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Capitolo quarto. FORTE MESSAGGIO DI CASTITÀ.

"Queste perentorie affermazioni di don Bosco e del suo settimo successore fanno della castità uno dei poli luminosi dell'identità salesiana."


Capitolo quarto. FORTE MESSAGGIO DI CASTITÀ.

da Don Bosco

del 07 dicembre 2011

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        Fin dai suoi primi anni di sacerdozio don Bosco, predicando e confessando i fedeli, non ignorò i diversi aspetti della castità, virtù satellite della temperanza, proposta da Gesù come ideale di vita. Non si può assolutamente pensare che fosse uno sprovveduto in un campo così essenziale per un prete educatore e confessore. Ma il suo interesse andò via via concentrandosi, in termini quasi esclusivi, sulla castità giovanile e su quella consacrata in vista del Regno, professata dai salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. E quanto si evince dai suoi discorsi ai giovani, dalle sue buone notti, dalle conferenze, dalle sue massime, da certi sogni dal simbolismo trasparente. Ma accanto alla voce 'castità', egli usa anche, abbastanza sovente, la voce 'purezza', la quale per sé è una parola polivalente, come precisa il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia: «Purezza, sf. Onestà, integrità morale; assenza di malizia, genuinità di sentimenti; rettitudine. In par- tic.: castità, sia come rifiuto o distacco dai desideri sensuali, sia come astensione dai piaceri del sesso (che comporta la gelosa conservazione della verginità)».

La tradizione salesiana, senza dimenticare la voce 'castità', finisce per preferire a lungo andare il termine 'purezza'. Il quarto successore di don Bosco, don Pietro Ricaldone, ad esempio, ha una circolare dal titolo: Santità è pure (A ricordo della canonizzazione di san Giovanni Bosco, 31 gennaio 1935).

Anche don Egidio Viganò ama esprimersi in questi termini: «Nello spirito di don Bosco c'è un forte messaggio di purezza; la tradizione salesiana e la testimonianza delle origini lo confermano abbondantemente. Si tratta di un messaggio speciale che possiamo chiamare 'simpatia per la purezza'. Questa simpatia è una costante della sua vita, un tratto caratteristico del suo spirito. 'Ciò che deve distinguerci – sono parole del Santo - fra gli altri, ciò che deve essere il carattere della nostra Congregazione è la virtù della castità'. E ancora: 'Ciò che deve distinguere la nostra Congregazione è la castità, come la povertà contraddistingue i figli di S. Francesco di Assisi e l'obbedienza i figli di Sant'Ignazio'. 'La castità dev'essere il perno di tutte le nostre azioni'».

Queste perentorie affermazioni di don Bosco e del suo settimo successore fanno della castità uno dei poli luminosi dell'identità salesiana.

Anche così circoscritto l'argomento offre molti spunti di riflessione. Ci limitiamo a sottolineare solo tre aspetti, peraltro tipici di don Bosco: la sua personale predilezione per la purezza; la forza del suo esempio e del suo messaggio; il rapporto dialettico tra purezza ed amorevolezza.

 

Predilezione per la purezza.

Prima d'inoltrarci in questo discorso bisogna, ovviamente, prendere atto del grande divario di cultura, di mentalità, di espressioni con cui veniva considerata la sensualità e la sessualità al tempo di don Bosco e come viene considerata oggi. Si è passati da un linguaggio velato, reticente e da una valutazione quasi negativa ad una considerazione più positiva, più attenta ed impegnata - anche nei documenti della Chiesa - e, dopo tutto, più consona al messaggio della rivelazione.

Solo chi dimentica che, forse, in nessun ambito del vivere umano sono avvenuti nel tempo tanti cambiamenti di costume come nella sfera della sessualità, può meravigliarsi di quest'evoluzione. I discorsi di S. Bernardino da Siena, ad esempio, in tema di castità, sarebbero inconcepibili anche oggi.

Nell'attuale cultura postmoderna, imbottita di sesso, c'è chi ritiene che non abbia più senso parlare di purezza. Ma la perdita del rapporto armonioso tra il proprio corpo e le insopprimibili aspirazioni dello spirito è una delle cause, non ultima, dell'angoscia che caratterizza l'uomo d'oggi. La verità è che oggi più di ieri la castità non ha perso nulla del suo fascino e del suo smalto.

