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Come la carezza di Dio

Divagazioni di un lussurioso d'affetto che non sopporta i farisei e il vile negazionismo del peccato. «In quei primi giorni può capitare che mentre sei a letto, mentre ti appropinqui a cogliere il frutto del desiderio, lei improvvisamente si sottragga all'immagine della tua fantasia erotica nello scanso lieve, affettuoso, di un bisbiglìo. “Pensa come deve essere la carezza di Dio”. Ora non vi è alcun dubbio che Dio debba anch'Egli avere una Sua speciale concupiscenza e desiderare la Sua creatura come un uomo desidera in cuor suo una donna...».


Come la carezza di Dio

da Quaderni Cannibali

del 30 luglio 2006

Nei primi giorni di matrimonio si sa che la sensualità è scatenata e l’eros corre al galoppo. Almeno così succedeva una volta, quando la convivenza era malvista e poco frequentata per l’insulsaggine che è. E succede ancora oggi quando alle donne non si fa prima il tagliando e al matrimonio non arriva a conclusione di un certo rodaggio. In quei primi giorni può capitare che mentre sei a letto, mentre ti appropinqui a cogliere il frutto del desiderio, lei improvvisamente si sottragga all’immagine della tua fantasia erotica nello scanso lieve, affettuoso, di un bisbiglìo. “Pensa come deve essere la carezza di Dio”. Ora non vi è alcun dubbio che Dio debba anch’Egli avere una Sua speciale concupiscenza e desiderare la Sua creatura come un uomo desidera in cuor suo una donna. Poiché Dio ci ha fatti per essere creature buone, naturalmente attratte dall’altro sesso (e non, come dice la nuova linea dell’Organizzazione mondiale della sanità, per essere attratti dall’idea di “amore”, tutta mentale e tutta sghemba della gaia e gay propaganda sentimentale). Dio ci ha concupiti dandoci la vita e la carne per cui “uomo e donna saranno una cosa sola”. E non a caso, nonostante il Manzoni in “Fermo e Lucia” dichiari di non aver voluto raccontare la passione d’amore per non irretire suore, fanciulli e vedove (ma poi lo stesso Manzoni celebra il trionfo delle passioni nella monaca di Monza e, di più, fa arrivare l’Innominato alla verità della vita passando per il rapimento e, si suppone, il progetto di stuprare Lucia), la Bibbia, che è la parola di Dio che passa attraverso i suoi preferiti, celebra la concupiscenza nel “Cantico dei Cantici”, benedice l’amore sensuale dell’uomo e della donna. La Bibbia celebra la brama della carne che, se riflessa adeguatamente fino alle sue ultime conseguenze, non finisce nel trantran della macchina da cialis dell’“Elogio delle signore mature”. Ma nella caritas ratzingeriana sorgente di popolo dell’“Annuncio a Maria” di Claudel. In verità, “non viviamo che per resistere, per ricominciare la misteriosa lotta d’Israele”. In verità, niente al mondo ci farà amare la morale.

“Pensa come deve essere la carezza di Dio”. A volte sono ancora là che ci penso. E penso che dentro questo pensiero in cui non si finisce mai di buttarci l’occhio ci sia tutto il segreto che rivela, e al tempo stesso vela, la forza infinita dell’amore. E non solo tra un uomo e una donna. A questo riguardo ci fu un Papa, Giovanni Paolo II, che da cardinale, poeta e filosofo, riflettè a lungo su questo mistero. Ci fece un libro (“Amore e responsabilità”) che ogni saggio prete dovrebbe consigliare ancora alle coppie di fidanzati (invece che opprimerli con quei corsi per badanti del sesso) prima di andare all’altare e in cui viene colta con finezza e profondità (che gli psicologi della coppia si sognano) la dinamica del rapporto uomo – donna in tutte le sue declinazioni, comprese quelle igieniche.

Pure, ricorrente in quel libro, come nella teologia cattolica (sto parlando di quella più intelligente, non dei prontuari farmaceutici del pietismo religioso) c’è qualcosa che, essendo figlio della rivoluzione antropologica borghese e consumista, personalmente non sono mai riuscito a fare mia. La questione etica. Che è sacrosanta, intendiamoci. Ma che per il figlio del secolo, essendo un vero e proprio handicappato della volontà affettiva, un impotente sotto il profilo dell’energia morale, è come un richiamo a vanvera. Ma forse qualche ragione ce l’ha anche l’handicappato se un giorno, quando era pur sempre una “foglia frale al vento” e niente sapeva oltre a un certo istinto, gli venne affidata una responsabilità su un gruppo di ragazzi (ed erano sopra il migliaio) e gli venne detto “dovrai imparare ad amare molto”.

