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Dobbiamo aiutare i giovani a capirsi- Intervista a Don Antonio Mazzi

Intervista a don Antonio Mazzi sul mondo giovanile: ascolto e comprensione sono le parole chiave per riequilibrare il rapporto genitori ‚Äì figli mentre l'amicizia è il passo intermedio che porta ad un sano sviluppo dell'affettività.


Dobbiamo aiutare i giovani a capirsi- Intervista a Don Antonio Mazzi

da Attualità

del 27 febbraio 2007

Don Antonio Mazzi è presidente della Fondazione Exodus Onlus e sacerdote da sempre attento alle problematiche giovanili. Lo abbiamo incontrato per scattare una fotografia sulle luci e le ombre del rapporto generazionale, sull’esigenza di modelli coerenti e sugli esempi di vita affettiva che la società odierna propone. Si tratteggia così un quadro in cui i padri devono conquistarsi un ruolo ben distinto da quello della madre, gli adulti devono imparare ad ascoltare e la scuola a dialogare con la famiglia, mentre la Chiesa deve saper tornare a vivere in mezzo ai giovani per ricondurli al dialogo con Dio e ai valori della religione. La cronaca, quasi ogni giorno, parla di fenomeni di bullismo in aumento tra i ragazzi… 'Dobbiamo aiutare i giovani a capirsi. Molte volte il bullismo è anche la non conoscenza della propria aggressività. Oggi lo sviluppo fisico dei nostri adolescenti è molto veloce – e non solo dal punto di vista dei tempi – per cui nel giro di poco i ragazzi si trovano stranieri nel loro corpo. Se l’aggressività non viene controllata, è chiaro che emerge contro gli altri o contro se stessi: nel primo caso si scatenano episodi di bullismo, nel secondo si manifesta sotto forma di anoressia o alcolismo…'

Quale ruolo hanno, e quale dovrebbero avere, gli adulti di fronte alle varie forme di disagio – più o meno espresse - dei giovani?

'Gli adulti devono ascoltare questi giovani, soprattutto i padri devono farlo! Dobbiamo essere testimoniali, aiutare i ragazzi a capirsi perché aggredendoli, riempiendo i giornali e criminalizzandoli, facciamo solo il loro gioco. Rimangono ancora più soli ed aggressivi. Tra l’altro, l’adolescente si rapporta con l’adulto in modo polemico perché questo è il suo modo di fare: un motivo in più per aiutarli a capirsi e riconquistare lo spazio per un dialogo sereno. Seconda cosa, occorre che noi adulti facciamo gli adulti. Manca soprattutto il ruolo del padre: magari in casa c’è, ma si atteggia o a padre padrone quale retaggio del passato o a mamma fasulla. Madre e padre sono due ruoli ben distinti. Senza padre l’adolescente non fa il secondo passo della vita che lo porta a crescere: il primo gliel’ha fatto fare la madre mettendolo al mondo, ma quello che lo conduce dalla casa in seno alla società necessita in particolare dell’aiuto del padre'. Come si inserisce il compito formativo della scuola in questo scenario? 'Famiglia e scuola sono le due gambe della società che devono camminare insieme. In questo momento, però, si stanno facendo la guerra: i genitori vorrebbero una scuola idilliaca e gli insegnanti vorrebbero una famiglia idilliaca. Non è possibile! Io li definisco due purgatori. Questi due mondi devono capire che bisogna collaborare per il bene dei ragazzi; la società necessità che queste due gambe camminino coordinandosi bene'.Partendo dal presupposto che l’esigenza dell’affettività è innata in ogni uomo, non crede che in questo particolare periodo, in cui si parla spesso di Dico e coppie di fatto con conseguente caduta della famiglia “tradizionale”, i ragazzi si possano sentire confusi sui vari modelli di vita affettiva? 'Siamo noi che facciamo confusione confondendo spesso l’affettività con la sessualità. Bisogna aiutare i ragazzi a far chiarezza in questa differenza mediante la definizione dell’amicizia. Infatti, i tre momenti affettivi sono l’amicizia, l’innamoramento e l’amore. Molte volte i nostri ragazzi, essendo soli, vanno subito ad un rapporto privilegiato ed unico che rovina tutto, cioè saltano alcuni passaggi. Anche qui si tratta di spiegare cos’è l’amicizia e cos’è il gruppo, senza fraintenderlo con il branco. Non abbiamo più pazienza, denunciamo subito situazioni apparenti anziché dialogare e ascoltare i ragazzi. Intorno all’affettività ruotano anche le problematiche legate al cambiamento del corpo durante la crescita: è tutto collegato. Con la mediazione dell’amicizia, invece, tutto ciò diventa più facilmente contestualizzabile per loro. Inoltre, oggi, si vuole fare tutto in fretta e prendere scorciatoie: soluzioni che sembrano semplificare, ma giunti in fondo alla via ci si accorge di aver sbagliato'.

Molti atteggiamenti sono indotti nei ragazzi dai tanto discussi “reality show”…

'Il problema non sta nel reality show, piuttosto nel fatto che tutta questa società è ormai un reality show. E’ una manfrina che ci portiamo dietro: la televisione esterna solamente cosa noi viviamo. Quello che succede dentro le famiglie molte volte è peggio degli stessi reality show; la televisione, anziché aiutare i ragazzi a capire, corre il rischio di esaltare aspetti negativi come l’esibizionismo a tutti i costi. Se noi li banalizzassimo non avrebbero un tale peso tra i ragazzi, invece siamo sempre pronti ad aggredirli accrescendone anche il potere di emulazione'.

Quali opportunità di dialogo costruttivo si possono sviluppare con i giovani? 'Oggi è il tempo del dialogo: dobbiamo avere il coraggio però di spegnere un po’ i cellulari, la play-station, i computer… Mai come oggi i padri possono essere a casa per cena e decidere di spegnere la televisione per parlare con i figli o avere il sabato e la domenica liberi per stare con loro…'

Gli oratori lamentano cali di presenze e a scuola l’ora di religione viene scelta sempre meno ma, nonostante ciò, molti sondaggi parlano di giovani più attenti alla spiritualità e che si pongono domande esistenziali. Come si può descrivere il rapporto giovani - fede?

'I ragazzi fanno molta fatica a rapportarsi con la religione, è più facile parlare del binomio giovani e fede. La religione, nell’immaginario giovanile, è facilmente abbinata all’andare a messa la domenica e ai sacramenti; la religione li richiama a delle regole da osservare. Credo che oggi, più che mai, i giovani sentano un forte bisogno di Dio, solo che è inespresso. Attraverso la fede si possono riavvicinare alla religione con tutto ciò che la caratterizza. La Chiesa deve uscire dalla porta della chiesa: i preti non devono aver paura a tornare in mezzo ai giovani. Bisogna ricordare come ha operato Don Bosco: prima è andato in oratorio per poi condurli in chiesa. Noi, invece, abbiamo fretta. E’ di sicuro importante prepararli alla comunione e alla cresima, ma se andiamo dritti così il giorno dopo la cresima spariscono subito. Avvicinandoli prima a Dio con un dialogo sincero che li faccia sentire protagonisti e compresi, in un secondo tempo - e gradualmente - sono loro stessi a capire che all’interno di questo rapporto esistono anche dei precetti e delle “regole”.

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