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Come dire «vocazione» agli adolescenti. «Quando è la vita che chiama».

Si è acquisita la consapevolezza che la pastorale giovanile è sempre pastorale vocazionale, o non è. Non intendo dunque richiamare percorsi e indicazioni ormai divenuti mentalità comune, anche se faticano da divenire prassi comune. Mi interessa invece ripensare oggi il senso della vocazione in adolescenza e preadolescenza, assumendo la categoria che mi pare più appropriata per dire la «chiamata di Dio»...


Come dire «vocazione» agli adolescenti. «Quando è la vita che chiama».

da Teologo Borèl

del 25 aprile 2007

Sono stati elaborati e sperimentati, nella prassi pastorale ordinaria, vari itinerari per un cammino di fede per giovani e adolescenti. E in essi non viene mai a mancare l’area della ricomprensione della vita come vocazione. Si è acquisita la consapevolezza che la pastorale giovanile è sempre pastorale vocazionale, o non è.

Non intendo dunque richiamare percorsi e indicazioni ormai divenuti mentalità comune, anche se faticano da divenire prassi comune.

Mi interessa invece ripensare oggi il senso della vocazione in adolescenza e preadolescenza, assumendo la categoria che mi pare più appropriata per dire la «chiamata di Dio» in questo tempo della vita: «le chiamate della vita» che passano sempre attraverso «la chiamata dell’altro».

Identità, differenza, alterità sono categorie preziosissime per cogliere il divenire del preadolescente e dell’adolescente nel suo assumere in proprio la responsabilità intorno alla vita: la propria anzitutto, con una apertura progressiva verso quella dell’altro.

Ebbene, qui dentro sono come racchiuse le «pro-vocazioni» e le «vocazioni» che Dio rivolge loro.

Con una consapevolezza: scelte «definitive» di vita non si compiono oggi nell’adolescenza se non per qualche eccezione. E così il tempo del progetto e di tali scelte scivola nel tempo della giovinezza che si dilata ormai per tanti giovani anche oltre la soglia dei 30 anni.

 

Essere adolescente…  nell’epoca del postmoderno

 

Ogni età della vita è un dono imprevedibile: essa custodisce un segreto e una parte di felicità. Tuttavia, il tempo dell’adolescenza, in cui il/la ragazzo/a rompe i fili che lo legano all’infanzia e alla fanciullezza e «prende il volo» dal nido familiare e dalle consuetudini infantili, è un tempo straordinario di vita carico di promesse e di possibilità.

Preadolescenza e adolescenza partecipano entrambe ad un processo che è un continuum all’interno del quale però si riproducono sempre nuove separazioni e nuovi legami. Il tempo dell’adolescenza è il tempo privilegiato per la rielaborazione personale dell’identità, per quelle dimensioni dell’esistenza che, come «diadi», si rappresentano come spazio/corpo, tempo/interiorità, ricerca di senso e progettualità, identità/differenza. Esse dischiudono all’adolescente l’esperienza esaltante del «prendere il volo», cioè della possibilità concreta per la prima volta di vivere in prima persona la propria vita nello spazio di una più piena consapevolezza, della libertà conquistata a fatica, e della responsabilità assunta, per quanto alleggerita.

Il tempo dell’adolescenza è pertanto un tempo privilegiato per l’elaborazione di quei compiti evolutivi che sono: la costruzione dell’identità personale, socialmente e culturalmente radicata, la scoperta della solidarietà, la sperimentazione e appropriazione di un quadro di valori e la prima consapevolezza dell’emergere della domanda di senso intorno all’esistenza secondo il cabotaggio della vita quotidiana.

 

Naturalmente l’adolescenza attuale, o i percorsi delle diverse adolescenze, sono segnati dagli elementi caratteristici della post-modernità, nella quale viviamo: pluralismo dei modelli e degli stili culturali, frammentazione e complessità, politeismo dei valori, conflitto delle interpretazioni, omologazione e sovraesposizione alla cultura del mercato-consumo globalizzato… ma anche accentuazione di quel nucleo di valori della post-modernità come la centralità del corpo, la cultura del piacere e del benessere, la cura dei sentimenti e la capacità di vibrare alle emozioni, l’accentuazione dei codici affettivi, l’attenzione privilegiata alle relazioni e ai sistemi relazionali, la cultura della qualità della vita.