Forse una ragione c’è, per gli handicappati e non, di sentire troppo stretta la porta della morale e dell’etica, se una volta anche una certa ragazza ebrea che era stata allieva di Romano Guardini a Berlino e poi, dopo essere emigrata in fuga dal nazismo a Chicago, tornando nel Dopoguerra in Germania e andando a risentire una lezione del maestro, che nel frattempo si era trasferito all’università di Monaco, scrisse all’amico Karl Jaspers, vado a memoria, “sempre l’aula piena all’inverosimile, tutti pendono dalla sua bocca. E’ un grande. Ma è pur sempre etica. Completamente insufficiente”. Quella ragazza era una filosofa tutt’altro che sprovvista di energia morale e di volontà affettiva, dunque non una handicappata come noi, figli miserabili della Chernobyl spirituale della nostra epoca. Eppure aveva intuito bene che la questione decisiva della vita umana non è etica, ma metafisica.

Ora, anche qui la parola è grossa. Ma basta intendersi: cos’è che colpisce sempre nel segno? Un discorso o un’esperienza? Non si conosce se non quello che si incontra. Ma l’incontro non è il milione di volte che ci siamo incontrati tra gente che si conosce da sempre o gente che si è vista una volta. Un incontro, che può succedere un momento dopo la milionesima volta che ci si vede o la prima e l’ultima volta che ci si imbatte in una certa persona, è un avvenimento che colpisce nel segno, che ti lascia un’impronta, che ti rivela una verità per la vita. “Dovrai imparare ad amare molto”. E’ così che inizia la vita oltre la concupiscenza, la quale è la condizione più naturale che ci sia dopo la Chernobyl della cacciata dall’Eden. Solo uno che ti ama può accenderti all’amore oltre la cupiditas. Chi sei tu che nella notte ti introduci nel mio segreto? Chi sei tu che riempi il mondo della tua assenza? Ma può anche essere un Eduardo, trentenne di Valencia incrociato a un happy-hour e che ha conosciuto i ciellini spagnoli via internet. Una sera, al ventesimo piano del calle Xativa, su un attico pieno di belle ragazze, chiede a un prete: “Questa compagnia mi affascina, ma non capisco che cosa c’entri Gesù Cristo, dopo tutto io non so chi sia questo Cristo, non l’ho visto con i miei occhi, come fate a dire che Lui è qui?”. D’altra parte succede così. Da duemila anni sempre così. “Chi sei tu?”. La Samaritana stava al pozzo e forse stava pensando a come sotterrare il suo quinto marito. Eduardo stava a casa sua e forse cercava un sito porno. Mentre l’indifferenza al mistero dell’attrattiva è l’alibi delle persone perbene. E probabilmente la sura delle moderne leggi sulla privacy. Mai essere così triviali da prevedere la possibilità di non essere altro che angeli nelle mani di un barbiere. Mai pensare che i nostri atti ci seguono e nella valle di Josafat anche il vicino di casa vedrà il film di quando ci facevamo le seghe. Non saper arrossire dei propri pensieri e prendersi dannatamente sul serio nelle nostre azioni, è il disavanzo primario del lombrico onesto. Uno che ha sentito passare sopra la testa o sorride come un cretino a sentire da Matteo che una volta Gesù ha detto “chiunque guarda una donna per possederla ha già commesso adulterio”, è una persona rispettabile. Perché effettivamente sarebbe una tragedia se il figlio di Dio fosse come quel famoso pm un gradino sopra Dio che si autopostula a santo moralizzatore e protettore delle veline. Perché grazie a Dio, il Figlio dell’Uomo è venuto per dire la verità della vita. E incarnare l’Amore che cerca non i sani, i giusti, i morali, ma gli handicappati, gli storti, le pecorelle smarrite. Perché le persone rispettabili non si fanno pizzicare nel pensiero di quel seno prorompente mentre infiorano di sarcasmo il caso disgraziato di un Hugh Grant preso a rimorchiare una battona negra. Perché le persone rispettabili ficcano gli occhi più di quelle da bettola dietro i glutei di una donna in aeroporto. Però l’esercizio della scienza e della dissimulazione letteraria danno sempre la loro brava e suggestiva spiegazione sofista a come si fa a stare in pantofole, pagati bene, riveriti dal volgo, con la bettola nella testa e la conversazione con la figlia mentre la si mette sul volo per un college di Londra e le si raccomanda di divertirsi senza trascurare la lettura del Financial Times. Uno che scrive editoriali per ripulire il paese e approvare la riforma morale della nazione non può immaginare che la cenetta a Campo de’ Fiori sarà registrata nella sua autocoscienza come l’ennesimo capitolo del romanzo con le attrattive precedenti. Dove, finito il corteggiamento, ottenuto lo scopo, annoiati dalla routine, confermato che la lussuria non funziona senza denaro e potere, si tratta di capire dove posteggiare (rimanendo “amici”, naturalmente). Che poi si sappia che ognuno uccide l’oggetto del suo amore – e c’è chi lo fa col coltello affilato, chi con sguardo del bue e dell’asinello – questo non merita la considerazione dell’uomo perbene. Uno che ha “Io” nel cassetto e la “Chiesa cattolica” in gran dispetto, deve credere che è venuto al mondo perché il galantuomo esca dal bozzolo della metafisica e, guardando sempre e solo all’indietro, si manifesti al mondo come la Venere dalla schiuma del Mediterraneo. Porcello senza ali, affascinato dal Narciso che specchia nella pozzanghera la propria maschera di persona a posto, l’uomo che non ha peccati importanti da confessare e che, anzi, la sola parola “peccato” lo fa trasalire di indignazione, è un inguaribile romantico che vorrebbe vedere le galline in volo. Non sia mai lo beccassero col borderò o nel giaciglio sbagliato, saprebbe spiegarti come distinguere il diritto di cronaca dal rispetto dei dati personali.

