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La Pasqua di Giulia Gabrieli

Con questa parola, gioia, di colpo così adeguata, finisce (o forse inizia), la storia di Giulia Gabrieli, la ragazza malata di tumore. Che è morta. Ma ce l'ha fatta. E giudicate voi, credenti o meno che siate, se tutto questo non è un miracolo, se questa non è una storia della Pasqua e per la Pasqua.


La Pasqua di Giulia Gabrieli

da Teologo Borèl

del 02 aprile 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

          Questa è la storia di Giulia Gabrieli, quattordici anni, malata di tumore. Sappiate fin da subito che Giulia ce l’ha fatta. E’ vero, non è guarita: è morta la sera del 19 agosto 2011, a casa sua, nel quartiere di san Tomaso de Calvi, a Bergamo, proprio mentre alla Gmg (Giornata mondiale della gioventù) di Madrid si concludeva la Via crucis dei giovani. Eppure ce l’ha fatta. Ha trasformato i suoi due anni di malattia in un inno alla vita, in un crescendo spirituale che l’ha portata a dialogare con la sua morte: «Io ora so che la mia storia può finire solo in due modi: o, grazie a un miracolo, con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro al Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali. L’importante è che, come dice la beata Chiara Luce, sia fatta la volontà di Dio».

          Giulia era fatta così: diceva queste cose enormi, che a noi adulti tremolanti sembrano impronunciabili, con la lievità dei suoi quattordici anni. L’eterna gioia

          Questa storia inizia con le parole di un bravo giornalista, Fabio Finazzi, scritte per il L’eco di Bergamo per raccontare con la vita nostra la risurrezione di Gesù. Per risorgere bisogna morire, anche se istintivamente ci ribelliamo all’evento, soprattutto quando coinvolge una ragazza di quattordici anni che desidera realizzare tutti i suoi progetti. Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, che con lei aveva intessuto un dialogo fitto e confidenziale, a Madrid, ai mille e più giovani bergamaschi presenti alla Giornata, aveva raccontato la storia di Giulia, ma non era al corrente che si fosse aggravata e che poi sarebbe andata “incontro al Signore” proprio durante la Via Crucis. Di ritorno a Bergamo, qualche ora prima dei funerali, raccolto in preghiera con la famiglia, ha invitato a correggere così l’invocazione per i defunti: “l’eterno riposo” in “l’eterna gioia donale, Signore, splenda a lei la luce perpetua. Amen”.

          Con questa parola, gioia, di colpo così adeguata, finisce (o forse inizia), la storia di Giulia Gabrieli, la ragazza malata di tumore. Che è morta. Ma ce l’ha fatta. E giudicate voi, credenti o meno che siate, se tutto questo non è un miracolo, se questa non è una storia della Pasqua e per la Pasqua.

          Le piaceva molto scrivere ed era anche molto brava e il suo “sogno era scrivere un libro” e in questo l’ha aiutata un giornalista, scelto da lei, che l’ha amata come una figlia, senza che il padre ne fosse geloso, raccogliendo scritti, registrazioni di testimonianze, raccolta di confidenze e così si annuncia.

          Eccomi, mi presento. Mi chiamo Giulia, ho quattordici anni, per la precisione sono nata il 3 marzo 1997 a Bergamo. Ho un fratellino di nove anni, Davide. E, come tutti, due genitori, Sara e Antonio, ai quali voglio tantissimo bene. Sono sempre stata una ragazza normale e sognatrice: desideravo vivere un’avventura come quelle nei film fantascientifici.

          Ed ecco: l’1 agosto 2009 inizia la mia avventura in ospedale con una mano gonfia (la sinistra)…Questa tumefazione, dopo una serie di esami, è stata diagnosticata come un tumore, che mi ha costretta a sottopormi a una lunga serie di chemioterapie.

          L’unica cosa che all’inizio non ho voluto sapere è il nome della mia malattia. Mi sono detta: «Chi se ne frega, sinceramente, del nome scientifico. È pur sempre un tumore. Mi basta sapere questo e che devo curarlo con le chemioterapie». Poi, a un certo punto, a metà delle terapie, ho voluto saperlo, il nome. È un po’ bruttino: RABDOMIOSARCOMA ALVEOLARE. No, non è carino come nome. Ci sono rimasta un po’ a occhi aperti. Poi mi sono ripresa. Perché bisogna sempre sapere con chi si ha a che fare…

Sogno di scrivere un libro

Sogno di scrivere un libro per raccontare una storia. La mia storia.