Per quanto riguarda il nostro discorso, è importante anche cogliere lo smarrimento nella concezione del tempo: e cioè la cultura dell’«attimo fuggente» che li avvolge, mentre vengono smarrite (quando non drammaticamente recise) le radici della memoria e del proprio e comune passato, e con ciò l’impossibilità o la fatica di accedere alla dimensione temporale del «futuro» e alla progettualità.

 

Tutti questi elementi rendono ancora pi√π problematico individuare i possibili accessi ad un discorso di educazione e di pastorale vocazionale.

Difficile e problematico ma non impossibile, per coloro almeno che fanno del percorso educativo la scommessa di un possibile cambiamento positivo per tutti coloro che si mettono in gioco. E sì, perché anche la pedagogia vocazionale non può essere a senso unico. È gioco di reciprocità. È per l’adulto la riscoperta di una vocazione educativa.

 

 

L’ELABORAZIONE DELL’IDENTITA’ PERSONALE IN ADOLESCENZA

 

Chi si interessa di pastorale vocazionale e di educazione al progetto di vita guardando alla stagione dell’adolescenza, non può non fare in conti con i compiti evolutivi che vengono poi riespressi nei progetti educativi come obiettivi che perseguono il cambiamento.

Deve cioè fare i conti con i processi educativi e con la logiche dell’educativo, sorrette entro un corretta prospettiva di incarnazione. Compito evolutivo di costruzione dell’identità e vocazione infatti possono essere pensati come le facce di una stessa medaglia.

Partiamo dunque dal primo grande compito evolutivo: elaborare l’identità personale. L’elaborazione dell’identità viene continuamente sorretta da quel processo di differenziazione e di separazione che qualifica ogni processo evolutivo personale.

La cultura tradizionale dell’educativo ha spesso manifestato paura o resistenza aprioristica verso la categoria della differenza, che invece diviene una delle categorie paradigmatiche della post-modernità.

L’adolescente comincia a definire se stesso e a prendere in carico il compito della «propria identità personale» (Chi sono io? Chi voglio e che posso essere? Chi mi do il permesso di essere e di diventare?) attraverso un processo di differenziazione e di separazione. Separazione anzitutto e congedo da quelle rappresentazioni di sé e dai modelli soggiacenti che spesso hanno caratterizzato la fanciullezza e quell’acconsentimento acritico e pacifico, frutto dei giochi identificativi, con gli adulti.

 

Differenziazione come presa di consapevolezza della propria differenza, di quell’essere dinanzi a se stessi differenti dalle aspettative e dalle rappresentazioni degli altri significativi, quelli che ci vivono accanto in vita quotidiana. Questo processo non è per nulla tranquillo e pacifico: è gravido di scontri, di incontri nuovi, di conflittualità, di frustrazioni per le sconfitte e di euforia per le conquiste. E questo lo mettono in atto come cammino evolutivo il preadolescente prima, attraverso la dimensione corporea e spazio-motoria, e poi l’adolescente, attraverso la dimensione temporale e dell’interiorità.

È scontato che la società circostante con i suoi differenti sistemi di valori, con i suoi stili e linguaggi dominanti funga da contenitore di sperimentazione e da agente di condizionamento in tutto questo processo.

In un’esperienza di babele di linguaggi e modelli, l’adolescente è sistematicamente sottoposto ad una esigenza: mettere ordine, orientarsi, fare delle scelte che siano il più possibile reversibili (se reggere la differenza fa troppo male o produce un eccesso di frustrazione), fare insomma «tavola rotonda» dentro di sé per decidere e scegliere quale sarà il proprio modello adeguato, lo stile personalizzato e unico, l’immagine adeguata di se stesso, e il progetto di vita possibile che intende sperimentare solo a frammenti.

 

Questo processo l’adolescente lo compie attraverso un doppio movimento: una guerra più o meno dichiarata sotterranea, conflittuale, con i punti di riferimento e i contesti educativi della fanciullezza, famiglia in prima linea, da cui prendere le distanze, attraverso un movimento di autonomizzazione, di controdipendenza.