In una delle lettere che Giorgio La Pira, docente universitario e uomo politico, scrive all'amico Quasimodo, premio Nobel per la letteratura, ma che camminava per vie diversissime, si legge: «Una cosa io ti raccomando, la più bella tra le gemme stesse del paradiso: la purezza. È essa il contrassegno delle anime cristiane: essa il segno tangibile della presenza di Cristo in noi. Bisogna essere puri come la Vergine; il nostro corpo è destinato ad essere tabernacolo dell'Altissimo».

Madre Teresa di Calcutta prega: «O Maria Madre di Gesù, dammi il tuo cuore, così bello, così puro e immacolato. Il tuo cuore così pieno di amore, affinché possiamo ricevere Gesù nel Pane di vita, servirlo come tu lo servi nascosto nei poveri».

Don Bosco ai suoi salesiani: «La virtù che si deve sommamente coltivare e sempre avere dinanzi agli occhi, virtù angelica, virtù più di tutte cara al Figliuolo di Dio, è la virtù della castità».

Scorrendo la vita del Santo, non è difficile costatare che, in vista della futura missione giovanile, lo Spirito Santo infuse in lui, fin dalla prima infanzia, una straordinaria attrazione ed una vera predilezione verso la castità e virtù annesse (modestia, pudore, riserbo, ecc.). Predilezione che andò crescendo con la progressione del tempo fino a raggiungere una pienezza radiante.

La purezza della prima età deve certamente molto all'educazione e alla vigilanza materna, all'ambiente contadino, dai costumi semplici ed austeri, alla temperie delle scuole pubbliche - e poi del seminario - negli anni trascorsi nella cittadina di Chieri, dove gli studenti, in virtù del regolamento scolastico di Carlo Felice, erano costretti ad una pratica religiosa pressoché monastica. «Nello spazio di quattro anni, - scrive don Bosco - che frequentai quelle scuole, non mi ricordo di aver udito un discorso od una parola che fosse contro ai buoni costumi o alla religione».

Prete a Torino (1841), la castità diventa più che mai un punto focale della sua vita. La sua ricca personalità di prete inviato ai giovani poveri ed abbandonati, esposti a tutti i pericoli, affamati di affetto come di pane, esplode nella ricchezza delle sue doti umane, delle sue capacità intuitive e pastorali, della pienezza della sua vita interiore tutta consacrata alla «gloria di Dio e alla salvezza delle anime».

Da subito il problema della equilibrata educazione dei giovani alla castità diventa una dominante delle sue fatiche.

Pur muovendosi, come altri educatori, su tutti i versanti della formazione alla purezza - preservazione, preventività positiva e negativa, recupero, preparazione, ricorso alle energie della vita di grazia - ciò che caratterizza l'agire di don Bosco è l'estrema delicatezza con la quale egli, nelle parole e negli scritti, affronta l'argomento. In una preziosa testimonianza del Card. Cagliero, che ci rimanda ai primordi dell'Oratorio, leggiamo: «Nei santi spirituali esercizi che don Bosco ci diede nel Seminario di Giaveno nelle vacanze autunnali del 1852 ci parlò della castità con tanto calore e santo trasporto che ci trasse a tutti le lacrime e proponemmo di voler custodire così bella virtù sino alla morte». E così di seguito. Ma è innegabile, come testimoniavano antichi salesiani, che in tema di castità, più che le vie della ragione egli seguiva quelle del suo sentimento soprannaturale, cosa ben diversa dai sentimentalismi romantici, o di cattiva lega.

La parola 'castità' ricorre frequentemente sulle labbra e sotto la penna di don Bosco, accanto a quelle di 'modestia', 'purità', 'bella virtù', 'virtù angelica', 'purezza' ed immagini affini proprie della letteratura religiosa del tempo. Più tardi, per non urtare la sensibilità del laicismo liberal-massonico, fa volentieri uso della voce 'moralità', 'buon costume'.

