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Il serpente, l'angelo e Maria.

Per noi vivere l'Immacolata è rivivere la nostra nascita, gli inizi del carisma salesiano, l'abbozzo della nostra storia. In quel 8 dicembre 1841 c'erano già tutti i colori di un quadro destinato non a stare appeso in un museo bensì ad animarsi nelle strade del mondo: don Bosco, un giovane, Maria, il desiderio di far conoscere Gesù, l'amorevolezza, una Chiesa, il segno della croce...


Il serpente, l'angelo e Maria.

da Teologo Borèl

del 09 dicembre 2011(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

Ci sono alcuni giorni nella nostra vita che hanno un significato tutto particolare… Pensiamo alla data della nostra nascita o al giorno del matrimonio o della professione religiosa o al giorno in cui abbiamo incontrato l’amore della nostra vita… Normalmente i giorni importanti sono quelli in cui si nasce o si rinasce. Solo ciò che nasce infatti merita di essere ricordato.

L’Immacolata per noi membri della Famiglia Salesiana è uno di questi giorni, uno di quei giorni che si attendono fervidamente, a cui ci si prepara con cura. Per noi vivere l’Immacolata  è rivivere la nostra nascita, gli inizi del carisma salesiano, l’abbozzo della nostra storia. In quel 8 dicembre 1841 c’erano già tutti i colori di un quadro destinato non a stare appeso in un museo bensì ad animarsi nelle strade del mondo: don Bosco, un giovane, Maria, il desiderio di far conoscere Gesù, l’amorevolezza, una Chiesa, il segno della croce… Sono questi i colori primari dell’iconografia salesiana. È così che siamo stati partoriti alla storia ed è qui che ogni tanto dobbiamo tornare per poi ripartire e rivivere ogni giorno, tra le pieghe e le piaghe della nostra storia, quell’incontro con Bartolomeo Garelli che per noi è il modello di ogni incontro con i giovani.

Le letture di questa solennità sembrano dirci che oggi è possibile continuare a dipingere questo quadro sognato da Dio; non dobbiamo però essere ingenui perché ogni vicenda umana è trapassata dalla vita e dalla morte, dall’amore e dall’odio, dalla grazia e dal peccato. L’angelo del Vangelo che porta liete notizie ci dona speranza e accende i nostri desideri di verità, bellezza e bontà, di radicalità nel vivere la nostra vocazione ma il serpente che fin dagli inizi ha presidiato la storia ci inquieta, ci disturba, ci intimorisce, ci fa paura, ci rattrista perché sappiamo che non è il personaggio di una favola artificiosamente inventata: è lui che ci può rubare il senso della nostra vita e lo stesso desiderio di senso e quindi la voglia di Dio.

 

Il brano della Genesi descrive non solo la storia degli inizi dell’umanità, ma la vicenda di tutti i tempi e di tutti i giorni. Come allora anche oggi il serpente, in modo molto viscido, aggira l’uomo promettendogli di poter divenire l’unità di misura di ogni sua scelta e illudendolo che l’onnipotenza gli appartiene. Come allora anche oggi l’uomo, tentato dal serpente, cova il sospetto che Dio, in fin dei conti, voglia togliergli qualcosa della sua vita, che Dio sia un concorrente che limita la nostra libertà e che noi saremo pienamente essere umani solo quando lo avremo accantonato. Come allora anche oggi “portiamo dentro di noi una goccia del veleno di quel modo di pensare illustrato nelle immagini del Libro della Genesi. Questa goccia di veleno la chiamiamo peccato originale” (Benedetto XVI, 8 dicembre 2005).

L’uomo vuole vivere slegato da Dio e slegato da tutto e da tutti e non si accorge che solo rimanendo “legato” ovvero vivendo dei legami profondi, che proprio perché profondi legano, acquisisce un senso e una forma di vita pienamente umana. Siamo fatti per amare ma l’amore lega. Ma proprio perché lega ti ridona alla storia in una nuova realtà liberata. Chi più ama più dipende. Non è schiavitù perché chi ama davvero non vede l’ora di obbedire alla persona da cui si sente amato. Non per niente si dice che per amore si fanno pazzie! In tal senso l’obbedienza, se vi è un legame con la persona amata, è il volto dell’amore. Coltivare l’individualismo significa invece non avere nessuno a cui obbedire e quindi nessuno da cui essere amati.

L’uomo che, come Maria, si abbandona nella mani di Dio non è un burattino, non perde la sua libertà ma semplicemente si butta tra le braccia dell’amato. E l’abbraccio dell’amato lega ma fa vivere. Tale abbandono in Dio è sempre un rischio così come è un rischio dire di sì per sempre al proprio sposo o alla propria sposa. In Maria, proprio perché concepita senza peccato, il rischio è stato un atto di pura fede.

 

San Paolo nella lettera agli Efesini ci mostra come il destino dell’uomo non sia il peccato ma la santità. È un tema caro a don Bosco che voleva che i suoi ragazzi camminassero nella santità per gustare un giorno la bellezza del paradiso. Siamo chiamati non solo ad amare ma a divenire amore: essere immacolati significa che anche l’ombra del peccato è stata debellata. San Paolo ci indica due strade da percorrere per progredire nella santità: la carità e l’adesione al disegno di amore della sua volontà.