La sperimentazione di un’identità/differenza personale differente rispetto all’identità attribuita nei contesti vitali è tuttavia accompagnata da un movimento opposto, di nuova interdipendenza e di nuova dipendenza sia dai modelli e dagli stili dei coetanei, dalla cultura dei pari, che da quel superpotente agente omologante quale è la cultura del mercato-consumo.

 

Questo percorso prende il via però dal compito di fare i conti con la prima differenza: quella sessuale. E qui è noto quanto da un lato gli adolescenti appaiano assurdamente lasciati soli nel supermercato delle sperimentazioni, mentre le agenzie educative si scaricano reciprocamente il compito, e al contempo sul canale della navigazione telematica e nel mondo del virtuale si offrono pascoli abbondanti e accessibili di modelli di tutti i tipi.

Ecco un nucleo fondamentale, un tema generatore di tematiche e percorsi educativi e insieme di cammini vocazionali: l’impatto con la sessualità, con la propria differenza di genere da assumere e da elaborare per farla uscire dall’ambiguità, e poi l’impatto con la differenza di genere dell’altro rappresentano una sfida e un compito che oggi è sottovalutato e lasciato alla autosperimentazione solitaria dell’adolescente.

 

L’incontro con la sessualità che segna la propria dimensione dell’identità personale non è forse un compito vocazionale quanto mai urgente ed esigente? Nella scoperta della differenza di genere compare per la prima volta, forse in termini assoluti, il dover fare i conti con l’altro; la «chiamata dell’altro» che chiede scelte, disponibilità, decisione, assunzione di responsabilità. L’altro in questo caso può essere «quell’altro che io sono e appaio a me stesso», e quell’altro a cui sono rivolto per la struttura del mio essere, e da qui l’apertura verso ogni alterità.

Qui il percorso dei diversi modelli di vita che elaborano la differenza di genere aprono il tema alla chiamata all’accettazione e alla valorizzazione di sé come struttura originaria e come scelta culturale ed esistenziale.

Qui si innescano tutti quei percorsi educativi di educazione alle emozioni, alla gestione dell’affettività e alla scoperta dell’amore che non possono essere relegati al tempo della giovinezza. I percorsi di preparazione al «dono verso l’altro», alla logica della reciprocità e del gratuito, hanno bisogno di essere preceduti da tali percorsi educativi.

 

 

INCONTRARE GLI ALTRI

 

Un secondo percorso, strettamente collegato, è costituito dall’esperienza di incontro con l’alterità dell’altro. L’alterità è l’interfaccia dell’identità/ differenza.

Degli altri - soprattutto di altri più a misura di se stesso o di altri capaci di rappresentare la novità e il cambiamento - l’adolescente ha fame e sete. Li ricerca con bramosia quando pure, per paura, non decide di chiudersi ad essi, come nemici da cui difendersi.

Tale percorso è quanto mai fecondo dal punto di vista educativo: esso apre al sentiero della solidarietà e della convivialità, della condivisione e della gratuità, della oblatività, della generatività e del dono.

Ma qual è l’altro che l’adolescente ricerca e vuole incontrare?

Nei preadolescenti è ancora spesso e soltanto «l’altro uguale a me», l’alleato nell’identità e nella somiglianza, in cui rispecchiarsi e trovare conferma di se stesso.

È il compagno, la compagna di avventure, di vita, di scuola, di gioco, il coetaneo. Da questo incontro più che la differenza scaturisce l’uguaglianza e il conformismo massimo: il preadolescente fa l’esperienza dell’identico, in un contesto in cui è rischioso apparire, anche solo nell’abbigliamento, differente dagli altri. La differenza rimane soltanto per contrapporsi al mondo degli adulti e alla diade genitoriale, per sentirsi diversi da loro e altri.

Ma per un buon educatore, l’incontro nel gruppo dei coetanei è un’occasione importante per attivare percorsi di scoperta e di incontro-scontro-accettazione con la differenza dell’altro, con la differenza di ciascuno, al di là e oltre tutte le omologazioni apparenti e di superficie.

Tale compito apre percorsi ulteriori, quando in un dimensione globalizzata della vita e della cultura ci si apre agli «altri come me» che vivono nella differenza non solo culturale, ma in quella più radicale che è la povertà, la negazione dei bisogni e dei diritti. Percorso importante e urgente che apre a una pedagogia della dimensione planetaria che non può più accettare di essere rinchiusa negli angusti confini del «locale».