Sappiamo che Valdocco non fu mai un paradiso terrestre. Accanto a giovani ottimi e buoni convivevano spesso anche caratteri difficili, ribelli, inviati dalle autorità civili o da benefattori, «già vittime delle umane passioni» o di «tristi abitudini», come si esprime don Bosco.

La cronaca di don Bonetti - siamo nel 1862 - riferisce che il Santo, «vedendo essere cresciuta continuamente la malizia nei giovani», si indusse, qualche volta, «a svelare le spaventose conseguenze» di simili comportamenti, che pedagogisti e medici del tempo descrivevano a tinte fosche, come strada che portava direttamente all'etisia, malattia allora mortale.

Evidentemente il Santo, da profondo esperto di quanto fermenta nell'animo e nel corpo del giovane in crescita, non parlava di 'crisi dell'adolescenza', di 'età evolutiva' o di 'pubertà'; e, meno ancora, di 'sessualità', ma ne aveva una penetrante chiarezza.

A. Caviglia, penitente del santo e acuto interprete del suo spirito, scrive alludendo a se stesso: «Chi fra i tredici e i diciassette anni ebbe la fortuna (diciamo, via, la grazia di Dio) di essere diretto nella coscienza da lui, sa molto bene come intendeva e spiegava le cose». Don Bosco avrebbe dato la vita per conservare l'innocenza di un giovane, tanto gli premeva che egli percorresse la via della virtù senza passare per esperienze negative. Lo rapiva l'innocenza conservata di un Savio Domenico e di tanti altri. Ma era maestro nell'aiutare i giovani a vincere le suggestioni del male, a mantenersi puri, a riscattarsi di slancio.

Dicono che Rubens, quando era necessario, prendeva il pennello dalla mano incerta dell'allievo e sulle linee esitanti faceva passare il soffio della vita. Quante volte, nel segreto della confessione, sulle linee storte di un giovane, con la sua santità don Bosco faceva scorrere il soffio della vita divina.

 

L'esempio.

Nella cultura contemporanea l'attenzione ai modelli di comportamento, a condotte appropriate, portatrici di valori, è sempre grande. Modello ed esempio qui si equivalgono; seguire l'esempio di una persona significativa non vuol dire 'calarsi' in una forma, 'copiare' o, peggio, 'suggestionarsi'; bensì essere attratti da chi è portatore di valori propositivi, farli liberamente propri nella misura del possibile, con un processo di crescita interna.

Don Bosco credeva all'efficacia dell'esempio e si proponeva di darlo. «Procura sempre - diceva - di praticare con i fatti quello che ad altri proponi colle parole»; «Una cosa che si può fare da tutti ed è di massima utilità ed un vero lavoro nella vigna del Signore, si è il dare buon esempio»; «I bei discorsi senza l'esempio valgono nulla».

L'esempio della sua vita casta, limpida come una giornata di primavera, esercitava un influsso notevole nell'ambiente dell'Oratorio sui giovani e sui salesiani. A lui si poteva con verità applicare quello che Bergson ha detto dei santi in generale: «Perché i santi hanno imitatori? Non hanno bisogno di esortare; non hanno che da esistere: la loro esistenza è un appello».

Di certo don Bosco ha parlato, ha esortato insistentemente, ma più delle parole ha deciso il suo esempio. La virtù della castità - chiamiamola continenza perfetta, purità, moralità, ecc. - non fu, nel santo dei giovani, solo un privilegio piovuto dal cielo. Come tutti i temperamenti dotati di intensa sensibilità ed insieme di forte virilità, dovette vigilare e controllare se stesso; impegnarsi all'occorrenza, in una dura lotta conto le inclinazioni devianti della carnalità.

Attesta don Rua: «Riguardo alle tentazioni contrarie a questa virtù [della castità] penso che ne abbia sofferto rilevandolo da qualche parola da lui udita allorché ci raccomandava la temperanza nel bere». Questa testimonianza concorda con quella di don Lemoyne: «Che abbia avuto tentazioni contro la purità lo confidò una volta ai membri del capitolo, tra cui io stesso ero presente, spiegando il motivo per cui preferiva i legumi alla carne».

