Il diritto a giocare

Ogni minore è titolare di diritti inalienabili che dobbiamo riconoscere, custodire e promuovere. Come educatori siamo chiamati a costruire giustizia a partire dai più piccoli. Oggi parliamo del diritto di giocare

Anna Samoylova Anna Samoylova

«Ogni ragazzo ha diritto a correre, ridere, sbagliare, immaginare. Solo così può diventare grande davvero.»

Il gioco è una cosa seria

Non è un passatempo. Non è un riempitivo. Il gioco, per un bambino o un adolescente, è una forma essenziale di crescita. È nel gioco che si sviluppano le abilità sociali, si sperimenta la libertà, si impara il rispetto delle regole, si coltiva la creatività. È nel gioco che si esce dall’isolamento, si impara a perdere e a rialzarsi.

L’articolo 31 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia riconosce esplicitamente il diritto di ogni bambino al riposo, al tempo libero, al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età, e alla libera partecipazione alla vita culturale e artistica.

Eppure, quante volte i nostri bambini e ragazzi non hanno tempo per giocare, o non hanno luoghi sicuri per farlo, o sono troppo stanchi, stressati, soli?

Don Bosco: il cortile come luogo educativo

Don Bosco ha inventato l’oratorio partendo dal cortile. Quel luogo apparentemente “inutile” diventava culla di relazioni, scuola di vita, palestra di valori. Il gioco non era separato dall’educazione: era parte integrante del suo sistema preventivo. Non per caso uno dei capisaldi era: “Da mihi animas, caetera tolle… ma con allegria!

Nel cortile, Don Bosco non solo osservava, ma giocava con i ragazzi, rideva con loro, li accompagnava nella spontaneità del loro tempo libero. Il cortile diventava spazio di libertà e fiducia, dove il cuore si apriva e l’educatore poteva entrare in punta di piedi.

Anche oggi, in un tempo frenetico e digitale, recuperare il senso del gioco vero è una scelta pastorale.

Il gioco non è un lusso: è un diritto di giustizia

Non possiamo pensare il tempo libero come un lusso per pochi. In molte periferie del mondo, e anche d’Italia, i minori non hanno spazi sicuri per giocare. Campi abbandonati, piazze degradate, palestre chiuse, oratori in difficoltà: il gioco rischia di essere sostituito da schermi, noia o pericolo.

Anche questo è un problema di giustizia sociale: i bambini poveri hanno meno accesso ad attività sportive, artistiche o culturali. Le famiglie con meno risorse non possono permettersi corsi, viaggi, esperienze formative. Il tempo libero diventa disuguaglianza.

Eppure, promuovere il diritto al gioco significa anche prevenire la violenza, la devianza, la solitudine. Significa custodire l’infanzia. Significa dire a ogni ragazzo: “Hai diritto alla felicità”.

Tempo libero: luogo di libertà e responsabilità

Educare al tempo libero significa anche insegnare ai ragazzi a non sprecare il tempo, ma a viverlo con gusto, libertà e responsabilità. Lo sport, l’arte, la musica, la recitazione, il teatro, la danza, il volontariato... sono tutte forme di educazione alla libertà.

La pastorale del tempo libero è una delle grandi sfide dell’educazione salesiana oggi. Non si tratta di “riempire il tempo” dei ragazzi, ma di aiutarli a viverlo bene. Di accompagnarli a scegliere attività che li rendano più umani, più consapevoli, più felici.

Un oratorio aperto, un cortile vivo, una proposta sportiva ben pensata, sono strumenti di evangelizzazione potente.

Crescere non è solo studiare o obbedire. È anche giocare, esplorare, divertirsi, immaginare, respirare bellezza. Don Bosco lo sapeva bene. Per questo continuava a dire: «State allegri! Il Signore vi vuole felici».


  • Nella mia esperienza educativa, il gioco e il tempo libero sono considerati essenziali o marginali?
  • I luoghi dove vivo e opero offrono spazi sicuri per i giovani?
  • So educare i ragazzi a usare bene il proprio tempo libero?

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