Senza questo cammino, anche qui «vocazionale» perché interpellante la presa di coscienza e la responsabilità del preadolescente stesso, non si può pensare di costruire educativamente un’apertura dell’adolescente verso la chiamata dell’altro. Dalla pro-vocazione nasce la vocazione.

Le chiamate di Dio non valgono solo per momenti straordinari e per tempi straordinari di vita, esse intessono la vita quotidiana della persona in crescita.

 

Quando sboccia il «tempo» di…

 

L’ingresso nell’adolescenza avviene quando il preadolescente da «estroverso» (rivolto al mondo, al corpo, all’esteriorità, alla motricità, all’apparire sulla scena degli altri) comincia a percorrere un movimento inverso nella costruzione della propria identità. Egli attiva così il viaggio verso l’interiorità, scatena l’interesse per il mondo interno, e si ripiega su di sé per cogliere il vibrare delle sensazioni, dei pensieri che accompagnano il fare esperienza delle cose e delle relazioni con gli altri.

Gli si spalanca allora il mondo interiore, un mondo altro da scoprire, un percorso anche qui di incontro con un’alterità di sé (sono anche altro dal mio corpo agito!) e con una differenza che sono accompagnati da stupore e fascino.

È il momento in cui le esperienze lasciano traccia, gli incontri provocano risonanze, le relazioni cariche di emozioni e di affettività creano uno «spazio interiore», un luogo in cui l’io decanta le esperienze e riflette su se stesso.

È il tempo privilegiato per lo sbocciare della parola che narra (il diario), che evoca (i raptus poetici), che sogna (il mondo della musica come contemplazione del mondo interiore).

È l’età della vita nella quale il tempo comincia a dilatarsi dal presente supercompresso: e diviene culto e gusto della memoria.

Si tratta di un momento strategico per aiutare l’adolescente e riscrivere la propria storia personale a partire da tutte le dimensioni, compresa la propria storia religiosa dell’incontro con il mistero che abita la vita e può avere tanti nomi.

Ma è anche il momento per cominciare a dilatare verso il futuro la prospettiva temporale.

Il nodo non è che gli adolescenti non sognino e coltivino il proprio futuro sognandolo. È che la realtà è così forte e costringente che forse il futuro ora sognato e non ancora progettato appare lontanissimo dal mondo reale presente.

D’altra parte, cosa è più reale del mondo interiore per l’adolescente? E così magari si allontana dalla realtà con le cuffie, con modalità diverse dal tempo dei nostri vecchi ritiri, o dai silenzi imposti, e l’adolescente si trova, oggi come ieri, la strada per restare in contatto con questo mondo interiore.

Ecco allora l’occasione propizia per cominciare ad educare a «dare corpo ai sogni», ad immaginare e sentire l’ebbrezza di tradurre i sogni in realtà, progettando il proprio futuro.

Educazione vocazionale nel tempo dell’adolescenza è allora educare al sogno, educare all’interiorità, educare la temporalità per liberarsi da guscio del presente e dilatare la propria storia tra passato e futuro da sognare.

 

I valori e il senso dell’esistenza

 

Qui entra in gioco tutto il percorso dell’educazione ai valori. Essa implica la scoperta di ciò che vale della vita (i valori: le qualità della vita!) fino a farlo proprio, ad interiorizzarlo, a ricercarlo e viverlo per sé.

L’adolescente vive i valori se li sperimenta. E apprende anche a costruirsi una propria gerarchia,

Il gruppo diventa il luogo in cui si passa al vaglio critico e si misura la consistenza dei valori sperimentati o scoperti insieme.

E il sistema di valori personale diventa uno strumento indispensabile per le scelte che si compiranno con il progetto di vita.

È su questa direzione che comincia ad affiorare – ma solo occasionalmente o in momenti forti di interiorità personale, e inizia a porsi la condizione base per il suo emergere – la dimensione religiosa in adolescenza: il problema del senso dell’esistenza, il problema del senso delle cose e del senso della propria vita, delle relazioni, della vita in sé.

