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Faccio camminare i lebbrosi

Incontro con Lisetta Fangliulo, volontaria VIS. «Da quando ho conosciuto don Bosco e mi sono innamorata del suo carisma, del suo progetto, ho preso l'impegno di camminare sulle sue orme, come educatrice, impegnandomi per i bambini e i giovani. Sentivo, però, nel mio cuore di avere ancora un debito come figlia di don Bosco: uscire per le strade e cercare gli ultimi».


Faccio camminare i lebbrosi

da Quaderni Cannibali

del 31 maggio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

          «Da quando ho conosciuto don Bosco e mi sono innamorata del suo carisma, del suo progetto, ho preso l’impegno di camminare sulle sue orme, come educatrice, impegnandomi per i bambini e i giovani. Sentivo, però, nel mio cuore di avere ancora un debito come figlia di don Bosco: uscire per le strade e cercare gli ultimi».

Com’è iniziata la tua avventura?

          Sono cresciuta nell’ambiente salesiano fin da piccola e soprattutto ho avuto una famiglia che mi ha educato secondo autentici principi cristiani. Dovevo solo metterli in pratica! I primi passi “mondiali” li ho fatti grazie ad alcuni Salesiani della mia parrocchia i quali sono partiti missionari...una parrocchia dove lo spirito di mondialità aleggiava costantemente.

          Ho insegnato religione, inseguendo il sogno durante le vacanze estive, prima con esperienze di animazione ed educazione per i ragazzi sia in Italia sia in Bolivia, dove la mia Ispettoria (la Veneta Est) aveva delle missioni; poi, nel 2000 e 2001 qualche mese in Cina grazie alla presenza di un missionario salesiano che era stato direttore dell’oratorio di Pordenone, città da cui provengo.

Come sei arrivata a Macao?

          Fin dall’inizio, quando mi è stata fatta questa proposta, l’ho vissuta come una prospettiva strana, diversa dal solito: non l’Africa, paese missionario per eccellenza, non l’America Latina, paese dove sembrano abbondare i ragazzi di strada o le persone che vivono tra le immondizie. Niente di tutto questo! Ma la Cina, un Paese che secondo la mentalità corrente sa poco di povero e sottosviluppato, sa poco di missionario e poco amato.

          In Cina è arrivata la conferma del mio sogno: vi sono rimasta prima per tre anni, poi altri due e poi… cercando di lavorare e vivere con questa gente.

È stato difficile?

          Non posso nascondere le difficoltà che ho incontrato, le scelte costose, le tappe di verifica più di quante pensavo. Con Dio non si scherza e se gli domandi una cosa Egli te la dà e se ce n’è bisogno picchia sodo.

          Inizialmente il progetto di tre anni era di costruire protesi transtibiali per quelle persone che avevano subito amputazione a causa della lebbra; poi insegnare a due ex-ammalati hanseniani la tecnica, in modo da poter continuare da soli e dar vita a un laboratorio di protesi. Avendo fatto studi classici bisognava mettersi al lavoro, bisognava riprendere a studiare.

Hai fatto studi particolari?

          Mi sono preparata prima di tutto dal punto di vista linguistico (inglese e cantonese), ho frequentato i laboratori di una ditta tedesca che costruisce arti artificiali, ho studiato una cultura totalmente diversa dalla mia, ho letto tutto quello che poteva esserci sul campo della lebbra, dell’AIDS e alla fine Dio, con grande pazienza, ha vinto. Dopo 10 anni posso dire che i cinesi sono la mia seconda famiglia (lascio al primo posto mio papà, mia mamma e i miei fratelli).

Sfide?

          Le sfide inizialmente sono state tante: lasciare un mondo pulito per un mondo sporco, un mondo organizzato per un mondo che vive alla giornata, un mondo di amici per un mondo di ignoti, un mondo conosciuto e comodo per uno sconosciuto, scomodo, in cui ci si sente soli; un mondo fatto a misura per te per uno che non è tuo e ti costringe a una vita bislacca e spartana.

Come sei stata accolta?

          All’inizio la mia presenza non era compresa – una ragazza che fa questo servizio senza retribuzione, mangiando tutto quello che si muoveva (ovviamente cotto), dormendo sul duro, lontano da casa. La gente credeva che avessi un guadagno per tutto questo, insomma la parola gratuità era sconosciuta nel loro vocabolario. Mi ricordo che uno di loro, uno dei primi cattolici del villaggio, mi diceva Lisetta “noi abbiamo la fede ma tu hai l’amore”. Che impegno!

E oggi?

          Attualmente il laboratorio di protesi e scarpe ortopediche viaggia da solo a tal punto che il servizio si è esteso in diverse Regioni della Cina. Ovviamente il mio lavoro è cambiato e si è esteso: promuovo e coordino progetti, seguo il sostegno a distanza, organizzo corsi di formazione per lo staff che lavora con noi, ma soprattutto mi opero per creare una mentalità più mondiale che settoriale, una mentalità che porti queste persone ad aprirsi al resto del mondo, ad altri esseri umani e a poter proclamare liberamente di essere onesti cristiani e quindi buoni cittadini, insomma figli di Dio. Ed è la testimonianza che parla a questa gente. Persone che erano lontane dalla società a causa della malattia, hanno ritrovato nei piccoli lavori di ogni giorno e quindi nell’aiu-to reciproco vera e autentica pasqua quotidiana. Coltivare piccoli pezzetti di terra, lavorare nel laboratorio delle protesi, aiutare nella clinica mobile, accompagnare a fare la spesa al mercato del paese vicino coloro che conoscevano solo la sedia a rotelle sono dei piccoli esempi di paradiso.

Soddisfazioni?

          Tante. Sicuramente quello che merita un ricordo speciale è un avvenimento che ci ha visti protagonisti qualche tempo fa, anzi che ha visto in prima fila persone che non erano mai uscite dal villaggio dopo la scoperta della malattia. Ecco organizzata una visita a Macao in occasione della reliquia di don Bosco che sta girando il mondo. Ragazzi, che esperienza, che emozione! Grazie a don Bosco questa gente ha potuto ricevere quello che per noi può essere scontato: un passaporto, un permesso di uscita, entrare in un altro Paese. Mi sono commossa, nel vedere la loro fede semplice ma vera durante l’adorazione, ho provato gioia nel partecipare con loro alla processione e che fatica, sotto il sole chi con la protesi, chi con le piaghe dovute alla malattia.

Linda Perino

http://biesseonline.sdb.org

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