Si dice che non si vuole che nascano bambini handicappati. Cioè noi abbiamo deciso che gli handicappati è meglio che non ci siano, che non vivano. Allora decidiamo di non rianimare più chiunque abbia un ictus, un'ischemia o un infarto. Ma anche i sopravvissuti ad incidenti stradali, per esempio. Lasciamo crepare tutti quelli che stanno in coma (chissà come staranno quando si risveglieranno), e via dicendo.
del 10 marzo 2007
Dobbiamo chiarire bene la questione del bimbo sopravvissuto all'aborto all'ospedale di Careggi, a Firenze, e spiegare perchè ci sono gli estremi per un'azione penale.
 
1. Leggiamo sui giornali che il piccolo è stato assistito solo dopo venti minuti dalla nascita. E' omissione di soccorso? Spieghiamo.
 
Come avviene un aborto dopo i primi 90 giorni? Come un parto indotto. Vengono provocate le contrazioni, c'è il travaglio e la donna partorisce. Il feto, immaturo, non sopravvive al parto, e nasce morto, oppure muore subito dopo la nascita. Sì, perchè se viene espulso vivo, non si può più parlare di aborto, ma di nascita. Di grande prematuro.
 
Cosa succede quando nasce un grande prematuro? Succede che il medico non può perdere tempo a cercare il battito o a vedere se respira. Quando i grandi prematuri nascono sono ovviamente piccolissimi, i loro polmoni sono chiusi, il battito cardiaco può essere molto lento e difficile da trovare. Si potrebbero perdere minuti preziosi: intanto che cerchi il battito, il cervello non si ossigena e si danneggiano irreparabilmente centinaia di migliaia di neuroni. Allora il neonatologo dovrebbe rianimare di prassi, in questi casi. Se la rianimazione non dà effetti, allora non c'è niente da fare, e si lascia che muoia, o si verifica che sia già morto.
 
Nel caso del Careggi, invece il piccolo non solo non è stato rianimato, ma non ha avuto assistenza per venti, lunghissimi e decisivi minuti dopo la nascita: se lo avessero assistito, visto che si è dimostrato tanto forte da sopravvivere per altri sei giorni, sarebbe sopravvissuto?
 
'Siamo stati chiamati dall'ostetrica 20 minuti dopo la nascita del bambino e solo allora siamo intervenuti. Il piccolo fino a quel momento è rimasto senza assistenza. Forse se non avessimo tardato sarebbe potuto sopravvivere'. Lo dichiara Firmino Rubaltelli, che dirige il reparto di terapia intensiva neonatale del Careggi, lo ha detto al Corriere e  al Foglio. 'Fino a quando il piccolo è rimasto fra noi, prima del trasporto al Meyer dovuto alla mancanza di posto nel nostro reparto, ha ricevuto cure normali, non straordinarie. Solo farmaci per aprire i polmoni e facilitare la respirazione. Non so per quale motivo hanno aspettato prima di chiamarci' (dal Corriere).
 
Si dice che non si vuole che nascano bambini handicappati. Cioè noi abbiamo deciso che gli handicappati è meglio che non ci siano, che non vivano. Allora decidiamo di non rianimare più chiunque abbia un ictus, un'ischemia o un infarto. Ma anche i sopravvissuti ad incidenti stradali, per esempio. Lasciamo crepare tutti quelli che stanno in coma (chissà come staranno quando si risveglieranno), e via dicendo.
 
Noi vogliamo sapere cosa succede nei reparti di neonatologia degli ospedali italiani. E vogliamo sapere come viene applicata la 194. Perchè da tempo si dice che i sopravvissuti agli aborti tardivi (non chiamiamoli terapeutici, per favore) vengono lasciati morire senza assistenza. Sono voci, racconti, che nessuno si è preso la briga di andare a verificare. Ma che sono trapelati anche dagli articoli di questi giorni, per esempio dall'iniziativa del San Camillo a Roma, in cui la ginecologa Scassellati ha dichiarato che nel suo reparto chi fa un aborto tardivo firma un 'consenso informato' per non far rianimare il piccolo, qualora sopravvivesse. Sia chiaro: qua non c'entra l'autodeterminazione della donna o la 194. Questa è storia da codice penale.
 
In questo modo, con un 'consenso informato' di questo tipo, si scarica tutto il peso sulla donna, senza darle il tempo di essere informata come potrebbe. E infatti leggiamo oggi sul corriere che l'iniziativa della Scassellati non era stata approvata da nessun comitato etico dell'ospedale, e che 'É un infanticidio. Staccare la spina a un neonato malformato che sopravvive a un aborto terapeutico non è altro: un infanticidio', lo dichiara Claudio Donadio, direttore del dipartimento materno-infantile del San Camillo.  Leggiamo sul Corriere che la direzione dell'ospedale definisce l'iniziativa della Scassellati 'di particolare gravità' e annuncia l'apertura di un'inchiesta interna.
 
