La buona speranza

Orientamenti

Nella seconda parte vi sono i grandi orientamenti in vista dell’azione educativo-pastorale nelle nostre realtà salesiane.

Ripartiamo dal primo annuncio

«Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù» (At 8,35)

Un primo orientamento fondamentale per rispondere alle ispirazioni emerse nella prima parte del presente Quaderno di lavoro va nella direzione della riscoperta del Vangelo come “buona notizia” da annunciare sempre di nuovo, perché «il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (Spe salvi, n. 2).
Per questo il primo annuncio deve risuonare nuovamente nelle nostre realtà salesiane con la freschezza delle origini, nella consapevolezza che l’Italia e l’Europa sono davvero una terra di missione.
Nella pastorale dei giovani non si deve dare nulla per scontato. In un tempo in cui la cultura cristiana è dimenticata e perfino osteggiata, oppure non suscita più entusiasmo e passione, è opportuno ricominciare dal primo annuncio della fede. Che i ragazzi, gli adolescenti e i giovani sappiano poco o nulla circa la fede e il Vangelo è una situazione abbastanza comune nel nostro tempo. Ciò ci spinge a interrogarci su come affrontare il delicato processo di iniziazione alla vita di fede oggi.

Filippo e il funzionario etiope

Lasciamoci ancora una volta ispirare dal testo biblico e andiamo agli Atti degli Apostoli, un libro che ci offre un quadro delle origini cristiane. Lì il primo annuncio della fede è un elemento trasversale, sempre presente. Nel contesto degli Atti perfino la persecuzione diventa un’occasione per diffondere il Vangelo della gioia.
In tutto il Nuovo Testamento la parola “gioia” è presente in circa 75 occorrenze. I primi capitoli del Vangelo di Luca, così come quelli degli Atti degli Apostoli, sono avvolti da un clima di gioia ed esultanza. Nel loro impegno missionario, «i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo» (At 13,52). Nel momento della prima persecuzione, quando i primi credenti vennero dispersi, di fronte alla prima predicazione in alcune città della Samaria, l’effetto è molto eloquente: «E vi fu grande gioia in quella città» (At 8,8). Ancora, quando i primi missionari tornarono raccontando la conversione dei pagani, le loro avventure apostoliche suscitarono «grande gioia in tutti i fratelli» (At 15,3). E così il carceriere di Paolo e Sila, dopo aver ricevuto la parola del Signore e il battesimo, «li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio» (At 16,34).
Il primo effetto dell’annuncio e dell’accoglienza della fede è la gioia. Essa segna la differenza tra l’essere credente e il non esserlo. I discepoli di Emmaus, nel momento dell’incredulità, hanno il «volto triste» (Lc 24,17), così come quel giovane che, udite le richieste del Signore sulla necessità di seguirlo, «se ne andò, triste» (Mt 19,22). Proviamo ora a concentrare la nostra attenzione sullo stupendo racconto del battesimo del funzionario di Candace, regina d’Etiopia, da parte di Filippo. Ecco il testo:

26Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». 27Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, 28stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. 29Disse allora lo Spirito a Filippo:
«Va’ avanti e accòstati a quel carro». 30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». 31Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. 32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca.
33Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.
34Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». 35Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. 36Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». 38Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. 39Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. 40Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa (At 8,26-40).

È un racconto di accompagnamento e di annuncio. Guidato dallo Spirito Santo, Filippo si fa compagno di viaggio di un uomo in ricerca sincera della verità, che sta scrutando le Scritture ma è incapace di comprenderle. Discute con lui, si interessa di quello che sta facendo.
Soprattutto gli offre una nuova ed entusiasmante interpretazione della parola di Dio. Egli sta meditando su un passo difficile e doloroso, oscuro e incomprensibile. Testi che noi leggiamo durante la settimana santa, e che solo a partire dalla passione del Signore ricevono luce e forza, coerenza e verità.
Filippo pone il primo annuncio, che in verità è il principale e unico annuncio. Si dice molto brevemente:
«Annunciò a lui Gesù». Dobbiamo quindi pensare che il contenuto dell’annuncio sia il cuore dell’evento pasquale, ovvero il fatto che “il crocifisso è il risorto”, che il “servo di Jhwh” è esattamente il “figlio glorificato” perché ha dato la sua vita per la vita del mondo. Risuscitato dal Padre perché ha donato tutto se stesso con generosità.
E che cosa produce tutto questo? Primo, il desiderio di “entrare in Gesù” attraverso il battesimo, essere parte di una Chiesa che ha il suo comune denominatore dall’essere un popolo generato dalla morte e dalla resurrezione del Signore. Un popolo che non si fa da se stesso, ma che si riceve per grazia.
E poi che cosa rimane al funzionario dopo questo incontro di salvezza? Non cambia strada, ma prosegue il suo cammino. Non torna a Gerusalemme, ma torna a casa sua, verso l’Etiopia. Rimane, come frutto permanente dell’incontro con il Signore per mezzo della sua Chiesa, la gioia! E quindi, per dirla in forma semplice, la gioia è il sintomo del Vangelo ricevuto, il frutto permanente dell’incontro con Gesù, la sostanza attiva della vita cristiana, il volto amico dell’apostolato.

Risorse ecclesiali e carismatiche

Il volto di una Chiesa missionaria, così come la sta immaginando papa Francesco, ci porta a considerare la centralità del primo annuncio ai giovani come priorità decisiva. Un intero capitolo di Christus vivit è dedicato a questo “grande annuncio per tutti i giovani”, che può essere sintetizzato in questo passaggio:

Anzitutto voglio dire ad ognuno la prima verità: “Dio ti ama”. Se l’hai già sentito, non importa, voglio ricordartelo: Dio ti ama. Non dubitarne mai, qualunque cosa ti accada nella vita. In qualunque circostanza, sei infinitamente amato. […] La seconda verità è che Cristo, per amore, ha dato se stesso fino alla fine per salvarti. Le sue braccia aperte sulla croce sono il segno più prezioso di un amico capace di arrivare fino all’estremo: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). […] C’è però una terza verità, che è inseparabile dalla precedente: Egli vive! Occorre ricordarlo spesso, perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo solo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa (Christus vivit, nn. 112, 118, 124).

