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Il segreto di un buon lavoro

App developer, data scientist, light designer, health coach... Sono alcuni dei mestieri del prossimo domani.


Il segreto di un buon lavoro

 

C’è un filo sottile che scorre tra parole come community manager, chief risk officier, educational consulant. E non è la lingua inglese. Si tratta della “creatività”.

È questa, insieme a una buona dose di competenze (o skill) e a un entusiasmo senza frontiere, l’asso nella manica dei lavoratori del futuro. Merito della tecnologia informatica, che nell’ultimo decennio ha fatto passi da gigante, abbassando l’età di chi riesce a interpretarne meglio le ricadute.

Così, al contrario di quanto accadeva fino a qualche anno fa, al centro delle nuove professioni non ci sono più i macchinari e la produzione, ma il cosiddetto “capitale umano”.

 

Tutti pazzi per le App

Non è il caso di scomodare Zuckerberg per scoprire giovani talenti e nuove professionalità. L’interesse delle multinazionali si rivolge già adesso al mondo della “Ict”, la tecnologia della comunicazione multimediale. Che si traduce in applicazioni per smartphone, tablet e computer: le App, un universo in cui la creatività è fondamentale.

Come per il diciottenne australo-inglese Nick D’Aloisio, che con il suo “Summly” ha ottenuto molta visibilità e un impiego ben pagato. Pensare che tutto è nato quando ancora aveva 15 anni e un gran bisogno di riassumere le pagine da studiare. La soluzione l’ha trovata con un algoritmo in grado di raccogliere e sintetizzare le informazioni su un argomento: lo ha adattato al sistema dei device di ultima generazione, ha trovato un finanziatore ed è diventato così uno dei più giovani App developer conosciuti.

A casa nostra Gabriele Cirulli, goriziano di 19 anni, ha preso spunto da un gioco per smartphone e ha ideato 2048, la App che intrecciando destrezza e calcolo ha conquistato mezzo mondo. Molti altri “campano” sulle App, più o meno famose. Semplici o complesse, l’importante è che siano funzionali: perché aiutano a orientarsi in città, guidano nel tour museale, facilitano la scansione di documenti o l’uso dei social, sono un dizionario-enciclopedia portatile.

Facili da usare, costano qualche euro per il download oppure, se gratuite, si ripagano con la pubblicità. E sono alla portata di tutti.

 

Dal Medioevo al Web

È addirittura leggendaria l’invenzione di un ingegnere di Ivrea, Massimo Banzi: ha costruito con il suo staff in un quasi monolocale una scheda hardware e software a sistema aperto. Si chiama Arduino, come il marchese d’Ivrea divenuto per pochissimo tempo Re d’Italia. È la base per prodotti di ogni tipo, dagli amplificatori ai minirobot agli strumenti di laboratorio.

Un oggetto pensato, realizzato e prodotto nel Belpaese e reso open source. «Sono convinto che combinando design e tecnologia, in cui abbiamo molto da dire come italiani, potremo toccare settori di mercato che non immaginiamo nemmeno», ha detto Banzi.

Un’area ancora non codificata, a dispetto delle formule matematiche, il Web. Ma proprio per questo giovane e vitale, in cui impazzano mestieri come il web master, che gestisce pagine e pagine di contenuti e grafica virtuale; il community manager, che interagisce con il popolo dei social media moderando e creando eventi a tema; il Seo (search engine optimizer), vero “mago” della Rete, in grado di sfruttare i segreti di Google e degli altri motori di ricerca per piazzare gli indirizzi che cura in pole position.

 

Un libro aperto

E chi non è programmatore? Se ci sa fare con i numeri, non deve avere paura. Una figura molto richiesta è quella del data scientist, esperto di statistiche prestato a Internet. Suo il compito di estrapolare i dati necessari per predire il futuro alle società che hanno chiesto la sua consulenza. Un indovino o un profeta? Nulla di tutto questo. Solo uno specialista che riesce a capire, in base alle informazioni a disposizione nel Web e con un pizzico di intuito, in che direzione in quel momento sta viaggiando il mondo.

