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Fame e sprechi: ci risiamo...

Combattere lo spreco non è solo un'operazione di risparmio per le proprie tasche e per l'ambiente, perciò, ma «consente di stabilire relazioni tra le persone».


Fame e sprechi: ci risiamo...

 

Anche le briciole contano. Perché tutto quello che finisce nella pattumiera in famiglia, nella grande distribuzione o nell’industria porta a gettare via ogni anno 5,5 milioni di tonnellate di cibo ancora buono. Solo mezzo milione delle eccedenze prodotte in Italia, infatti, riesce a essere recuperato, finendo nelle mense dei poveri o nei pacchi viveri. Sono per lo più alimenti provenienti dalle aziende produttrici o dal mondo della ristorazione, anche se quasi la metà dello spreco italiano avviene sulle tavole domestiche. E lì può solo l’educazione e la sensibilità di ognuno.

 

Oggi un aiuto consistente per dar da mangiare agli affamati arriva dall’Europa, cento milioni di euro all’anno, ma dal 2014 tutto potrebbe cambiare. E l’Italia rischia di veder ridotti addirittura a un terzo i fondi per i bisognosi. Il pericolo, sventato lo scorso anno grazie all’impegno italiano – anche su "Avvenire" abbiamo dato ampio spazio a questa battaglia per un impegno solidale degli Stati a favore dei più poveri – rischia di ripresentarsi ora con gli stessi protagonisti. Per questo, il comitato "Insieme per l’aiuto alimentare" lancia un appello al Parlamento, perché nella legge di stabilità si corra ai ripari. Il pericolo reale, infatti, è quello di non riuscire più ad aiutare tutti, visto che il 70% dei prodotti distribuiti nei refettori della carità ha come benefattore Bruxelles. La rete di associazioni (Banco Alimentare di Roma, Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio, Croce Rossa Italiana, Federazione Società San Vincenzo De Paoli, Fondazione Banco Alimentare, Fondazione Banco delle Opere di Carità, Sempre Insieme per la pace) così preme perché venga stanziato l’equivalente dei fondi finora versati dall’Ue nel Fondo nazionale per gli indigenti, istituito un anno fa dal decreto sviluppo.

 

L’occasione è proprio il decennale dall’entrata in vigore della "legge del buon samaritano", che consente alle onlus la distribuzione dei prodotti alimentari ai bisognosi, «unico caso nel Vecchio Continente che ora anche le istituzioni europee iniziano a guardare con attenzione». Cecilia Canepa della Fondazione Banco Alimentare, co-promotrice della norma, sgombra il campo dal fatto che la 155 sia stata concepita per favorire solo alcuni soggetti. È una legge aperta a chiunque «voglia donare cibo non più vendibile, ma commestibile – spiega – molte aziende lo stanno facendo, mettendo in pratica il concetto della "responsabilità sociale"». Ma il 92% delle eccedenze industriali e il 16% dei consumi finiscono ancora in discarica.

 

Va riconquistata, invece, la logica del cibo inteso come dono alla base di molti progetti di raccolta viveri, come Siticibo del Banco Alimentare che in 9 anni ha salvato dal cestino 2,5 milioni di porzioni distribuendole nelle mense cittadine, oppure il programma Buon Fine di Coop Tirreno che nel 2012 ha evitato lo spreco di quasi 400mila prodotti. Il cibo buttato però è ancora troppo: 2,5 milioni di tonnellate all’anno nelle famiglie, 2,1 milioni nell’industria e quasi un milione nei supermercati. Secondo l’osservatorio Swg di Last Minute Market le perdite alimentari corrispondono quasi all’1% del Pil nazionale. Ogni italiano, difatti, spreca in media 76 Kg di alimenti all’anno; in sostanza, quasi un quarto della spesa domestica finisce nei rifiuti.

 

Combattere lo spreco non è solo un’operazione di risparmio per le proprie tasche e per l’ambiente, perciò, ma «consente di stabilire relazioni tra le persone». Il meccanismo innescato dalla legge del buon samaritano, difatti, è un modello che crea «solidarietà, sviluppo sostenibile, educazione al consumo consapevole». Roberto Izzi, responsabile del settore aiuti alimentari della Comunità di Sant’Egidio, però ha paura delle novità che arriveranno dall’Europa.

 

«Senza aiuti Ue - dice infatti - si ferma il programma Agea che copre la maggior parte dei pasti nelle mense». Per questo lo Stato deve far partire presto il Fondo creato dal Salva-Italia, perché «potrebbe addirittura moltiplicare quello che si può fare adesso».

 

Educazione all’utilizzo e sensibilizzazione al recupero, sia in azienda che nel privato, sembrano l’unica strada da seguire per aumentare le tonnellate di cibo da offrire ai bisognosi. Solo a Roma la Caritas ha visto impennare del 12% nell’ultimo anno le richieste di aiuto, ricorda Margherita Lo Re, «soprattutto di anziani soli e famiglie con bambini». Avere cibo da offrire così, conclude, non significa solo sfamare «ma stare accanto e ridare dignità alle persone, recuperare normalità».

 

 

Alessia Guerrieri

 

http://www.avvenire.it

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