Continuiamo il discorso... Nell'ultimo Giovani per i Giovani abbiamo affrontato il tema della castità guardando alla problematica dei rapporti prematrimoniali. Cerchiamo questa volta di andare un po' alle radici della castità. “Non è una religione di fantasmi la nostra, non di anime spoglie e rilucenti, ma di corpi, questi corpi così come sono, gloriosi e miserabili, e che risorgeranno, come ci è stato promesso” (Parazzoli F.)
del 01 gennaio 2002
Non è facile parlare della castità. È più facile, forse, capirla e comprenderla vedendola incarnata dalle persone. Si tratta di una parola, e di una realtà, spesso compresa riduttivamente o addirittura misconosciuta e derisa, oppure confusa con la verginità (cf www.sapere.it !!) o identificata con l’astinenza sessuale… Per questo è opportuno riscoprire la valenza antropologica della castità e quindi anche la sua valenza spirituale cristiana. L’etimologia ci suggerisce che il casto (castus) è colui che rifiuta l’incesto (in-castus), ovvero il rapporto carnale fra persone congiunte da stretti vincoli di parentela. Il casto vive le sue relazioni accettando la distanza e rispettando l’alterità, che non significa semplicemente “stare a distanza” o rispettare le differenze. La castità si situa nel solco del cammino di apprendimento dell’arte di amare. Non si tratta quindi di una virtù negativa, contrassegnata da proibizioni o divieti, ma eminentemente positiva che conferisce alle relazioni umane la loro trasparenza e il loro calore. La castità è quindi la disponibilità dell’uomo ad affermare pienamente la propria sessualità e ad inserirla in maniera ricca di senso nella globalità della vita, in particolare nel campo delle relazioni.
AMORE ORDINATO E TEMPORALITÀ
La castità è “l’amore ordinato”. Infatti se è vero che l’unica legge è quella dell’amore, è anche vero che l’amore, per essere ordinato (e non dis-ordinato) ha le sue leggi. La castità non chiede il rinnegamento del corpo o della sessualità, ma la loro integrazione nella vita personale e comunitaria, chiede all’uomo di essere il proprio corpo e di saper con questo vivere, comunicare, amare.
La castità, inoltre, si coniuga con la nozione di temporalità: è infatti attesa, gradualità, durata. Essa rifiuta la logica del “tutto e subito”, dell’immediatezza, del consumo, dell’ “usa e getta”, si oppone all’assolutizzazione della sfera sessuale o alla riduzione di questa a mera ricerca di piacere ad ogni costo e bandisce il “gioco dei sentimenti”. La castità ci ricorda così che l’arte di amare si assimila anche attraverso un cammino di ascesi, di fatica, di lavoro su di sé, di continua purificazione delle motivazioni (essere casti significa agire con retta intenzione), dei sensi, delle relazioni.
UNA COSA PER PRETI E SUORE ?
Dunque la castità riguarda ogni uomo, ogni donna e non è semplicemente una cosa per “preti e suore”, bensì una dimensione che appartiene ad ogni battezzato, al giovane come all’adulto, qualunque sia il suo stato di vita. Infatti sia nel matrimonio, sia nella vita consacrata che nel celibato dei sacerdoti la castità significa rispetto del proprio e dell’altrui corpo, che è tempio dello Spirito Santo e dimora di Dio (cf. 1Cor 6,19). Tale castità, specie nel celibato, è possibile solo attraverso un grande amore per il Signore, oltre al fatto che è necessaria una maturità umana contrassegnata da capacità di amare gratuitamente e adesione alla realtà.
La castità, quindi, come manifestazione della propria desiderio di amare, si gioca nel profondo del nostro cuore ed è pertanto un cammino, una tensione incessante, una lotta e non si può mai dire di averla raggiunta una volta per sempre. La “vittoria” non è che un dono, un evento di grazia, è frutto di un cammino costante (ascesi) che porta a saper dominare e canalizzare, e non subire, le pulsioni e i sentimenti dell’uomo, che nella vista casta si rivelano una risorsa e non un limite.
La castità così, donando un cuore puro che sa vedere gli altri e tutta la realtà con gli occhi di Dio, fa dell’uomo e della donna una trasparenza dell’amore di Dio.
CASTITÀ E AFFETTIVITÀ IN GESÙ
Come ha vissuto la castità e quindi l’affettività Gesù? Le pagine dei Vangeli mostrano che Gesù ha vissuto in modo eminente i propri sentimenti nelle amicizie (cf. gli amici di Betania), facendosi prossimo, provando compassione... Quando Gesù, a poco più di trent’anni, si presenta sulla scena pubblica è un uomo capace di relazioni affettive mature e liberanti. Sa dialogare con libertà con uomini e donne di varie categorie sociali e si prende cura di tutto l’uomo (anima e corpo): tocca i lebbrosi e si lascia toccare, baciare, profumare… Colpisce la sua profonda umanità. Basti menzionare la sua reazione alla morte di Lazzaro: “Si commosse profondamente, si turbò… Gesù scoppiò in pianto” (cf. Gv 10, 33-37).
L’affettività di Gesù, frutto di una vita casta, trova espressione forte nel suo pathos per il popolo di Dio, ovvero nella compassione che si rivela l’anima della sua missione: “Vedendo le folle fu preso da compassione per loro” (Mt 9,36).
Gesù coglie la situazione in profondità e non vede semplicemente una folla, ma singole persone, ciascuna con i sui problemi E per loro “freme”, come una madre per la creatura del suo grembo: un’emozione profonda, viscerale ben espressa dal verbo splanchnizomai (fremere appunto) che allude alle viscere (splanchna) e in particolare al grembo materno. Fremono in Gesù le viscere materne di Dio. Ecco l’amore che Gesù vive e ci propone: un amore che si lascia ferire il cuore e che si fa carico dell’altro, un amore che sa commuoversi, che sa piangere. In lui la castità non è mai distanza, allontanamento, ma vicinanza (non necessariamente fisica), prossimità compassionevole. Basti pensare all’incontro con la peccatrice (cf. Lc 7,36-50), una delle scene più hard del Vangelo, sia per il contesto in cui avviene sia per l’imbarazzante complicità del maestro. Gesù lascia fare. Non interrompe quel pianto, quei gesti sinceri, Anzi apprezza l’espressione della donna lamentando con Simone il comportamento contrario: “Tu non mi hai dato un bacio, lei invece…” (Lc 7,45).
EPILOGO
Gesù ci ha fatto vedere, nella sua umanità, un Dio che ha viscere di pietà, che freme di compassione, non un Dio “freddo” e distaccato chiuso nella sua impassibilità, ma piuttosto un Dio fortemente coinvolto nella storia dell’uomo, un Dio innamorato di tutte le sue creature. Tale è l’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio.
Castità allora non significa assenza di gesti, assenza di sentimenti, impassibilità nelle relazioni, distacco forzato e misurato, bensì saper esprimere la passionalità di Dio per l’uomo, fremere al punto da aver un corpo disposto a “soffrire per”, a compatire fino a giungere ad “offrirsi al posto di”. Castità significa far sì che il proprio corpo e i propri sentimenti siano strumenti per amare e non ostacoli alla gratuità dell’amore. I gesti casti sono quelli che esprimono tale gratuità e totalità dell’amore e che sanno bandire l’egoismo che sempre vuole prevalere.
Bibliografia
¨Mainardi Luisa, Il corpo è per il Signore
¨Bianchi Enzo, Le parole della spiritualità
¨Borsetti Elena, Le componenti antropologiche dell’amore e dell’affettività nella Bibbia.
don Igino Biffi
Versione app: 3.22.1 (230bf9f)