Don Ubaldi, che diventerà un giorno professore di letteratura greca all'università di Catania e poi a quella del Sacro Cuore di Milano, era, da giovane, vivacissimo e molto affezionato a don Bosco. Un giorno, in tempo di ricreazione, mentre lo attorniava con altri compagni, gli saltò al collo. Il Santo lo distaccò da sé e gli disse in tono grave: «E chi ti credi di essere?». Il giovane rimase interdetto. Don Cena, che racconta questo fatto, aggiunge: «Ho trovato un biglietto in cui è scritto: 'Anche don Bosco deve difendersi dai giovani 'aggraziati' '».

Dunque un uomo, don Bosco, esposto al vento della tentazione, non diverso da noi. Ciò che invece esce dalla norma è la lotta vittoriosa sostenuta anche su questo fronte, la docilità piena alle suggestioni dello Spirito, la pratica eroica della castità.

A prima vista questo eroismo potrebbe sembrare più supposto che dimostrato, tanto è segreta e personale la virtù della castità. Tuttavia quando essa è praticata e vissuta in maniera straordinaria finisce per imporsi anche esternamente, attraverso l'insieme dei segnali e messaggi che il senso cristiano riconosce. Ora, che don Bosco abbia condotto fin dall'infanzia, e poi sempre, una vita illibata è ciò che affermano in coro i testi escussi ai processi canonici.

Il Santo - essi dicono - aveva eretto, a difesa della sua acuta sensibilità e della sua emozionale capacità di «farsi amare», l'edificio di una castità a tutta prova; attribuiscono allo splendore di questa virtù gran parte del fascino irresistibile che egli esercitava tra i giovani. Alla sua presenza pensieri e fantasie moleste si dissipavano come la nebbia al sole. Un giorno essendosi accorto che un giovane era in preda a molesti turbamenti lo prese, lo strinse forte a sé, poi lo lasciò andare mentre sul suo volto brillava la pace e la gioia. «A me pare - attesta don Cerruti - di poter dire che nella grande purità di mente, di cuore e di corpo che egli osservò con una delicatezza più unica che rara, stia il segreto della sua grandezza cristiana. Il suo contegno, il suo sguardo, il suo stesso camminare, le sue parole, i suoi tratti non ebbero mai neppure ombra di cosa che potesse dirsi contraria alla bella virtù, come egli la chiamava».

Il suo tratto con i giovani era delicatissimo, sempre rispettoso della loro piccola personalità, si lasciava baciare volentieri la mano, talora la metteva fuggevolmente sulla loro testa e ne approfittava per sussurrare all'orecchio una di quelle sue 'parole' magiche, che andavano direttamente al cuore. Avveniva pure che con due dita della mano desse ad un giovane uno schiaffetto, oppure facesse una leggera carezza; ma quanta soprannaturalità in quel gesto paterno! «In queste carezze - riferisce don Reviglio - era un non so che di puro, di castigato e paterno, che infondevaci lo spirito della sua castità». Mai si notarono in lui atteggiamenti di antipatia o di preferenze sensibili. Mai le insinuazioni malevole della stampa avversaria osarono attaccarlo su questo punto.

Era troppo evidente che don Bosco viveva in una regione superiore e che la confidenza che concedeva ai suoi giovani aveva esclusivamente lo scopo di fare del bene.

«Io gli sono stato attorno, - riferisce don Berto - l'ho servito per oltre vent'anni e posso affermare che la virtù della modestia negli sguardi, nelle parole, nei tratti fu da lui portata al più sublime grado di perfezione. Il segreto che egli adoperò per raggiungere questa perfezione, fu la continua occupazione di mente, l'eccessiva fatica di giorno e di notte, e una calma imperturbabile. Da lui si diffondeva una influenza vivificante. Io stesso posso dire che, stando vicino a lui, la sua presenza allontanava da me ogni pensiero molesto».

La persona di don Bosco, vivificata dallo Spirito Santo, nutrita di Cristo «pane che genera i vergini», emetteva luce ed energia divina: chi gli viveva accanto in intima familiarità ne restava coinvolto.

