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La storia di due sposi docenti universitari

Cosa vi hanno insegnato i giovani? 'Anzitutto a diffidare di atteggiamenti e giudizi estremi nei loro confronti, basati su cliché ormai superati. L'insicurezza, la fragilità psicologico-sociale che traspaiono oggi negli orientamenti dei giovani denunciano un acuto bisogno di gratuità, di relazioni significative...


La storia di due sposi docenti universitari

da Quaderni Cannibali

del 11 maggio 2006

'Il nostro impegno è di tipo culturale, ma certo non sapremmo identificarci con quei monaci che hanno passato una vita intera nella loro cella a trascrivere libri'... Comincia così il 'racconto a due' fatto al SIR da ATTILIO DANESE e GIULIA PAOLA DI NICOLA, condirettori della rivista 'Prospettiva persona'. Entrambi docenti universitari, due figli, quasi 35 anni di matrimonio e una vita passata a cercare di fare opera di 'trasmissione della fede' a partire dalla loro esperienza quotidiana, tra famiglia, lavoro, ricerca, opera di 'cultura ed evangelizzazione'. Parola d'ordine, 'reciprocità': 'Ciascuno ha fatto il possibile, anche con qualche sacrificio personale se necessario - spiegano - perché l'altro potesse realizzarsi come persona con tutti i suoi talenti e non soltanto come genitore e sposo. Ciò non era consueto da parte di tanti mariti; ancora oggi è più facile trovare una donna che rinuncia per lui (il suo buon vivere in famiglia, la sua carriera) che viceversa'.

 

Come descrivereste la vostra esperienza in Università?

 

'Siamo riusciti a firmare i nostri lavori a quattro mani, contro l'attribuzione individuale degli scritti all'uno o all'altro richiesta dall'Università per fare titolo. Abbiamo avuto la fortuna entrambi di riuscire a lavorare all'Università su discipline affini, divenendo ricercatori confermati, quindi con un posto di ruolo. Nella gloriosa istituzione universitaria però abbiamo incontrato non poche difficoltà. La rincorsa alla carriera e la logica delle appartenenze avevano l'effetto di stravolgere i valori, la verità, i rapporti tra colleghi. Abbiamo visto considerare eccellenti le persone mediocri, affossare le più competenti e oneste, mentire spudoratamente sapendo di mentire, stroncare le speranze dei giovani promettenti. Forse la nostra è stata un'esperienza particolarmente dura, da non generalizzare, ma siamo certi che non la si può restringere a un caso isolato'.

 

È dura 'trasmettere la fede' in un ambiente del genere...

 

'Il mondo universitario ha bisogno estremo di ecologia dell'ambiente, di persone capaci di rinunciare alla carriera, di ecclesiastici che non strizzino l'occhio ai potenti. Sta di fatto che a un certo punto, raccogliendo al balzo l'opportunità che ci veniva offerta dalla legge e in sintonia con quanto la nostra coscienza ci suggeriva, abbiamo deciso di cambiare rotta e abbandonare il ruolo. Sapevamo di finire fuori dal giro, di rinunciare alla carriera e di perdere parte dello stipendio, ma facendo un bilancio sereno ci sembrava che Dio ci chiedesse di buttare le reti da un'altra parte. Sono passati già diversi anni e non siamo pentiti di quella scelta. Abbiamo un contratto annuale di insegnamento presso l'Università di Chieti oltre a collaborazioni sporadiche con qualche Università italiana o straniera'.

 

Non vi sembra che nelle nuove generazioni ci sia una sorta di 'avversione' alla tradizione? Come parlare loro di 'memoria' e di 'progetto'?

 

'Noi ci proviamo a partire dal nostro modo di fare ricerca, e dallo sforzo per comunicarlo proprio ai giovani. Il lavoro di ricerca richiede silenzio, impegno di ore e ore davanti al computer e ai libri, gusto di aprire la mente alle idee nuove e all'incontro con autori ignoti. Non siamo riusciti a fare ricerca a comando: abbiamo considerato lo studio come un momento prezioso e sacro, un dono che Di ci ha fatto, per certi versi un privilegio da dover far fruttare a tutti. Proprio per il fatto di non poter vivere la ricerca soltanto come topi di biblioteca o come strumento di affermazione sociale, ma anche come dono da far circolare, ci è stato sempre gradito l'invito a parlare in occasione di convegni internazionali come anche dei piccoli incontri parrocchiali. Abbiamo così girato città italiane, europee e anche oltreoceano, quasi sempre insieme, parlando di temi di cultura ma anche di tematiche religiose, che unissero l'esperienza di fede all'approfondimento delle tematiche culturali connesse'.

 

Cosa vi hanno insegnato i giovani?

 

'Anzitutto a diffidare di atteggiamenti e giudizi estremi nei loro confronti, basati su cliché ormai superati. L'insicurezza, la fragilità psicologico-sociale che traspaiono oggi negli orientamenti dei giovani denunciano un acuto bisogno di gratuità, di relazioni significative, di richiesta di senso dell'agire quotidiano, di un insieme di significati capaci di soddisfare il bisogno di coinvolgimento globale della persona. Il disimpegno, il rifiuto e l'indifferenza sono solo una faccia della medaglia e riguardano la mancanza di ideali credibili e vivibili, la sfiducia nel modo in cui vengono gestite le istituzioni, nel modo di far politica dei partiti in particolare. Ma il disincanto sociale, politico e religioso è premessa di un impegno sociale e politico più concreto e coerente, sia pur in via di ridefinizione, con una più marcata attenzione al personale inteso come luogo della quotidianità, della qualità, delle esperienze di relazione, come sensibilità ai problemi delle diverse collettività, delle subculture, dell'emarginazione'.

Maria Michela Nicolais

http://www.agenziasir.it

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