodi, ma nel non riservare del tempo per la preghiera personale, che costituisce l’anima delle preghiere e di tutta la vita. Quello che non si può accettare è che le Lodi e i Vespri si considerino “la” preghiera della Chiesa, l’unica valida e si attribuisca ad essa un valore sacramentale, come se bastasse recitare materialmente i salmi per essere persone di preghiera. Ci sono molti religiosi e religiose che purtroppo si accontentano di questo.

 

Certamente quando si recitano o si cantano con devozione le Ore canoniche, esse costituiscono una bella e profonda esperienza religiosa. Ricordiamo ciò che dice il concilio: «La vita spirituale tuttavia non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia Il cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto a entrare nella propria stanza per pregare il Padre in segreto; anzi, secondo l’insegnamento dell’apostolo, è tenuto a pregare incessantemente» (SC 12).

 

Vi sono molti che non danno il primato alla preghiera personale e la sacrificano facilmente per lasciare spazio ad altre preghiere o devozioni che non trasformano la vita.

 

All’inizio della formazione, osserva p. Palmés, si mette un grande impegno nell’insegnare a manovrare il breviario, nell’imparare i canti appropriati. E va bene; però non va bene che non si metta lo stesso impegno nell’introdurre il giovane nella preghiera personale, specialmente contemplativa che porti a una conoscenza “saporosa” di Cristo, a un fascino che capti la sua affettività profonda e conduca alla consegna della persona all’amore e alla sequela di Cristo. «Dalla preghiera liturgica ci si può dispensare perché appartiene al diritto canonico della Chiesa; ma non ci si può dispensare dalla preghiera personale perché è di diritto divino» (Julián Riquelme, op).

 

 

Preghiera che trasforma

 

La preghiera è qualcosa che trasforma la persona, soprattutto quella contemplativa. È tuttavia opportuno ricordare che la contemplazione non consiste nelle belle idee o in profonde argomentazioni teologiche, ma, come osserva sant’Ignazio, nel sentire e gustare le cose interiormente, vale a dire che le conoscenze devono discendere nel cuore. Contemplare vuol dire allora guardare, ma anche amare: si tratta della preghiera del cuore.

 

Scopo della preghiera è far crescere nella fede e nell’amore. Bisogna passare attraverso la “conversione affettiva” per giungere a vivere in uno “stato di amore”, nei rapporti con Dio e con i fratelli e le sorelle. Il Signore deve diventare il grande Amore della mia vita, il centro e la motivazione di tutti gli altri amori. Un amore totalizzante che pervade l’intera persona (p. Imoda).

 

La preghiera personale porta alla trasformazione della persona, alla conquista dell’affettività profonda e conduce fino ai segreti del cuore della Trinità. Mette a confronto la persona col Vangelo e la forza dello Spirito la porta fino all’identificazione con Cristo. L’amore fa uscire da se stessi per giungere a vivere solo per Dio e per il prossimo.

 

Il processo di crescita è in tutti i casi il medesimo e passa attraverso fasi successive. Come condizione iniziale ci vuole la purificazione da tutti gli affetti e attaccamenti disordinati che separano da Dio. Solo così si apre un cammino spedito nella sequela di Cristo. Con la contemplazione si entra nella conoscenza sapienziale del Signore. Non è una conoscenza puramente speculativa o scientifica. Non è un sapere, ma un assaporare. È una conoscenza affettiva, vibrante, affacciante che avviene mediante l’azione dello Spirito.

 

Dalla conoscenza sgorga l’amore. Quanto più profonda e totalizzante è la conoscenza tanto più appassionato e assorbente sarà l’amore. L’amore mette in movimento un dinamismo che conduce all’identificazione con l’Amato “attratti dalla sua soavità” (s. Bernardo). L’identificazione non avviene tanto negli atti esterni, ma nei criteri, atteggiamenti, sentimenti fino a giungere ad avere una stessa Vita, uno stesso Amore. Fino a poter dire in tutta verità con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,10).

 

Dall’amore e dall’identificazione si passa alla consegna di tutta la persona al Signore. «Accogli, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, l’intelletto, la capacità di amore, tutto ciò che sono e possiedo. Disponi tutto secondo la tua volontà».

 

Questo itinerario, ha cura di sottolineare p. Palmés, è lo stesso nella vita attiva e in quella contemplativa, nel religioso e nella religiosa come anche nel sacerdote diocesano, nel laico e nella laica. Non esiste altro cammino. Certo nella vita attiva, l’identificazione con Cristo implica anche l’assunzione della sua missione evangelizzatrice al servizio dei fratelli e delle sorelle. Ma il punto di partenza deve essere l’esperienza di Dio nella preghiera personale. Da qui scaturisce poi l’esigenza di trasmettere agli altri la buona Novella.

 

La preghiera, osserva ancora il padre, fa crescere nella fede e nell’amore. Inoltre poco alla volta, inizia anche un processo di conquista degli altri livelli, in modo che i livelli psichici e sensoriali vengono incorporati nell’amore totale. Poco alla volta cambia la scala dei valori, degli interessi che non sono più quelli personali, ma quelli del Regno. L’amore a Cristo prende possesso del cuore della persona e tutti gli altri interessi e amori si unificano e trovano significato.

 

Ciò non avviene se le preghiere che recitiamo rimangono in superficie: queste non solo non trasformano la persona, ma possono anche lasciarci stanchi in una perpetua mediocrità.

 

L’esperienza di molti anni, scrive p. Palmés, mi ha mostrato che una vita spirituale solida e profonda, capace di alimentare una fede robusta e di produrre una pienezza affettiva deriva da una pratica abituale della preghiera da cui deriva e assume significato tutto il resto.

 

Questo si vede in quelle persone che, in mezzo alle loro attività, danno il primato alla preghiera personale a tu per tu col Signore e vi dedicano abitualmente l’ora migliore del giorno. Si tratta di una preghiera tranquilla e trasformante, sia che poi si recitino oppure no le Lodi e i Vespri. Una vita spirituale fondata solo su preghiere e atti devozionali può essere un “pio intrattenimento”, ma che in genere non cambia gli atteggiamenti profondi della persona né giunge alla conversione affettiva.

 

È tempo di chiarire i concetti e di non fermarsi a slogan brillanti né a giustificazioni “teologiche” per continuare a vivere una vita religiosa rilassata e superficiale o in un attivismo fuori misura.

 

La maggioranza degli istituti di vita consacrata prendono sul serio la vita spirituale e le loro pratiche possono considerarsi un modello adeguato per la vita attiva. Oltre l’ora di preghiera personale, celebrano l’Eucaristia quotidiana, fanno l’esame di coscienza al termine della giornata, non solo per rivedere gli sbagli compiuti, ma soprattutto per ringraziare la presenza amorosa di Dio durante il giorno; praticano l’accompagnamento spirituale periodico, specialmente durante la formazione; una volta l’anno gli esercizi spirituali di otto giorni e alcune volte il giorno di ritiro. Evidentemente questa vita spirituale deve integrarsi con l’apostolato e con una vita comunitaria veramente fraterna.

 

Molte persone si sentono così pianamente contente e realizzate nella loro vocazione.

 

 

(Fonte: Testimoni)

Testimoni

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