Castità - Amorevolezza

Il trinomio ragione, religione, amorevolezza, sul quale don Bosco appoggia il suo Sistema preventivo, nella coscienza salesiana e nella sua viva tradizione indica sempre più lo.spirito salesiano in generale e cioè: la 'pastorale', la 'spiritualità', la 'pedagogia', associate in un'unica esperienza dinamica. «Ma è rilevante - osserva P. Braido - e per certi aspetti più caratteristico il significato propriamente pedagogico-metodologico del trinomio». Infatti, «le tre componenti sono costantemente presenti interattivamente, a livello sia di obiettivi educativi che di processi di formazione, conferendo al 'sistema' una solida unità metodologica. Se poi si volesse determinarne l'elemento unificante in questa prospettiva sarebbe difficile sottrarsi all'impressione che l'amorevolezza costituisca il supremo principio (come la religione è indubbiamente il primum dal punto di vista dei contenuti)».

Nella nostra cultura l'amorevolezza è voce pressoché desueta. I dizionari dell'800 la definiscono, essenzialmente, come «il complesso degli atti esterni con cui mostrasi amore». Il pensiero va immediatamente a quell'insieme di atti sensibili ed anche corporali - come il bacio, la carezza, l'abbraccio, i gesti affettuosi - con cui i genitori manifestano esternamente il loro amore verso i propri figli. Anche per don Bosco l'amorevolezza è un amore manifestato attraverso segnali colmi di bontà, ma di una bontà assunta e trasfigurata dall'amore infinito che sgorga dal cuore del Padre e da quello di Cristo, Buon Pastore, datore del suo Spirito di amore. Una carità, tuttavia, che si esprime secondo tutte le risorse umane, controllate dalla ragione e dalla vita di grazia, le quali passano, se non unicamente, principalmente per le vie del cuore. «L'educazione - diceva il Santo - è cosa di cuore». Cuore che, nel significato biblico è non solo «centro radicale della persona», ma anche «centro di smistamento della vita intima» (F. Hauss).

Forse uno dei più grandi segreti del successo di don Bosco pretee-ducatore-pastore-fondatore va ricercato proprio in questo smistamento della sua interiorità. La quale si manifesta, peraltro, attraverso la straordinaria varietà di gesti personalizzati, visibili, affettuosi, paterni, percepiti dagli interessati come tali.

«Bisogna - scrive nella sua lettera da Roma del 1884 - che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani». L'amorevolezza copre la vita di don Bosco come le acque dei laghi alpini coprono il loro fondo.

Sicure espressioni di amorevolezza sono per don Bosco: familiarità, confidenza che attira confidenza, amicizia, accettazione sincera ed incondizionata, comprensione, interesse per ciò che piace ai giovani affinché essi prendano interesse a ciò che piace agli educatori, attenzione premurosa per le loro aspirazioni e bisogni fondamentali, presenza assidua, promotrice di crescita umana e spirituale, longanimità, pazienza senza limiti, paternità amabile e sacrificata, spirito di 'casa': tutto questo insieme ed altro ancora.

Solo in questo contesto si può comprendere l'importanza che la castità viene ad assumere nello spirito di don Bosco. Infatti, senza la presenza di una castità voluta, collaudata, goduta, come si potrebbe esercitare correttamente e senza pericolose deviazioni un'amorevolezza, che ha quasi la densità di quella della famiglia naturale, ma non ha, a sua difesa, i vincoli che le derivano dalla comunione della carne e del sangue? Più il salesiano ha di castità e più possibilità ha di abbondare in amorevolezza. Il rapporto dialettico tra l'una e l'altra è costante.

Don Bosco vuole i suoi figli casti di animo e di spirito, di pensieri e di opere. Già nella prima forma delle Costituzioni salesiane (1858) troviamo queste affermazioni, poi lievemente perfezionate: «Chi non è sicuro di conservare questa virtù [della castità] nelle opere, nelle parole ne' pensieri, non si faccia ascrivere a questa Congregazione perché ad ogni passo egli è esposto a pericoli. Le parole, gli sguardi anche indifferenti sono malamente accolti dai giovani già stati vittima delle umane passioni». Quando l'arcivescovo di Torino, esule a Lione, lesse questo articolo, lo giudicò troppo rigoroso; avrebbe voluto una formulazione più sfumata. Don Bosco non mollò: l'articolo è ancora presente nelle Costituzioni rinnovate.

 

 

Pietro Brocardo

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