Agli avversari però egli sa come impalmare con uggia la barzelletta che il giornalismo ha la sua deontologia e il cellulare non si usa per fissare aperitivi con gli arbitri o provarci con le Gregoraci. Si usa, il cellulare, per inviare un pezzo in bluetooth su un ct della nazionale. E poi, nel privato, per dire “cara, ti amo tanto”, “cara, come è andata la lezione di nuoto”, “cara, come stanno i bambini”. Uno che tiene la barba ben coltivata, l’archivio aggiornato, la password per sbirciare nell’inchiesta, concupisce solo in segreto. E’ un uomo di immagine. Uno che non è più neanche di questo mondo. E’ un uomo perbene come solo può esserlo l’uomo che si agita in una cassa da morto.

L’uomo perbene, storicamente parlando, è anche quello che prepara la sottomissione dell’attrattiva umana alla grande umma. Quando il musulmano uscì per la prima volta dal suo mondo chiuso scriveva dell’occidente come di un posto di matti. Era il sedicesimo secolo e Bernard Lewis cita una corrispondenza di un diplomatico ottomano al suo sultano. Vado a memoria: “Si immagini, maestà, che qui a Vienna i cavalieri si fermano e si levano il cappello addirittura al passaggio di una donna”. Io una volta, di passaggio a Beirut, ho sentito da un amico italiano che ci era passato prima di me il bisbiglìo che gli fece all’orecchio una donna intabarrata. “Anch’io sono cristiana, prega che le donne musulmane conoscano Gesù”. Da allora ho provato ogni tanto a immaginarle, queste amiche musulmane. Nell’islam la vita del maschio scorre “al di sotto della cintola” (questa me lo disse un turco di Iskenderun), ma dal punto di vista della concupiscenza piena – sempre del maschio – essa dovrà attendere il giardino delle vergini e gli altri godimenti della carne (compreso il vino e la cacciagione) previsti nell’orgia paradisiaca. Delle donne di questo mondo non se ne parla neanche. Generatrici e allevatrici di figli (maschi possibilmente, le femmine potrebbero persino non essere registrate all’anagrafe; se su otto, sei sono femmine, come mi capitò di sentire in un campo profughi palestinese, il padrone di casa ti dirà che purtroppo ha solo due figli, “E le altre sei ragazze?” “Quelle non contano”) Rispettabili matrone solo nel recinto di casa. Oggetto di proprietà del marito. Moneta di scambio per i commerci. Schiave nell’harem di uno sceicco. Martiri per la causa contro gli infedeli. E per il musulmano militante che sta in Europa, il soprammobile imbaccuccato del disprezzo della corrotta civiltà occidentale. Mentre la signora del ghetto turco di Berlino o della banlieue magrebina di Grenoble, anche se non parla, non vede, non sente, entra nel supermercato della civiltà corrotta e concupisce in tutti i sensi le immense distese di beni di consumo. Freme nel suo intimo perché è golosa di tutto – come noi – e perché ricorda lo sciatto classismo della casbah, l’ipocrisia della società in cui è stata allevata, la violenza silenziosa e quotidiana, il disprezzo del potere che la inchiodava alla miseria e all’ignoranza. Mentre quelli delle città e i funzionari del governo di un paese di là del mare, lei li vedeva vestire alla francese, mangiare all’italiana, viaggiare all’americana. Emigrata in Europa, guadagnato un buco in un grande casermone popolare, ricevuto il sussidio di immigrazione, l’inculturazione elementare e l’assistenza sociale per la prole, finalmente un po’ di shopping. “Sì, ma i cristiani dove sono?”, chiede. Perché per la donna velata, andare a fare la spesa in un Bronx di Milano è un po’ come per noi un viaggio dalle massaggiatrici thailandesi. Concupisce in segreto la dea bendata yemenita e ricaccia nel suo seno ogni emozione. Mente al suo uomo. Il suo uomo mente a lei. Accordandosi nel non detto. Nel godere del corrotto occidente. Della lingerie Lacoste e del cd di Tom Cruise. Dello spazzolino da denti e dell’mp3 della cantante egiziana. Prima a tavola, poi nel dovere, finito il Ramadan. Siamo tutti figli della concupiscenza in questo giardino di ubriachi da peccato originale (“sì, ma i cristiani dove sono?”).

Luigi Amicone

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