Il “criterio oratoriano” – che come sappiamo è composto di quattro aspetti che si richiamano e si completano reciprocamente: casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi tra amici – è il nostro modo di essere Chiesa oggi. In ogni nostra opera ognuno di questi aspetti va declinato a dovere. Il tema dell’annuncio esplicito è ben evidenziato nel fatto che siamo “parrocchia che evangelizza”, e proprio in questo tratto del nostro DNA apostolico è depositato il dinamismo specifico  dell’evangelizzazione. Prima di pensare a un itinerario di fede o anche al discernimento vocazionale, bisogna che verifichiamo se nel cuore dei giovani sia stato gettato il seme della fede attraverso un annuncio fondamentale. Alcune volte, anche nei nostri ambienti, diamo ingenuamente per scontato di avere a che fare con giovani cristiani, mentre spesso non c’è in molti di loro una conoscenza viva del mistero di Dio e una frequentazione fedele della vita ecclesiale. Oggi è sempre più chiaro che essere “parrocchia che evangelizza” significa dare il primato al primo annuncio della fede a tutti i giovani in tutti i nostri ambienti educativi.
In quanto appartenenti alla Famiglia Salesiana siamo convinti che non possiamo tacere ciò che abbiamo visto e conosciuto per mezzo della fede in Gesù, e tutto ciò ci spinge a condividere con tutti i giovani, nessuno escluso, la gioia del Vangelo. I giovani hanno bisogno oggi più che mai di ascoltare quello che possiamo definire il primo, principale e unico annuncio: per questo è importante che sulla nostra bocca

torni sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti (Evangelii gaudium, n. 164).

Dal contesto alle scelte

Il nostro contesto attuale non sembra dominato dalla gioia e dalla speranza. Perfino i cristiani rischiano di essere contagiati da un clima piuttosto cupo, incapace di vedere ciò che di buono si sta facendo largo con fatica e sta pian piano crescendo nel nostro mondo. D’altra parte fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Talvolta però, effettivamente, la fraternità stenta a decollare e domina il conflitto. Le “cattive notizie” riempiono continuamente le testate giornalistiche e i siti in perenne aggiornamento. Questo fa molto notizia, anche perché continua ad essere vero l’adagio “giornalistico” per cui una good news è sempre una no news.
Prima di tutto in ambito globale, dove in questi ultimi anni si sono inaspriti conflitti che sembravano sopiti. Nessuno davvero sa dove ci porteranno. La pulsione di morte sembra dominante tra gli umani oggi più che mai, anche perché la tecnologia è utilizzata in questa direzione: mai come oggi l’industria e la tecnica militare sono fiorenti e ricche in un’economia di guerra che ha smarrito ogni freno.
Ma poi anche in ambito ecclesiale si vive molto di competitività, di concorrenza e gelosia. L’attuale sinodo sulla sinodalità, che non è certo solo un gioco di parole, è un sintomo di quanto si stia facendo fatica a camminare insieme, a stimarsi gli uni gli altri, a voler emergere come profezia di fraternità in un mondo lacerato.
Rispetto a tutto ciò è necessario interrogarci in vista di una qualificazione del nostro compito di annuncio del Vangelo oggi.

[utilizzare un’impaginazione diversa rispetto al resto del testo per queste domande, divise in due blocchi: il primo più importante, il secondo di complemento]
Ci possiamo innanzitutto fare delle domande a partire dalle esigenze della speranza:

  • Siamo convinti fino in fondo che solo il Signore Gesù può portare gioia e speranza a questo nostro tempo? Viviamo la nostra vita attingendo a questa fonte?
  • È vero che viviamo nella fatica, ma siamo davvero in attesa di un bene certo, che in fondo è Dio stesso? Ci disponiamo, come cristiani, a riceverlo?
  • Come rispondiamo al forte desiderio di interiorità e di spiritualità di tanti nostri giovani? Siamo coscienti che cercano la gioia e la pace, e un ambiente sereno in cui crescere?
  • Impariamo a intravedere con intelligenza i segni del regno di Dio in mezzo al mondo di oggi? Stiamo purificando i nostri occhi per vedere i tanti germi di bene che fioriscono?
  • Siamo convinti che l’annuncio di Gesù sia il dono più grande che possiamo fare ai nostri giovani? Che una generica promozione umana non basti a dare pienezza ai loro desideri più profondi?

Ci sono poi degli interrogativi che ci vengono dall’ambito della fede in relazione alla speranza:

  • Davvero crediamo che il Vangelo sia una buona notizia per l’uomo d’oggi? Oppure ci lasciamo conquistare dalle narrazioni di sventura a proposito del futuro del cristianesimo?
  • Davvero riteniamo che la condivisione della fede sia il primo frutto della sua accoglienza? Oppure, se abbiamo fede, ci rinchiudiamo in piccole comunità chiuse e autoreferenziali?

Infine, siamo anche sfidati a proposito della carità, sempre in relazione alla speranza:

  • In che modo possiamo far fare esperienza ai giovani di essere figli amati da Dio? Quali esperienze di servizio e di spiritualità possiamo vivere con loro?
  • In che modo possiamo con loro annunciare il Signore Gesù ai più piccoli e ai più poveri? Quali strategie possiamo mettere in campo per coinvolgerli nell’evangelizzazione?

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