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CRONACHE DALLA SCOGLIERA - Storia di una pietra che imparò l’amicizia - giorno 6

Ci sono cose che gli uomini possono fare, le pietre no. È questione di natura. Ci sono cose che gli uomini possono fare, ma che non fanno. È questione di cuore.


CRONACHE DALLA SCOGLIERA

Storia di una pietra che imparò l’amicizia

 

Giorno 6

2° marzo 2020  

 

Passeggiano centinaia di orme sulla spiaggia vicino a noi. I soliti schiamazzi, il gelataio, il cielo azzurrissimo senza nuvole, nemmeno una. I costumi colorati fanno a gara con gli spicchi degli ombrelloni: gialli, bianchi, blu, verdi, arancioni, rossi. Rossi così rossi che Stella si sta scolorendo, ha ancora sete, ma io non ho più niente da darle. Le farei ombra, se fossi la grande montagna sopra di noi, ma questa sembra spostarsi e lasciare spazio ai raggi del sole. Le darei acqua per sempre, se fossi il mare, il mare che oggi è distante e mostra il deserto tra noi e le sue onde. Le racconterei una storia, per farle passare un po’ il tempo, se solo ne spessi una davvero. La realtà è che tante cose non le so, io, nonostante sia una pietra. Faccio finta di ascoltare, quando l’onda grande mi parla. Ci metto tutta la buona volontà, davvero sapete, ma poi va sempre a finire che mi addormento. Però adesso vorrei tanto conoscere una bella storia per potergliela raccontare, a lei e alle altre stelle senza mare. Sono centinaia (sì, noi pietre sappiamo anche contare). Riempiono tutta la scogliera, è impressionante. Sono un lungo cordone rosso che si spegne, lento. Arriva fino alla spiaggia, accanto alle sdraio e ai secchielli. Ma nessuno sembra essersene accorto, di questo lento e atroce martirio. Noi sì, noi pietre sì: un silenzio tale non si sentiva da decenni. Non si sente una voce, nessuna sa raccontare storie, nessuna può fare ombra, nessuna può rinfrescare.
Continuo a guardare gli uomini. Io ho fiducia in voi, anche se può sembrare il contrario. Ci sono cose che voi potete fare e noi no, è molto semplice; poi il fatto che queste cose dobbiate farle e non le fate è un’altra questione. Io vi guardo, uomini, distesi con la pancia sulla sabbia e il didietro spaparanzato davanti al sole. Giratevi, per carità, che al sole non piace guardare le vostre natiche. E smettetela di arrostirvi come salsicce, alzatevi sulle gambe che avete per natura e venite almeno a raccontare una storia della buona morte a queste povere stelle. Alzatevi, su, vi dico! Non mi ascoltano. Non ci credo che non mi sentono, tutti possono sentire parlare una pietra. Ma siete uomini, quasi dimenticavo, voi non fate quello che potete fare. Infatti, guarda, Stella! Un bambino! Oh, un bambino si è avvicinato a una piccola stella: la prende in mano, ma con che delicatezza, e la osserva da vicino, le parla sottovoce, chissà che le dice, poi l’onda mi racconterà. Guarda il mare lontano e si avvicina a piccoli passi. Saltella un po’, quando piccole creste frastagliate di conchiglie che affiorano dal fondale gli punzecchiano il piede. Un’onda gli sfiora la caviglia, lascia un po’di schiuma tra le dita, poi torna. Il bambino fa ancora qualche passo, poi si china, con i braccioli arancioni che lo rendono ancora più goffo, e lascia piano la stella nell’acqua. Una stella è salva. Non ci avrei mai creduto, ma una stella è di nuovo rossa, rossissima.  

 

 


testi: Anita Marton 

grafiche: sr. Giulia Collodel 

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