2. Bisogna verificare se c'è stata una violazione della 194. Vediamo perchè.
 
Per la legge nei primi 90 giorni di gravidanza non è reato abortire se lo si fa per motivi di salute della donna, motivi economici, sociali, etc. Dopo i primi 90 giorni lo si può fare in caso di pericolo per la vita della madre, oppure se il feto ha malformazioni tali da mettere in pericolo la salute fisica o psichica della madre (non si fa se il feto è malformato, ma se la malformazione del feto mette in pericolo la salute della madre. Può sembrare un giro di parole, ma non lo è. La legge non è eugenetica). Ma se il feto ha possibilità di vita autonoma, allora la donna può abortire solo se c'è pericolo per la sua vita, e non per la sua salute. Ad esempio: se la donna ha un'ipertensione che le fa rischiare la vita (pericolo di vita) , allora può abortire, ma se scopre che il figlio è handicappato e va in depressione (pericolo per la salute) non può abortire. Non solo: in questi casi si ha il dovere di rianimare il feto, se sopravvive. Nel caso del bambino del Careggi c'era possibilità di vita autonoma (22 settimane di gravidanza, la possibilità c'è, lo si sa a priori) e secondo la 194 si poteva procedere con l'aborto solo se fosse stata in pericolo di vita la madre.
 
Quando il feto ha possibilità di vita autonoma? Questo la legge non lo dice. Perchè non c'è un termine che si possa stabilire per legge, anche se è ovvio che a tredici settimane non sopravvive, mentre a 30 si. Di fatto, adesso il 40% dei nati a 23 settimane sopravvive. E sopravvivono anche a 22, chiaramente in percentuale minore.
 
Possibilità di vita autonoma significa che la gravidanza è a un punto tale che il feto può nascere vivo. La 194, in pratica, dice che a una donna che rischia la vita si può indurre il parto a qualsiasi settimana di gestazione, per salvarla, e si deve far di tutto per salvare anche il bambino.
 
 
IL FATTO
 
A Firenze è nato un bambino. Ma non doveva: alla sua mamma (nessuno, almeno oggi, ha nominato il padre) avevano detto che c'era la possibilità di una malformazione, «atresia dell'esofago»,  a cui si può rimediare per via chirurgica in oltre il 90% dei casi.  La signora ha deciso di abortire. Ma alla ventiduesima settimana di gravidanza il feto, sano, è sopravvissuto all'aborto, e adesso è ricoverato all'ospedale Meyer di Firenze in condizioni gravissime. Pesa mezzo chilo. La notizia è stata riportata da Repubblica, stamattina, in prima pagina.
Difficile rimanere indifferenti a una notizia del genere. Ma colpisce il modo con cui  è stata data: 'Abortisce per una malformazione che non c'è', 'purtroppo, solo dopo l'aborto si è scoperto che il figlio era sano' (corriere.it), 'Abortisce, ma il figlio è sano e vivo' (Repubblica). Il dramma, cioè, è che si sono sbagliati: il figlio era sano. L'errore è stato aver scambiato un sano per un malato. Abortire un probabile malformato, si può. 
Se l'aborto fosse riuscito, anche con la diagnosi sbagliata (e quindi un figlio sano) non ne avremmo mai saputo niente. E se la diagnosi fosse stata corretta, l'aborto non riuscito sarebbe stato un inconveniente, ma difficilmente sarebbe andato in prima pagina. Il caso è scoppiato perchè non è riuscito l'aborto e perchè era sbagliata la diagnosi. 
Se lo lasciano scappare anche insospettabili. Per esempio Rosi Bindi, pur augurandosi un lieto fine, dichiara candidamente: 'Gli errori medici esistono anche se non dovrebbero esserci, soprattutto quando c'e' in gioco la vita dei bambini e la maternita'. Auguriamoci di riuscire a contenerli il piu' possibile ed ad essere in grado, quando si verificano, di rimediare e supplire -ha concluso la Bindi- con grande solidarieta' alle conseguenze'.
Il problema è contenere l'errore medico, insomma: la diagnosi sbagliata. 
Rosalba Cesini, del Pdci, parla di 'recenti casi di malasanità' (!!!!) e denuncia la destra che vuole, secondo lei, smantellare la legge 194.
Potremmo fare un lungo elenco, purtroppo, di politici (anche dell'opposizione) e medici per i quali l'errore è nella diagnosi sbagliata. E per i quali, quindi, è normale abortire per un sospetto di malformazione, curabile.
La verità è un'altra: le diagnosi prenatali servono sempre più per selezionare i figli, e non per curarli. E la pressione sociale sulle donne in gravidanza perchè facciano tutti gli accertamenti possibili, è enorme. Difficile sottrarsi. Questa è la vera malasanità: con il paradosso che la gravidanza è considerata quasi una malattia, il cui esito deve essere un bimbo sano.
Si profila anche la violazione della legge 194: gli artt. 6 e 7 prevedono che   'quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto',  quando cioè il feto potrebbe sopravvivere fuori dall'utero,  si può abortire solo “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”. Pericolo di vita della donna - come ad esempio nel caso di una ipertensione altissima - non di salute - come ad esempio in una depressione . Inoltre 'il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”. 
In questo modo la 194  evita gli aborti a gravidanze avanzate. Se le cose stanno come riportate dai media, nel caso di Firenze non c'erano gli estremi per consentire ad un aborto, perchè la signora non era in pericolo di vita.
Assuntina Morresi
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