          Perché anch’io, prima, avevo paura. Avevo paura della malattia, avevo il terrore dell’ospedale. Finché non ci metti piede non sai niente di come si vive dentro. Non pensavo proprio che potessero esistere così tante persone che soffrono, così tanti bambini che stanno male e che sono costretti a curarsi. Io credevo che i tumori fossero una cosa molto rara, invece adesso sono molto frequenti, purtroppo.

          Sogno di scrivere un libro perché ci sono molte persone che sfidano la vita – per esempio quando iniziano a drogarsi – e non si rendono conto che, allo stesso tempo, ci sono tante persone che stanno lottando per avere la vita. È questo che voglio far capire! È una cosa assurda: io sono qui a combattere per vivere. E ci sono persone, anche della mia età, quattordici anni, prima con la sigaretta in bocca, poi passano all’alcol, poi alla droga… Sembra assurdo dirlo, ma in realtà succede veramente. Io lotto per la vita, loro la buttano via.

          Sogno di scrivere un libro perché devo proprio ringraziare il Signore che mi ha dato tanta-tanta tanta forza. Voglio sottolineare con forza l’importanza delle persone che ti stanno vicine e della preghiera: io ringrazio il Signore di avermi donato, attraverso la malattia che è ritornata, una seconda chance per capire quanto mi vuole bene. E ora io spero che le persone lo capiscano attraverso il libro, non attraverso la malattia. Perché la mia situazione non la auguro a nessuno, nonostante io la viva bene. Però, alle persone a cui è capitato, voglio proprio far capire che non è così brutto, non si possono passare le giornate a lamentarsi. Sì, certo, mentre faccio le chemioterapie sto anch’io male e mi chiedo: «Perché è successo proprio a me?». Poi però, quando sto meglio dico: «Ma sì, dai, adesso è passato» e ci rido sopra.

          È questo che voglio dire alle persone malate: «Rideteci sopra». A chi invece sta bene: «Aiutate le persone che sono malate ad accettare la loro malattia e a conviverci, sarà tutto più semplice!».

          Sogno di scrivere un libro, e questa è la cosa che conta di più, per dire che Lui c’è, che ci sta sempre accanto. Quando i medici hanno capito che malattia avevo, mi hanno detto: “Guarda che abbiamo scoperto che purtroppo è un tumore.

          Però è guaribile, te lo assicuriamo che guarirai”. Allora io non capivo perché mia mamma pregava così tanto. Mi dicevo: «Tanto guarisco sicuramente, qual è il problema? Non c’è bisogno di fare tutte quelle preghiere».Quando la malattia si è riformata per la seconda volta, allora finalmente ho capito! Io devo pregare il Signore affinché lui mi doni, attraverso le chemioterapie, la grazia della guarigione. Ma questo non basta: noi dobbiamo pregarlo affinché lui ci dia la forza di andare avanti, di sopportare le cure, di accettarle! Quest’anno io spero di guarire, ma anche se ciò non dovesse accadere so che lui mi è sempre vicino e mi dà la forza di andare avanti. Inoltre, con la mia sofferenza, sto salvando tantissime altre persone e di questo sono felice! 

Come Chiara Luce Badano, beatificata nel 2010

          La fede è la cosa che mi sta aiutando più di tutto ad andare avanti. Il pensiero che c’è un Dio che mi protegge e che fa di tutto perché le cose vadano al meglio, mi carica, mi dà questa grandissima forza…E in questo mi sta sostenendo molto una ragazza, la beata Chiara Luce Badano: anche lei ha avuto vent’anni fa un tumore e purtroppo, vent’anni fa, non c’erano ancora i mezzi adeguati per curare. Lei è morta, però ha saputo vivere questa esperienza in modo così luminoso e solare, che per me è un grande esempio.

          Voglio imparare a seguirla, raccogliere il suo testimone, fare quello che lei è riuscita a fare nonostante la malattia. La malattia non è stato un modo per allontanarsi dal Signore, ma per avvicinarsi a lui e al suo grande amore.