Gli adolescenti, di fronte all’emergere del problema del senso risultano sensibilissimi. Sta di fatto che spesso le domande sul senso sono distorte o soffocate da stili di vita che negano l’interiorità, catturati dall’esteriorità, dal consumo, dallo sballo, dalla ricerca dell’eccesso, dallo stordimento.

La solitudine e il gusto del deserto ne sono la terapia.

Ma questa è un sfida ancora più sottile per l’educatore alla fede che è consapevole che l’annuncio dell’evangelo è una gratuita e sorprendente risposta alla domanda di senso del giovane.

Non è questione di consumo religioso, di pratiche, di indottrinamenti, ma di incontro tra domanda di vita (educata al livello del senso) e offerta liberante della buona notizia di Gesù di Nazareth, il Signore della vita.

 

L’incontro vero con l’altro in adolescenza

 

È pur vero che tanti studiosi dell’adolescenza definiscono questo tempo di ripiegamento sul sé e sul proprio mondo interiore come tempo di narcisismo. È una fase importante per riscoprire la grandezza e la dignità di se stessi, crescere nell’autostima quale nucleo portante della propria identità. Se l’adolescente non ama se stesso, come potrà mai innamorarsi dell’altro?

Eppure proprio il tempo dell’adolescenza attuale appare quanto mai segnato da questo «incontro con il mondo dell’altro da me». La socializzazione e la scolarizzazione di massa hanno favorito lo sperimentarsi nella relazione: l’amico, l’amica, il compagno, la compagna di avventure e di incontri, il partner di prime esperienze di coppia. Le stesse ricerche mettono in evidenza la estrema diffusione nel tempo dell’adolescenza di relazioni di coppia che durano una stagione. Se da una parte esiste il rischio della superficialità e del consumismo affettivo, dall’altra però va riconosciuta l’esistenza di un ampio campo libero di esperienza affettiva-relazionale che apre all’altro, da incontrare, da riconoscere nella sua alterità, da rispettare, a cui voler bene, con cui sentirsi solidale.

Ciò non esclude che la bufera emotivo-affettiva dell’incontro abbia tutta la sua faccia negativa, fatta di complicità, di inganni reciproci, di aggressività e di rifiuto, di mancanza di rispetto e a volte anche di violenza.

Qui uno dei compiti fondamentali delle agenzie educative per non lasciare gli adolescenti soli nella difficile elaborazione di questa esperienza fondamentale.

Questo tema non appare per nulla irrilevante per l’educazione vocazionale in adolescenza: guardare il mondo e l’altro da innamorati o incantati per il loro fascino e mistero è anche questa una «esperienza di chiamata» che può dischiudere la chiamata assoluta all’Amore.

Poi ci sarà il tempo di scoprire che le vie dell’Amore sono tante e, al contempo, un’unica sola via. Ma se non si valorizza l’esperienza del voler bene a qualcuno e del sentirsi amati gratuitamente da qualcuno, non si potrà accedere all’esperienza simbolica dell’amore, cioè a quella via lungo la quale l’Amore di Dio sboccia sul volto e nello sguardo dell’altro che mi sta accanto o che oggi mi viene incontro.

La via dell’affettività è in adolescenza la simbolica che può parlare dell’Amore di Dio incarnato, non più secondo la matrice genitoriale, ma secondo la matrice amicale o quella sponsale.

E questa è, credo, l’unica via che permette di accedere all’esperienza simbolico-religiosa in adolescenza. Dio non è il sostituto di un amore che l’adolescente non trova, ma il fondamento di quello che mi viene dall’altro e che va verso l’altro.

Ecco perché un mancato accompagnamento di tanti adolescenti che non vivono la pienezza di questa esperienza tarpa loro le ali e impedisce l’accesso alla chiamata e alla elaborazione della propria risposta in termini vocazionali.

Anche la strada della consacrazione, cioè della risposta radicale all’Amore incondizionato di Dio, e che passa attraverso la libera rinuncia alla vita di coppia per vivere l’Amore verso chi non ha amore (il povero, il soggetto di bisogno estremo, come termine teologico) passa sempre attraverso l’elaborazione simbolica di questa esperienza adolescenziale.

Sta all’educatore il compito di permettere all’adolescente di realizzare un incontro con l’altro oltre e al di là del proprio desiderio, libero da ogni possesso, verso la gratuità.

