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Il trionfo di Mr. Scrooge

Sì, ha vinto Scrooge, e la gente assomiglia sempre di più alla sua maschera grottesca, disumana ed infelice, senza rendersene conto. E qualcuno ha pure il coraggio di sostenere che questo è un progresso...


Il trionfo di Mr. Scrooge

da Quaderni Cannibali

del 29 dicembre 2006

Mi è tornato tra le mani in questi giorni il racconto Canto di Natale che Charles Dickens scrisse nel dicembre 1843, e l’occasione è stata buona per leggerlo con attenzione, alla ricerca di qualcosa che avesse a che vedere con il nostro Natale di oggi. Voi conoscete quel racconto famoso e il suo famosissimo protagonista: quell’Ebenezer W. Scrooge (avaro, misantropo, gretto, materialista ed egoista) che disprezza il Natale e quelli che lo festeggiano, e poi finisce per convertirsi allo spirito natalizio, cambiando radicalmente la propria vita (e quella degli altri).

E’ interessante, per prima cosa, specificare che cosa intendesse Dickens con l’espressione “spirito del Natale”. Potremmo dire che è una particolare disposizione d’animo, alimentata da quella particolare atmosfera che si respira solo una volta all’anno, il 25 dicembre: “un giorno felice (a parte la venerazione dovuta alla sua sacra origine, anche se di ciò si può non tener conto), un giorno di allegria, di bontà, di gentilezza, di indulgenza, di carità, l’unico momento nel lungo corso dell’anno nel quale uomini e donne sembrano disposti ad aprire liberamente il proprio cuore, disposti a pensare ai loro inferiori non come a creature di un’altra specie destinate ad un altro cammino, ma come compagni di viaggio, del medesimo viaggio verso la morte”.

Devo candidamente confessare che a me, cattolico, questa definizione appare parecchio insufficiente e inadeguata, ma qui vorrei sottolineare un’altra cosa: lo “spirito del Natale”, così come Dickens ce l’ha specificato (con tutte le sue manifestazioni di bontà e solidarietà) è qualcosa che rende l’uomo veramente uomo, nei confronti di se stesso e degli altri, ed è ovviamente figlio di Gesù Cristo (anche se, precisa l’autore, “di ciò si può non tener conto”).

“Questa è la data più grande della storia – scriveva nel 1954 Dino Buzzati - , dopodichè si è cambiata la faccia del mondo”. Lo scrittore bellunese (che, essendo cresciuto nell'Italia cattolica, aveva meno problemi a parlare di Gesù Bambino) vedeva il Natale come uno “strano fenomeno”, perché è un giorno in cui gli uomini si comportano, o cercano di comportarsi, in modo contrario al resto dei giorni dell’anno e, miracolo dei miracoli, si sentono pure felici: “Si mettono a eseguire con entusiasmo sincerissimo il comandamento più spinoso di Nostro Signore Gesù Cristo, che è quello di amare il nostro prossimo!... Sissignori, oggi uomini e donne trovano più soddisfazione nella gioia altrui che nella propria. E questo, salvo errore, si può definire un bel miracolo”. Lo stupore, per Buzzati, è che per ventiquattr’ore “gli uomini trovano la massima gioia nel fare quello che è nei desideri di Dio”.

Dal che si arguisce che se gli uomini riuscissero a sostenersi tutti i giorni in questo volere, la società sarebbe certamente più giusta ed umana. E si arguisce pure che quanto c’è oggi di giusto ed umano nella nostra società ha radici profondamente cristiane.

Ma torniamo a Dickens. Mr. Scrooge, l’avaraccio protagonista, è un uomo che ha perso la strada, ed è quanto di più lontano vi possa essere da quelle radici. Tre spiriti si incaricano allora di metterlo di fronte alla realtà della sua vita. Il secondo, in particolare, lo costringe a guardare cosa succede in casa di un suo dipendente, Bob Cratchit, il quale nella sua numerosa e povera famiglia ha un figlio handicappato, Tiny Tim. Nella famiglia di Bob è proprio questo figlio il personaggio più importante e onorato, messo al centro di tutta la festa di Natale. Di casi come il suo, Scrooge aveva detto, in precedenza: “Se deve morire, meglio che così avvenga: diminuirà il numero della popolazione superflua”. Ora deve subirsi il rimbrotto del fantasma: “Uomo, se hai un cuore di uomo e non di pietra, cessa da certo linguaggio malvagio… Puoi tu forse decidere quali uomini debbano morire e quali vivere? Può darsi che agli occhi di Dio tu sia meno degno di stare al mondo che milioni di creature simili al bimbo di quel poveruomo. Signore! Sentire l’insetto che cammina su una foglia dichiarare che sono troppi i suoi fratelli affamati che si trascinano nella polvere!”.

Dite pure quello che vi pare, ma finchè la società è stata cristiana, e la secolarizzazione non aveva ancora devastato le coscienze e la morale della gente, un handicappato aveva la stessa considerazione di un uomo sano, anzi, maggiore considerazione, in quanto più simile a Cristo. Il grande Emanuel Mounier aveva una figlia idiota, cui era riservato sempre il posto di capotavola, chiunque fosse invitato a pranzo. Inoltre vi era un sacro timore di decidere della vita degli altri, o meglio, di decidere della vita in quanto tale. Perchè nessuna vita poteva dirsi “superflua”. E valori quali la bontà, la solidarietà, la carità, la gentilezza, erano considerati i più alti e i più importanti, tali da sopravanzare anche il successo mondano. Il ricco, avaro e materialista, era un personaggio da commiserare, come infatti è commiserato Scrooge nel racconto di Dickens.

Oggi si cerca di ribaltare questa scala di valori, e dobbiamo dire che l’opera è un bel pezzo avanti. L’uomo della strada sostiene che un potenziale handicappato è meglio sopprimerlo, finchè si è in tempo, perché la sua vita non sarà felice. E’ la morale di Scrooge. E’ lui il vero trionfatore. Mentre i tre spiriti sono oggi in ribasso, e comunque avrebbero il compito immane di convertire l’80 per cento della benestante società occidentale, ex cristiana. Dickens non poteva prevederlo e il suo fantasma del Natale futuro aveva la vista troppo corta.

Sì, ha vinto Scrooge, e la gente assomiglia sempre di più alla sua maschera grottesca, disumana ed infelice, senza rendersene conto.

E qualcuno ha pure il coraggio di sostenere che questo è un progresso…

Gianluca Zappa

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