Il palloncino dell’amor

          Ma c’è un’altra esperienza che ha cambiato profondamente la mia fede: i due viaggi a Medjugorje. Per me sono stati davvero una grazia. Non c’è una parola che possa descrivere Medjugorje. Io, per provare a spiegare cosa avviene, mi sono inventata questa immagine: la Madonna a Medjugorje è come se continuasse a soffiare in un palloncino. Soffia amore, soffia amore, soffia amore. E questo palloncino diventa talmente grande che scoppia, perché non riesce più a contenere tutto l’amore della Madonna. Così l’amore va dappertutto e va a colmare ogni piccola mancanza del nostro cuore.

          Tutti vanno a Medjugorje perché manca loro qualcosa. Infatti lì si vedono tantissime grazie, tantissimi miracoli, tantissime conversioni, persone che pregano, che vanno a messa, che si confessano. È bellissimo vedere quanta preghiera c’è, quante persone che si rivolgono al Signore e dicono: «Grazie per tutto quello che hai fatto per me». Io, oltre a recitare tutte le sere il rosario, parlo con la Madonna. Non so voi. Io le parlo, le chiedo di aiutarmi ad andare avanti.

          La Madonna è la mia mammina. Quando sto male, dico subito: «Mamma, vieni in mio aiuto, mamma tu che hai sofferto tantissimo vedendo tuo figlio crocifisso guarda me che sto soffrendo anch’io, aiutami, di’ a tuo figlio di aiutarmi, come hai fatto alle nozze di Cana, quando gli hai detto di portare un po’ di vino perché era finito. Ricorda a tuo figlio che sto male, digli di aiutarmi a stare un po’ meglio».

Il Cristo risorto 

          A Medjugorje, c’è una bellissima statua del Cristo Risorto. C’è una grossa croce di bronzo, con scavato dentro la forma di un corpo, e un Cristo imponente che si eleva verso l’alto. Di solito, la croce sta in piedi. Invece lì la croce sta in terra, come dire che lui lascia la morte: la croce sulla nostra terra, mentre lui si eleva verso l’Altissimo.

          Lì c’è la vita eterna, siamo leggeri, siamo sospesi, perché è l’amore del Signore che ci innalza verso di lui. È una cosa bellissima, proprio rappresenta benissimo la risurrezione: la croce grossa, scavata al suo interno, questo segno così pesante, così opprimente, esiste solo sulla terra. In cielo, invece, c’è la leggerezza.   

Forza, vai avanti, Dio è con te

          Ho passato dei momenti molto duri. In particolare, in un periodo in cui ho avuto una reazione di insofferenza a un farmaco, durata alcuni giorni. Ero arrivata a un punto cruciale: ero nervosissima, mi tremava tutto il corpo e piangevo tutto il giorno. ­­ 

          Continuavo a dire ai miei genitori: «Ma Dio dov’è? Adesso che sto malissimo, ho addosso di tutto, Dio dov’è, lui che dice che posso pregare, può fare grandi miracoli, può alleviare tutti i dolori, perché non me li leva? Dov’è? Perché sta a guardare?». Ero arrabbiata, in quei giorni ho fatto una fatica tremenda a pregare, era proprio difficile.

          Mi sbagliavo, fortunatamente. Ne ho avuto la conferma il giorno in cui sono dovuta andare a Padova, per fare la radioterapia. Giunta in ospedale l’apparecchiatura si è rotta. Ancora chiedevo a Dio: «Dove sei?». Allora sono andata nella basilica di Sant’Antonio e mi sono inginocchiata a pregare, tranquilla. Vicino a me c’è una signora, mai vista prima. Non ci avevo fatto caso. Mi alzo per andare ad appoggiare la mano sulla tomba del Santo e arriva questa signora.

          Arriva e mette la sua mano sopra la mia mano malata che, voglio farvi notare, non era fasciata, apparentemente era una bellissima mano normale. Non mi ha detto niente, ma aveva un’espressione sul volto, come se mi volesse comunicare: «Forza, vai avanti, ce la fai, Dio è con te». Sono entrata arrabbiata, in lacrime, proprio in uno stato pietoso, sono uscita dalla basilica con il sorriso a cinquanta denti, con la gioia che Dio non mi ha mai abbandonata. Mai.