E qui si intravedono percorsi quotidiani «vocazionali» di educazione all’amore. quali i sentieri del perdono, della gratuità, del servizio, della relazione di aiuto, della condivisione.

 

L’incontro con l’alterità sul terreno della interculturalità

 

Se quella finora illustrata è una esperienza privilegiata di scoperta dell’altro, l’adolescenza è anche oggi il tempo di intensa scolarizzazione e acculturazione.

Il percorso ormai generalizzato dell’obbligo scolastico e formativo diventa un bagaglio e una risorsa importantissima che l’adolescente dovrebbe essere aiutato a scoprire come strumento privilegiato del proprio cammino di costruzione dell’identità, e di incontro con le differenze, che segnano le cultura, le società, i popoli, le religioni.

Qui l’incontro con l’altro sul terreno della cultura diventa un campo vastissimo e purtroppo poco valorizzato.

La chiamata passa anche attraverso la cultura, la sua assimilazione vitale, la sua riespressione nel proprio linguaggio, entro una personale visione della vita, nella quale l’amore e la passione della vita assurgono a temi generatori di cultura nuova e liberatrice.

Solo appassionandosi alla vita e alla cultura della vita l’adolescente acquista la strumentazione per appassionarsi al Dio della vita e alla sua grande causa: la passione per la vita dell’uomo a partire da chi non ha vita.

 

 

QUANDO L’ALTRO CHIAMA

 

Fin qui non mi sono preoccupato di tracciare un esplicito sentiero religioso, parlando di comunicazione della fede e annuncio del Signore Ges√π, o di vita da credenti.

Non l’ho escluso, anzi, ne faccio il compito di vita di adulto. Tante tappe dell’educazione alla fede attraverso l’incontro con Cristo, lo scoprire e il sentirsi chiesa, la sua proposta di libertà e di amore totalmente segnato dalla gratuità, la vita cristiana dell’adolescente e del giovane… sono state esplicitate lungo gli anni.

Non è che non valgono più. Valgono, eccome!

La mia preoccupazione è un’altra.

La maggior parte degli adolescenti che abbiamo nell’occidente postmoderno, ricco eppure mai sazio, mai garantito a sufficienza, vive in un contesto ampiamente secolarizzato, prescindendo dalla presenza e dalla compagnia di Dio, fatta eccezione di momenti personali e rituali. Certo, anche gli adolescenti di oggi vivono - in una dimensione molto personale, soggettivizzata, poco visibile e poco ritualizzata, spesso anche nascosta e privatizzata - la presenza del mistero nella loro vita e anche la vicinanza rassicurante di esso.

Eppure i luoghi delle chiamate, di quelle pro-vocazioni, cioè chiamate ad uscire da se stessi per andare incontro all’altro, non sono collocate nello spazio religioso dell’adolescente, o almeno lo sono assai raramente. Sono piuttosto collocate nel cuore della vita quotidiana, del loro diventare adulti, del loro costruirsi consapevolmente e liberamente come uomini e donne del nostro tempo.

Lì dentro ritrovo le diverse chiamate del Dio di Gesù: sono le chiamare della vita stessa, le chiamate da assumere con consapevolezza e responsabilità, attorno al mistero stesso della vita che si trovano a vivere. Dio li raggiunge forse più nella quotidianità abitata dalla sua presenza, che dalla sacralità di luoghi, tempi, persone. Che sono comunque chiamati a ripensarsi come risorse a servizio di queste chiamate.

E parlare di Ges√π, proclamare e raccontare di Lui e della sua storia?

I nostri adolescenti non ne sono digiuni. Purtroppo per molti di essi non si tratta di una storia tanto interessante, di quelle che ti viene la voglia di risentire e di regalare ad altri!

Quando ci sono disturbi nella comunicazione non basta alzare il volume dell’amplificatore e neppure superare il rumore di sfondo aumentando i decibel.

Quando una storia non sembra affascinare e coinvolgere, allora occorre creare la sintonia, mettersi sulla frequenza dell’altro, perché solo chi è appassionato alla vita può trovare interessante e interpellante la storia della vita di Gesù di Nazareth e di coloro che hanno deciso di condividerne la passione.

 

Fonte: Note di Pastorale Giovanile, Aprile.

Mario Delpiano

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