Più o meno ciò che facevano i talent scout e i cacciatori di tendenze qualche tempo fa. Solo che allora si recavano materialmente nelle città più avanzate (soprattutto a Londra o a New York), osservavano e appuntavano. Adesso invece fanno tutto gli occhi diretti al monitor e le dita sulla tastiera.

Gli open data, cioè le notizie che noi stessi inseriamo nella Rete sotto forma di immagini, documenti e informazioni personali, costituiscono un’ottima fonte di lavoro anche per investigatori privati 2.0, esperti in risorse umane e giornalisti.

 

Non solo Web

Là dove la tecnologia va in soccorso dell’ambiente diventano protagonisti i “green job”, come l’ecodesigner, che coniuga i principi delle costruzioni con il rispetto del contesto naturale e le innovazioni più recenti nel risparmio energetico. Fonti rinnovabili e sostenibilità di progetti e materiali sono al centro dei pensieri anche dell’ingegnere ambientale.

In architettura è sempre più richiesta la figura del light designer: è specializzato nel valorizzare monumenti, piazze, strade attraverso un uso sapiente dell’illuminazione. Il che vuol dire progettare non solo la posizione delle singole luci, ma anche il loro colore, l’intensità, i tempi dell’illuminazione.

Tra le professioni che si combinano con la scienza si trovano invece il bioingegnere, attivissimo soprattutto in campo medico, e il climatologo, il guru delle aziende agricole, specie in tempi di meteo bizzarro come questi.

Anche lo sport e il tempo libero hanno il loro spazio. Nella top ten stilata dal social specializzato LinkedIn compaiono gli health coach, degli allenatori qualificati sul piano della salute e della qualità della vita.

 

Mondo Glocal

“Creatività” come parola d’ordine, non solo nelle singole professioni ma anche nel fare impresa. Sotto questo aspetto, il mix di Internet e globalizzazione ha aperto nuove strade tanto ai grandi brand internazionali quanto alle piccole e medie aziende legate al territorio, che si appoggiano al Web per farsi pubblicità e vendere i propri prodotti anche oltre i confini nazionali.

Ma cresce anche il numero delle startup made in Internet: società, in genere nel settore dei servizi, che già in fase iniziale sfruttano l’ambiente virtuale e una struttura snella (piccoli locali e molta tecnologia), per organizzare attività e rete di vendita. Giungono in loro aiuto altri strumenti dell’era 2.0, come il telelavoro o, al contrario, il coworking.

Nell’ultimo caso si tratta di condivisione degli ambienti da parte di professionalità diverse. L’obiettivo è puntare alla contaminazione reciproca di idee e magari di progetti, risparmiando sulle spese di gestione. E per racimolare il capitale necessario all’avventura, oltre ai fondi europei i nuovi imprenditori ricorrono al crowdfunding, una specie di azionariato diffuso, in cui i piccoli finanziatori si mettono in contatto tramite appositi siti con le società beneficiarie e ne traggono benefit in varie forme.

 

Studiare sempre

I nuovi mestieri, per quanto seguiti, non hanno ancora sostituito quelli vecchi. Ci si sono affiancati. Del resto, ogni impiego reagisce alla legge della domanda e dell’offerta, che cambia a volte in tempi brevissimi. In questi casi il consiglio degli esperti è di studiare molto seguendo le proprie inclinazioni e, quando possibile, trasformarle in un lavoro.

Nel suo discorso del 12 giugno 2005, Steve Jobs si è rivolto ai giovani neolaureati di Stanford con queste parole: «Stay hungry. Stay foolish». Si può tradurre come «siate sempre molto curiosi (affamati) e molto creativi (folli)». Lo ha ripetuto più volte, per essere certo che capissero.

Perché nel mondo che verrà i tipi di impiego potranno cambiare decine di volte. E sarà sempre la creatività a fare la differenza. 

 

 

Leo Gangi

http://www.dimensioni.org

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