          Dio, molto probabilmente, mi è stato ancora più vicino in quel periodo: ero talmente disturbata dal dolore che non riuscivo a sentirlo vicino, ma in realtà penso che lui mi stesse stringendo fortissimo. Quasi non ce la faceva più. Una canzone speciale

          Strada facendo è una canzone speciale per me. Quando sono giù, ascolto questa canzone, nella versione cantata da Laura Pausini, la mia preferita, e mi dà una grande carica. Sì, mi dona speranza.

          Mi trasmette una sensazione strana, mi trasmette serenità. Strada facendo vedrai che non sei più da sola, strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo… È come se mi dicesse: «Non ti preoccupare, che piano piano tutto volgerà al meglio».

          Per la verità mi aiutano molto anche le canzoni di un cd di Chiara Luce. Una delle più belle s’intitola: Dio mi ama e già si capisce tutto. Un’altra s’intitola: Tutta per te. E a me viene da dire: «Signore, tutta la mia sofferenza io te la dono». Poi c’è Una vita sola: «Se hai una vita sola, vivila al meglio, attimo per attimo». Infine Luce, che dice: «Corri corri, brilla accanto a me, corri corri dimmi che non c’è più nulla da temere. Non ti fermare, non avere paura». La cosa strana è avere trovato, in una canzone che si può sentire comunemente alla radio e che conoscono tutti, un grande motivo di speranza. «Strada facendo vedrai che non sei più da sola…». Mi dice: «Vai avanti, dai che ce la fai, un gancio in mezzo al cielo lo trovi». Leggerezza mi dà… 

          Con la malattia, ho cominciato a pensare alla morte. Non avevo paura di questa cosa… Se dovrà accadere, posso dire che per me è uguale. Certo, mi piacerebbe vivere una vita lunga, realizzare tutti i miei sogni. Però io la morte la vedo come una bella cosa,non ho più paura di morire grazie a Chiara Luce Badano.

          So che dopo la morte c’è il Signore, ritorno da lui. Lui è tanto buono, mi prende tra le sue braccia. C’è la Madonnina. Che bello conoscerli! Non vedo l’ora di vederli,di poterli conoscere e dirgli grazie per tutto quello che fanno per me. Mi piacerebbe, quando dovrà accadere, se accadrà, vorrei che il Signore mi ricevesse per quella che sono, Giulia Gabrieli. Però, siccome a me piace essere sempre bella elegante, vorrei essere bella, elegante, ma quella che sono. Voglio il vestito che ho indossato alla comunione di Davide, che è tanto bello e mi sta tanto bene. Poi, in testa, sono un po’ indecisa se una parrucca o una bandana. Voglio che lui mi riceva per quella che sono. Ci vorrebbe proprio una bandana, sì, una bandana bianca. Un bouquet di fiori: quattro lilium, fiori da sposa, una rosa rossa al centro. La mia coroncina del beato Papa Giovanni Paolo II e poi sono a posto: niente trucco, niente di niente. Niente borsa, niente lustrini. Così, semplice. Solo con la mia coroncina al collo e basta. Niente bracciali. A parte quello che mi ha regalato Marija di Medjugorje. Basta, solo questo mi serve. Quando si è in Paradiso si prega tutto il giorno, dicono. Dovrei un po’ abituarmici a questa cosa, perché non ne ho tanta voglia, però va beh, le cose verran da sé… E poi, se si devono mettere le scarpe, voglio le ballerine bianche. Se invece non c’è bisogno, a piedi nudi, a piedi nudi per essere a stretto contatto col pavimento che ci sarà. Io mi immagino un pavimento pieno di nuvole. Non vi viene voglia di camminarci a piedi nudi? Eh, eh…

          Tutto morbido, che ci sprofondi dentro. Ci salti. Di qua, di là, di su, di giù. Un Paradiso come quello che disegnano nei cartoni animati. Io, il Paradiso, ecco, me lo immagino come: avete presente l’Era Glaciale? Quello, quando trova la ghianda enorme. Che ci sono tutte queste nuvole rosa, questo mega cancello dorato. Così, questo mega cancello dorato e tu, a piedi nudi, apri il cancello… Oh, è bellissimo…

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