La carità dovrebbe essere il nostro segno distintivo. Dovremmo profumare di carità e tappezzare tutta la nostra vita di gesti capaci di creare relazioni e non separazioni, vicinanza e non distanza, amorevolezza e non freddezza. La carità è semplicità, trasparenza, obbedienza al dolore del prossimo, osservanza del proprio dovere, sacrificio. Perdere tempo significa sprecare occasioni per vivere la carità. Per questo a don Bosco stava molto a cuore l’uso del tempo. A conclusione degli Esercizi fatti in preparazione alla celebrazione della prima Messa tra gli altri impegni si prese quello di “occupar rigorosamente bene il tempo” nella consapevolezza che il tempo libero non esiste perché tutto il tempo appartiene ed è abitato da Dio. Il tempo è il luogo in cui abita la carità.

L’altra strada indicata da san Paolo per camminare nella santità è l’adesione alla volontà di Dio, il desiderio di abbracciare la sua volontà che è sempre una volontà di amore. Cercare di essere uniti alla sua volontà e non ai propri capricci è una vera sfida. L’ascolto, il silenzio, la Parola di Dio, l’Eucarestia, il servizio… sono tutte occasioni che, mettendoci al muro, ci insegnano ad affinare la vista per saper cogliere la volontà di Dio. Condizione per vivere nella volontà di Dio è dare a Lui il primato in tutto quello che viviamo ovvero avere la coscienza che Dio abita tutta la nostra vita e tutti i luoghi e i momenti della nostra vita: la famiglia come la comunità, il lavoro come lo studio, le relazioni come i momenti di solitudine. In questo senso non è vero che Dio sta al primo posto perché Dio sta in tutti i posti e in tutti gli istanti della nostra vita. E così perfino il più piccolo dei gesti dell’uomo si inscrive in eterno nel cuore di Dio: un bicchiere d’acqua dato ad uno che ha sete, una visita fatta a chi è solo o ha sbagliato, una condivisione piccola con chi non ha nessuno.

 

Il Vangelo mette al centro Maria ma tutto avviene grazie ad un angelo. Anche oggi ci sono degli angeli che visitano la nostra vita e che vengono a portarci delle buone notizie. Sì, anche oggi gli angeli ci sono! Lasciamo che ci visitino e che disturbino il tran tran delle nostre giornate, lasciamo che gli angeli ci distraggano dalle nostre sicurezze per aiutarci a volgere lo sguardo verso l’alto.

Maria si è messa in gioco, si è fidata dell’angelo, preservata dal peccato si è lasciata abitare da Dio. Ma perché Dio ha scelto Maria? A questa domanda risponde la Vergine stessa: “Perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48). L’umile è affascinante agli occhi di Dio. L’umile può tutto con Dio perché Dio può tutto con chi è umile. Dobbiamo fare a gara nell’umiltà! Dobbiamo fare a gara per guadagnare gli ultimi posti non i primi. Maria è stata scelta proprio perché era vuota di sé e quindi capace di Dio.

È paradossale che il libro della Genesi preannunci che una donna umile, Maria, schiaccerà la testa al serpente. Ci si aspetterebbe un guerriero o per lo meno un uomo robusto a far guerra al male. E invece è Maria che vince il male a testimonianza che la forza per vincere il male non è la violenza ma l’umiltà, la carità, l’abnegazione, con termini salesiani diremmo l’amorevolezza. La vittoria di Maria sul male è un messaggio di grande speranza ma anche una indicazione molto chiara per noi: se vogliamo vincere il male, quel “veleno” che ci abita e che ci spiazza, dobbiamo fare la scelta dell’umiltà, dell’umile amore. I criteri di scelta di Dio ci obbligano a rivedere i nostri criteri di azione e l’impostazione della nostra vita.

Il sì di Maria scaturisce dall’incontro di due umiltà, quella di Dio e quella di Maria: Maria si arrende a Dio perché di fronte ad un Dio che si fa piccolo non ci si può non arrendere, e Dio si arrende all’umiltà di Maria perché Dio trova casa in coloro che gli lasciamo spazio. In questo incontro ancora una volta l’amore appare in tutta la sua drammaticità. Dio rischia così come Maria. Ma il rischio è la cifra dell’amore vissuto nel dramma della libertà.

 

8 dicembre 1841… sono passati 170 anni. «Voi - diceva don Bosco - compirete l’opera che io incomincio: io abbozzo, voi stenderete i colori. Ora c’è il germe...» (MB XI 309). Chiediamo a Dio per intercessione di Maria che ci aiuti a non spegnere il fuoco acceso da don Bosco, a saper riconoscere e vincere il serpente del male, a saper accogliere gli angeli portatori di buone novelle per aiutare i giovani a camminare nella santità. Non ci rimane altro che dire il nostro “sì” a Dio come Maria come se fosse il primo, come se fosse l’ultimo, come se fosse l‘unico.

 

I.B.

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